40 fotografie che dialogano con sculture e manufatti originali, un catalogo e un libro costituiscono il progetto WITJAI “Io esisto” del fotografo e artista Gianluca Balocco per raccontare e salvaguardare l’identità di un popolo, gli Shuar della foresta Amazzonica. La mostra fotografica è visitabile nelle sale del Castello d’Albertis, sede del Museo delle Culture del Mondo di Genova.
Nella dimora del Capitano Enrico Alberto D’Albertis grande esploratore di mondi lontani tra ottocento e novecento, sono ospitate oggi le testimonianze della sua curiosità di antropologo e avventuriero. Un museo che apre le sue porte al pubblico e cerca di creare un dialogo tra gli oggetti e i popoli che li hanno creati. Qui Gianluca Balocco ha portato la sua mostra, nata da un progetto che ha avuto inizio dai viaggi in Ecuador tra il 2014 e il 2016, sulle orme di un biologo esploratore del 1927, e dal suo incontro con le popolazioni Shuar.
In un’intervista all’artista andremo a scoprire le forti motivazioni di questo progetto, ma una premessa è d’obbligo. Gianluca Balocco vive il suo ruolo di artista come una missione e la ricerca sull’uomo – in senso spirituale ed etnografico, comportamentale ed estetico – è al centro di tutti i suoi lavori. “Il mio lavoro fotografico e artistico parte certo dalla ricerca della bellezza. Ma l’artista ha il compito di guardare, testimoniare, lasciare una traccia, slegarsi da qualsiasi vincolo e mettere tutto in discussione, sempre. Il contatto con il mondo e la realtà, però, diventa un gioco degli specchi; non c’è solo il mio punto di vista, ma anche quello di altri. E’ così che arrivo ad una visione diversa da quella da cui ero partito”.
Iniziamo dal titolo della mostra: WITJAI il gene verde della razza umana
“Ho voluto attraverso la fotografia restituire l’identità ad un popolo”. “WITJAI” in lingua Shuar significa “io esisto”. Tutto il progetto di Gianluca Balocco è un lavoro di ricerca e riaffermazione di un’identità: umana, spirituale e religiosa. Questo popolo antichissimo di nomadi e cacciatori ha subito diverse aggressioni, dall’epoca della colonizzazione a quella moderna. “Il loro sistema economico e sociale, basato sulla condivisione e l’aggregazione, è stato minato dalla cultura occidentale del denaro e della tecnologia. Strappati dalla loro foresta gli Shuar sono trattati come selvaggi e vivono in povertà”.
Gianluca Balocco è stato accompagnato nella scoperta e nello studio delle tradizioni e della spiritualità di questo popolo da Suamar Juan Utitaj Untzui capo della comunità degli Shuar di Sapap Naint, che ha acconsentito anche alla registrazione di un video: una dichiarazione sui diritti del suo popolo lunga 20 minuti. Il punto di vista scelto dall’artista, quindi, è quello degli stessi protagonisti.
I ritratti sono stati realizzati senza alcuna “mise en scène”, nessun set, nessuna forzatura. Sono ritratti che rappresentano un’identità, qui ed ora. Il nome di questo popolo contiene nel suo significato la radice stessa della sua identità. Shuar = “difensore della natura” Gli Shuar vivono in armonia e in equilibrio con la natura. Le piante sono sacre per loro. Prendono ciò di cui hanno bisogno seguendo le sue regole, rispettando i cicli di riproduzione di piante e animali.
La scelta del gesto di tenere in mano fieramente una pianta è stata fatta insieme a loro. Gli Shuar stessi poi hanno deciso con quali piante essere fotografati. Esiste una vera e sacra relazione tra ogni pianta presentata nella mostra e nel libro e la persona che la impugna. Anche il luogo o l’abbigliamento sono stati scelti insieme a loro. Tutto il lavoro artistico si è basato sul dialogo e la condivisione, con la mediazione del capo della comunità. Si può forse parlare di arte collettiva, come ci ha confermato lo stesso artista.
“il gene verde della razza umana”
Balocco ha ripercorso gli stessi sentieri del biologo naturalista Padre Carlo Crespi nel 1927, alla ricerca delle relazioni bio-evolutive e ancestrali tra il genere umano e quello vegetale. L’uomo condivide il 26% del suo DNA con le piante e può esistere solo all’interno di un sistema di connessioni con l’ambiente in cui vive, dove le piante costituiscono il 99,7% della biomassa del pianeta. La neurobiologia vegetale sta dimostrando che ci sono analogie negli elementi sistemici del mondo vegetale. Ogni seme racchiude in sé milioni di anni di storia e rappresenta un microcosmo. Nelle fotografie di Gianluca Balocco i semi dell’amazzonia sono rappresentati come pianeti sotterranei, simboli magici legati al popolo Shuar.
“Gli Shuar vivono in una relazione sistemica con la natura molto intensa da un punto di vista religioso, magico, filosofico, ma anche pratico. Sono consapevoli, e in questo sapienti, del fatto che la loro vita dipende dalla natura. La nostra visione, invece, è deformata e oppressa dalla vita di tutti i giorni. Siamo noi che ci siamo staccati attraverso la tecnologia dalla natura, e quindi, non abbiamo più la percezione di dipendere dal mondo naturale. Pensiamo che tutto ruoti intorno al benessere che ci siamo costruiti. In questa popolazione dell’Amazzonia c’è un passato che dovrebbe essere il nostro futuro, un modello di vita che può regalarci un punto di vista diverso”.
Merita attenzione l’aspetto curatoriale della mostra. Le circa 40 fotografie sono esposte a fianco a teche che contengono sculture dell’artista, realizzate con semi dell’Amazzonia raccolti nel corso dei viaggi e cera, e manufatti originali appartenuti al popolo Shuar, arrivati a Genova nel 1892 e oggi parte delle collezioni etnografiche del museo. Tra gli oggetti originali Shuar anche delle teste, antiche reliquie di potere e magia. Questi oggetti dialogano tra di loro e con le fotografie creando un legame anacronistico tra presente e passato.
IL LIBRO edito da Crowdbooks.com
Si presenta come una raccolta di fotografie, scelte tra più di 600 scatti, ma non è assolutamente il reportage fotografico di un viaggio. Il libro racconta la storia della ricerca dell’artista da un punto di vista ideologico e sociale, con sfumature antropologiche. La gestazione è stata molto lunga, proprio per il carattere di comunicazione, ricerca e testimonianza del libro stesso.
Emblematico è il fatto che sia stato finanziato attraverso il crowdfunding. Il sapere di un popolo è contenuto in questo libro. L’esperienza tramandata di generazione in generazione è un patrimonio unico. Un patrimonio che non deve andare perduto e che appartiene al mondo intero. Gli Shuar sanno riconoscere centinaia di migliaia di piante, singolarmente una per una. Ne conoscono le caratteristiche e le proprietà. Si parla spesso di biodiversità ai nostri giorni. Siamo sicuri di poterci permettere di perdere proprio quel sapere che potrebbe alimentarla?
Il libro raccoglie anche i testi e i contributi dei diversi attori coinvolti nel progetto di Gianluca Balocco: Grazia Francescato (Ambientalista), Juan Bottasso (Antropologo, Editore, esperto della cultura Shuar), Goriano Rugi (Psichiatra, Gruppo Psicoterapeuta), Mauro Francesco Minervino (antropologo), Juan Utitiaj Untzui (capo della comunità Naint Sapap di Shuar), Noemi Bottaio ( farmacista, specializzata in medicine ancestrali), Walter Landini (paleontologo, geologo), Tamara Landivar (Antropologa, esperta di riti tsantsa di Shuar), Alessandra Movilia (biologa).
Arte, ricerca e fotografia sono quindi inscindibili per l’artista. Parole e immagini vogliono risvegliare la coscienza di noi “occidentali” e non potremo che diventare porta voci delle sensazioni lasciate dalla visita della mostra, delle immagini raccolte nel catalogo, delle riflessioni che avrà suscitato il libro.
LA MOSTRA
WITJAI il gene verde della razza umana
Castello d’Albertis
Corso Dogali, 18 – 16136 Genova
ORARIO:
(da aprile a settembre):
martedì – venerdì: 10-18 (ultimo ingresso ore 18), giovedì (solo dal 24 maggio al 13 settembre): 13-22, sabato e domenica: 10-19 (ultimo ingresso ore 18). Lunedì: chiuso.
Tutte le fotografie pubblicate nell’articolo sono una gentile concessione dell’Artista.
www.gianlucabalocco.com