Nella casa – galleria Société Interlude di Piazza Vittorio a Torino una mostra installativa porta il visitatore in una dimensione silvana, straniante e poetica.
Un appartamento al piano nobile di un antico palazzo di Piazza Vittorio a Torino, già casa-galleria di una coppia di giovani, visionari amanti dell’arte e del Bello (la curatrice Stefania Margiacchi e l’artista Paul de Flers) accoglie una mostra di tre artisti, Giovanni Chiamenti (Verona, 1992), Nicola Melinelli (Perugia, 1988) ed Enrico Tealdi (Cuneo, 1976); il progetto espositivo è luminosa metafora dell’anno appena trascorso: le nostre case sono diventate rifugio ma anche prigione, e la mente ha spesso spaziato tra ricordi e fantasie, desideri di viaggi o brevi fughe, nutrendosi finanche dell’idea platonica di un luogo “altro”. Gli artisti hanno sublimato con grazia questo desiderio: cosa c’è di più consolatorio di immaginarsi il cielo in una stanza, ricreando la dimensione di una natura che giunge in soccorso, pur fra quattro mura? Al centro dell’appartamento l’installazione ambientale RESTE’ LA, una vera e propria camera picta realizzata da Enrico Tealdi che ha ricreato un giardino su grandi rotoli di carta che ricoprono completamente le pareti ; i dipinti avvolgono lo spettatore in uno scrigno arborio, proiettandolo in una dimensione esotica, sognante, vagamente nostalgica anche grazie ai toni liquidi dei verdi e dei grigi azzurri. A punteggiare e sottolineare la trasformazione le opere di Giovanni Chiamenti e Nicola Melinelli: manufatti, vasi, sculture, persino un tronco-lampada che dialogano tra loro e soprendono il visitatore, accompagnandolo in una dimensione di forme metamorfiche che, forse, prenderanno vita non appena le stanze torneranno vuote.
Pare in pieno contesto la celebre domanda “che cosa succede nelle stanze quando gli uomini se ne vanno”? Succede che la natura tenta di riappropriarsi degli spazi, invade gli ambienti, acuisce quel senso di abbandono silenzioso e poetico che consola e strania; proprio questa sembra essere la magia, il senso di stupore evocati dalla mostra a partire dalla scelta del nome, Citéra, isola greca che è mito prima di essere luogo geografico, ove cui si dice nacque Afrodite. Da isola a isolamento il passo il breve ed è questa la dimensione che certamente abbiamo maggiormente sperimentato in questi ultimi tempi; uno dimensione che da fisica diventa psicologica, uno stato dell’animo che i tre artisti hanno interpretato come uno spazio organico, incantato, reso magico dalla fitta vegetazione evocata da Enrico Tealdi, la cui pittura raffinata non è priva di un certo senso narrativo (confermato dalla quadreria dei volti di statue, testimoni di un tempo passato, posta in un luogo privato della casa-galleria). Un luogo dove ben si collocano le sculture in ceramica di Giovanni Chimenti, impalpabili come grandi fiori di carta di bianco nitore o conchiglie abbandonate sulla riva di un mare che si immagina soltanto: nel corridoio di accesso alla sala le forme vegetali pulsanti di Nicola Melinelli diventano metamorfici vasi (e persino una lampada nella sala principale) per aggregazione materica, grazie alla combinazione di elementi come vetro, ferro e resina termoplastica.
Abbiamo rivolto alcune domande ad Enrico Tealdi sull’installazione a dimensione ambientale che focalizza il percorso espositivo e sul suo percorso professionale.
Puoi raccontarci brevemente qual è il tuo rapporto con la pittura e come sei approdato ad essa? è stato un percorso, un’esigenza vorrei dire, sin dalla più tenera età?
Dipingo tutti i giorni da sempre. Realmente da sempre. Sono nato in campagna, in una famiglia modesta, nessuno era appassionato di pittura, perchè non erano argomenti, si pensava al lavoro nei campi e a fare tornare i conti. Con la mia bicicletta andavo in giro per le campagne e vedevo le edicole votive sbiadite, i soffitti affrescati delle ville abbandonate. I volti di quei santi, le decorazioni, mi hanno colpito da subito e ho chiesto in dono una piccola scatola di tempere e da lì ho iniziato la mia storia d’ amore con la pittura.
Come avete ideato con la gallerista questo progetto (che ricordiamo include anche un serrato dialogo con le opere di Giovanni Chimenti e Nicola Melinelli), come lo hai sviluppato? Noto che nei tuoi lavori, qualunque sia la scala, c’è sempre una tendenza all’horror vacui…Qui la dimensione è diventale ambientale, immersiva…Una sfida anche psicologica per chi dipinge?
Abbiamo costruito questa mostra insieme, seguendo la metodologia di mostre che Stefania Margiacchi, la gallerista, adotta per lo spazio Société Interludio: un artista invita altri artisti, in genere due per costruire la mostra. Nel caso della mostra Citéra, io e Stefania abbiamo ragionato insieme su come poteva essere. Non volevamo una mostra che si limitasse ad esporre delle tele appese, ma che accogliesse il visitatore, quasi prendendolo per mano, per accompagnarlo in una dimensione altra. E’ una mostra realmente immersiva perchè il visitatore si trova avvolto in una “stanza di carta”, come una carezza, in dialogo con le opere di Giovanni Chiamenti e Nicola Melinelli.
Il risultato, una vera e propria stanza arborea, è andata al di là dei tuoi intendimenti o era l’obiettivo a cui ambivi?
Da anni mi affascinava l’idea di costruire una camera picta e ho colto questa occasione. Ho voluto giocare sui contrasti partendo dalla tecnica: una gouche. La gouache è solitamente utilizzata per formati di piccole dimensioni, perchè permette di mantenere l’immediatezza del segno, della resa, con pochi segni, libera, veloce, leggera come un’ impressione. Nell’ installazione RESTE’ LA, che ho proposto, questa tecnica è stata utilizzata su una superficie, di carta, di 35 metri lineari. Una tecnica per dimensioni ridotte, qui, invece, si espande su un registro di scala maggiore. Una pittura espansa. Per mesi mi sono “allenato” in studio, per riuscire a mantenere, su una superficie così grande, la velocità, la sicurezza e il dominio visivo, che si può avere su un foglio da taccuino per acquerelli. Mi sono costruito io i pennelli…E’stata una sfida. L’ alto contrasto sta nella scelta del soggetto: un giardino abbandonato che continua a vivere e fiorire, nonostante nessuno se ne curi. L’ esterno che si riappropria dell’interno. Sono contento del risultato. Mi rende felice vedere i visitatori che si guardano intorno, avvolti e immersi in una stanza che è come una scatola magica. Alcuni restano un po’ di tempo, perchè dicono che è come trovarsi da un’altra parte o ritrovarsi in un posto che è dentro di sé.
Si legge nella tua pittura una fascinazione per una tecnica ispirata al Giappone…puoi parlarci della tua tecnica, del processo compositivo e delle fonti di ispirazione?
Da sempre ho una sintonia con la carta, amo molto come accoglie il colore. In questa opera, ho voluto guardare alle pitture della tradizione cinquecentesca e settecentesca dei palazzi nobiliari, dove gli affreschi avvolgevano le pareti intere. Non sono così preparato su quello che spesso viene chiamato “giapponesismo”, ma non nego che ne subisco il fascino per la forte tendenza alla stilizzazione e per il gusto compositivo dell’asimmetria. Della pittura giapponese mi interessa e seduce, la capacità di astrazione, come, con pochi e mirati segni, si possa costruire una scena, un oggetto, e di come, pur essendo una pittura figurativa, possa essere allo stesso tempo astratta.
Cosa vorresti che la tua opera trasferisse (anche di te) al visitatore?
Un senso di stupore. Aprire le porte e trovarsi in un mondo lontano. La magia di un attimo, sospeso, come quello di un bambino di fronte a qualcosa che lo affascina. Vorrei questo, nel momento storico che stiamo vivendo, mi piacerebbe poter regalare il soffio di qualcosa di lontano, di bello.
Come questa installazione ha segnato il tuo percorso pittorico? Quale il tuo prossimo passo?
Sono felice di aver potuto vedere realmente un progetto che sognavo di allestire da tempo. Preferisco pensare che il mio percorso pittorico sia sempre in evoluzione e che questa sia una tappa importante nella mia crescita. Spero che molte altre persone possano vedere questa mostra e spero di poter proseguire il mio lavoro di artista iniziato da bambino. So che tutto questo questo possa sembrare banale, ma è così. Il prossimo passo è avere sempre l’entusiasmo e la voglia di fare, nonostante tutte le difficoltà. Si lavora veramente tanto, ogni giorno, per raccontare, con la pittura, qualcosa di sé stessi e incontrare, senza neppure conoscersi, qualcuno che ascolta.
Société Interludio è un progetto ideato e diretto dalla curatrice Stefania Margiacchi (1990) e dall’artista Paul de Flers (1988). Spazio per l’arte contemporanea, si trova al piano nobile di un palazzo del primo ‘900 in Piazza Vittorio Veneto. I luoghi espositivi sono fortemente connotati da un pavimento alla veneziana che suggerisce una vita passata di abitazione domestica, adesso a completo servizio delle esigenze richieste dalle arti visive. Intermezzo di altre stanze, porzione di luogo, Société Interludio vuole essere un lungo intervallo artistico che ogni operatore e/o fruitore si ritaglia dal suo vivere quotidiano per l’attento osservare.
Per Info
Citéra
sino al 28 febbraio 2021
con testo critico di Simona Squadrito
Piazza Vittorio Veneto, 14
Su appuntamento +39 3349119791
societeinterludio@gmail.com