Inaugura venerdì 29 l’ultima mostra di Spazio Parentesi, lo spazio indipendente dedicato all’arte e alla poesia sito in Via Belfiore a Torino.
“True love leaves no traces”, e così l’ultima collettiva di Spazio Parentesi sfuma brillando tra corpi nudi e malinconie invisibili.
L’assenza è una forza dis-trattiva e at-trattiva. Percepibile come sostanza, costanza e distanza. Il segno di un passaggio che scolpisce muto la carne: preme e si imprime, inabissa e si fa cicatrice impercettibile, e nella dimensione onirica trova confini. Contorni, come quelli di una sensazione che si dimena nello spazio cerebrale e che lascia campo all’insidiarsi dell’errore.
Il disagio tattile della percezione sensoriale di un elemento alieno diventa impronta di mutamento, scandisce il momento che separa il tocco dal brivido della presa di coscienza. Un percorso di metamorfosi ineluttabile, lento e pacato: il corpo di una donna è una stanza in cui nascondere segreti a orologeria, ordigni scritti da sussurri silenziosi che scorrono umidi sull’essenza pura di lei. Il tormentato cullare dell’interazione amorosa nel fluire dello scorrere del tempo è ululato in silenzio dall’immobilità del corpo ritratto da Serena Debianchi: l’errare lento della lumaca, allegoria dell’esperienza vitale, ovatta il mutamento fisico e lo arricchisce pur lasciando tracce invisibili agli occhi.
La natura immateriale di una sofferenza inespressa rivela sulla superficie corporea di Bianca Asmara Curti le tracce di un disamore nell’io e per l’io. Rinascono, lievi, con un nuovo volto timido e infantile per la semplicità d’espressione. Segni dorati su cicatrici argentee, l’esperienza puramente visiva racconta come l’occhio femminile si incastra nelle reti che esso stesso tesse, e che solo per mezzo di esso stesso, rende vergine nuovamente. Opera specchio del Kintsugi, invita gli animi esterni a cospargere d’oro l’incredibile forza della fragilità.
Traccia di un amore che non è cospetto ma solo più respiro, tracce di dolore che ristagnano nel notturno interiore; invisibili impronte di malinconico malessere si manifestano negli orli dei merletti che graffiano l’animo ad occhi chiusi, quando il buio divora il giorno e i contorni sfumano sostanze dalla forma insicura. Le opere di Laura Fortin si popolano d’invisibili presenze: è quasi sonoro il rimuginare sull’amore che come insetti invisibili consuma isterico la psiche sul piano irrazionale, realtà e onirismo si confondono per dare vita a contorni senza sostanza, tracce di una presenza senza forma. Una gabbia incorporea invita alla verità di coscienza e prende forma in una dicotomia tra ideale a fisico.
Omaggio a Ana Mendieta, l’opera di Paola Bisio è un lavoro materico con inserti che traspone una rappresentazione simbolica. Nella dialettica tra realismo e espressionismo, l’artista individua le matrici ataviche del femminile.
Gaia Ginevra Giorgi si fa musa di Riccardo Cecchetti, il cui ciclo di illustrazioni ironizza sul fascino della santità femminile: la donna è idealizzata, l’uomo si abbandona all’estetica.
L’opera di Ivan Fassio e Maria Messina è un esperimento di poesia concreta: come i glitter delle opere di Bianca, la poetica di Fassio luccica sparsa nel trittico, copre e ricopre ruoli, tracce di personificazioni femminili che nascono dal e nel tempo.
Riassunto di un anno di parentesi di spazio e tempo tra arte e poesia, il progetto di Carola Allemandi, Spazio-fotosintesi, riporta gli scatti di tutte le inaugurazioni dello Spazio Parentesi di quest’anno.
Un nonluogo che per questo tempo trascorso ha avuto la rassicurante voce di Ivan Fassio, che in punta di piedi ha lasciato profonde, delicate tracce invisibili, così come una platonica storia d’amore si dissolve, per divenire, infine, fluttuante.