Lo spazio “La Clessidra – Sala Blu” di via del Teatro Pace 3 a Roma ospita fino al 15 aprile la prima personale dello scultore Andrea Gandini, diventato famoso per i tronchi morti scolpiti per le strade della capitale.
Guarda. Sei in un posto qualsiasi e ti raggiunge un albero, un muro, un viso. Il centro del mondo è poco lontano da te, è nelle vie secondarie, ti aspetta dove non ti aspetti niente.
Franco Arminio
Il poeta-paesologo Franco Arminio nel suo “Cedi la strada agli alberi” dice “abbiamo bisogno di contadini, di poeti, gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento”. E continua: “Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione. Attenzione a chi cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato”. Andrea Gandini ha 21 anni e sembra prestare quella cura che l’esercizio della Paesologia richiede ai dettagli di solito inosservati. Da quando di anni ne aveva 18, Gandini si aggira per le strade di Roma in cerca di un “tronco morto”, uno dei tanti platani recisi ai lati delle strade della capitale. Quando ne sceglie uno, perché ci ha visto qualcosa o, meglio, qualcuno, ci si accovaccia vicino e, con la sgorbia, lo scalpello e la motosega, lo lavora scrupolosamente fino a che da un moncherino qualsiasi affiorano i connotati umani tipici delle sue sculture.
Nasi sporgenti come quelli dei personaggi di Andrea Pazienza, lineamenti spigolosi, occhi socchiusi, Gandini è influenzato anche dagli scultori che ha studiato e apprezzato al liceo artistico, come Medardo Rosso e Alberto Giacometti. I soggetti che scolpisce sono perlopiù uomini anziani dall’aspetto austero, che con la loro età avanzata evocano l’età della pianta che li ospita, ma non mancano volti di donne e bambini.
Da sempre l’albero è simbolo di vita e fertilità. Nel Sud Italia e in alcune zone del Lazio persistono ancora oggi i riti arborei, celebrazioni che mantengono i tratti di un paganesimo ancestrale. Uno di questi riti è il Maggio di Accettura, paese in provincia di Matera. In occasione dei festeggiamenti per San Giuliano, un agrifoglio, “la Cima”, viene portato a spalla dagli abitanti per 15 km dal bosco di Gallipoli per fargli incontrare “il Maggio” per l’appunto, un cerro di oltre 30 metri trasportato invece da coppie di buoi. In paese avviene l’unione tra i due, tra il maschile e il femminile: la fecondazione. Nei tronchi morti di Gandini ritroviamo volti sia maschili sia femminili, ma soprattutto un’insperata linfa vitale. Persino in un albero morto da tempo, reciso e dimenticato, può tornare a esserci la vita.
Un’estetica comune lega le opere di Andrea eppure ogni soggetto scolpito, così come ogni albero, è diverso dall’altro: ogni tronco ha una sua storia, una conformazione e un’identità nascosta che ci viene generosamente rivelata dall’artista. Un aspetto fondamentale del suo lavoro è la performance in strada. Tutte le creazioni sono realizzate in pieno giorno da Gandini, attirando l’attenzione dei passanti che, incuriositi, si avvicinano per osservare l’evoluzione della scultura di turno. Ad oggi Andrea ha realizzato, e mappato sul suo sito, 57 sculture. Ciascuna è alta mediamente non più di 70 cm eppure è in grado di rivoluzionare lo spazio che la circonda e di rallentare la corsa frenetica dei romani, restituendo loro, in quei pochi minuti di contemplazione, un attimo di serenità.
Trovandosi all’aperto, le sculture di Andrea sono in continua metamorfosi. I volti, soggetti alle intemperie e quindi al deterioramento, mutano nel tempo i propri connotati e l’espressività originaria. L’effimero, concetto tipico della Street Art, si reifica in questo inevitabile processo di trasformazione delle sculture di Andrea, rendendole allo stesso tempo, però, anche irripetibili. Il lavoro di Gandini si inserisce a pieno titolo nel filone della Street Art Sculpture che, data la sua peculiarità, conta di pochi ma grandi artisti come Vhils.
La mostra “Troncomorto, le sculture urbane di Andrea Gandini” è curata dalla giovanissima Livia Fabiani. Classe 1994, Fabiani è approdata dalla facoltà di Architettura di Roma Tre alla Street Art, che le ha permesso di coniugare, attraverso la fotografia, la passione per il territorio e l’arte. Con le sue foto, raccolte nel sito Urbis Ars, Fabiani ha documentato il processo di realizzazione di alcuni murales a Roma e non solo. Prima di occuparsi dell’organizzazione della personale di Andrea Gandini, Fabiani ha curato, nel 2013, “Conosci te stesso”, progetto dell’artista Solo, e, nel 2014, “Le Metamorfosi” di Diamond, tre murales alla Stazione Metro San Paolo di Roma. La scelta dello spazio espositivo per la mostra di Gandini è ricaduta su La Clessidra – Sala Blu, alle spalle di piazza Navona, perché aveva già ospitato mostre legate alla Street Art, ma anche perché, dopo aver impreziosito diverse zone di Roma, anche periferiche, con le sue sculture, era il caso che Andrea si facesse raggiungere facilmente dagli amanti della sua arte e dai turisti che affollano il centro.
Per la sua prima personale, Gandini ha scelto di intagliare il legno di quercia, un albero dal fusto alto e dal colore dorato. La quercia ha a sua volta un forte valore simbolico. Considerata da secoli una pianta sacra e oracolare, è simbolo dell’albero della vita nel culto celtico.
Le opere di Andrea, esposte inizialmente da venerdì 6 a domenica 8 aprile – ma data la grande affluenza ancora fino a domenica 15 -, rappresentano l’evoluzione naturale degli alberi scolpiti per le strade di Roma, che presto o tardi saranno sostituiti da nuove piante e dovranno necessariamente essere spostati in uno spazio chiuso. Ed è proprio all’interno di uno spazio chiuso, il suo studio, che Andrea ha concepito le prime sculture di legno. Per caso, un giorno di diversi anni fa in cui aveva finito la sua materia prima preferita, spinto dal desiderio di restituirgli un’identità, intagliò una freccia nel suo primo tronco morto per segnalare l’ingresso dello studio. I lavori – più posati del solito – esposti in via del Teatro Pace 3 hanno rappresentato in fondo un ritorno allo spazio chiuso che, però, non prevede la fine del lavoro in strada. Andrea vuole portarlo avanti, con parole sue, “fino alla morte”.