Prosegue fino al 3 novembre la mostra The Only Stable Thing, a cura di Lucia Longhi, ospitata nei suggestivi spazi di Palazzo Contarini del Bovolo a Venezia, noto per la sua celebre scala a chiocciola databile alla fine del XV secolo.
La mostra, realizzata in collaborazione con l’Associazione I Gioielli Nascosti di Venezia e la Fondazione Venezia Servizi, presenta un’accurata selezione di artisti internazionali e mira a indagare uno dei linguaggi più affascinanati del contemporaneo, l’arte cinetica e time-based; in mostra opere installative di Andreas Lutz, Aracangelo Sassolino, Carla Chan, Carolin Liebl & Nikolas Schmid-Pfähler, Edith Kollath, Felix Kiessling, Marianthi – Papalexandri Alexandri, Paul Leitner, Pe Lang.
Abbiamo chiesto alla curatrice Lucia Longhi di illustrarci i punti salienti della sua ricerca e come li ha sviluppati nell’esposizione:
La mostra The only stable thing è introdotta da una interessante citazione di Tinguely del 1959, che costituisce l’avvio del progetto critico: un percorso che dall’arte cinetica giunge agli esiti di un’arte che unisce tempo e movimento come aspetti concettuali di una trasformazione in essere, che diventa metafora ed espressione della contemporaneità. Ce ne vuole parlare?
Nelle parole del pioniere dell’arte cinetica ho trovato una verità forte, che è attuale in tutti i tempi: “Everything moves continuously. Immobility does not exist. […] Accept instability. Live in Time” (Tutto si muove. L’immobilità non esiste. […] Dimenticate le ore, i secondi, i minuti. Accettate l’instabilità). Tinguely non è stato di certo il primo a riflettere sull’idea che il movimento è l’unica cosa stabile. Eraclito è forse il primo a cui possiamo risalire, la sua filosofia faceva luce sul movimento come divenire, e sulla consapevolezza che ogni cosa è soggetta al tempo e alla trasformazione. Il manifesto di Tinguely tuttavia non era una semplice riflessione: era un appello. Un urlo alla sua generazione e a quelle future. Questo è quello che il progetto vorrebbe comunicare: le modalità in cui l’essere umano vive l’urgenza e il desiderio di capire il tempo, e prova ad accettarne le sue diverse manifestazioni ed effetti sulla sua vita – sia a livello personale che collettivo. Le time-based arts a mio avviso sono tra gli strumenti culturali più efficaci per sondare ed esprimere questa verità.
Il tempo è uno stato di movimento, e il movimento è l’unica cosa davvero stabile, perché è cambiamento: le opere in mostra dunque coinvolgono il tempo e il movimento sia dal punto di vista formale che contenutistico. Ossia: contengono il tempo, perché effettivamente si muovono – grazie alla tecnologia. Ma lo affrontano anche a livello concettuale, offrendo riflessioni su diversi livelli: la tecnologia nelle nostre vite, la storia dell’umanità, le trasformazioni del pianeta. Queste opere sono un invito ad approcciarsi al tempo da angolazioni differenti, valutarlo come evoluzione, quantificazione matematica, dimensione fisica, ma, anche, come mistero e caos.
Come sono stati scelti gli artisti in mostra, e indagando quali particolari aspetti critici?
Come curatrice, parte del mio lavoro è volto alla ricerca. Lo studio, insieme alla frequentazione del sistema dell’arte, mi permette di indagare e scoprire artisti la cui pratica non soltanto incontra i miei interessi e i miei gusti, ma mi accorgo essere rappresentativa di un trend sempre più forte – l’indagine sul tempo, attraverso l’utilizzo della tecnologia. Ho scelto gli artisti secondo questo criterio. Inoltre, poiché volevo restituire uno spaccato della attuale sperimentazione delle time based arts, ho invitato sia giovani autori – che pure stanno vivendo un ottimo momento nella loro carriera, sia artisti che hanno raggiunto una maggiore maturità e quindi riconoscimento, come Arcangelo Sassolino e Pe Lang. Sono tutti artisti che hanno un segno forte e che conducono una pratica artistica che è in costante dialogo con diverse discipline scientifiche.
L’aspetto installativo di una mostra cinetica e sonora presenta alcuni elementi di complessità sia a livello visivo che di fruizione sensoriale. Come li ha affrontati? Ha avuto la collaborazione degli artisti sotto questo punto di vista nel collocare le opere e nel costruire il percorso (penso in particolare al felice dialogo tra l’opera di Sassolino e il bozzetto del Tintoretto)?
Certamente sotto questo punto di vista lavorare con le time based arts non è facile. La sfida è riuscire a creare un percorso allestitivo che permetta di fruire singolarmente di ogni opera e al contempo che nessuna sia di disturbo all’altra. Ho disegnato personalmente l’allestimento dovendo tenere conto di diversi aspetti: le limitazioni legate alla natura storica e artistica del Palazzo, le necessità tecniche di ogni singola opera… ma il primo criterio è sempre l’armonia e il senso dal punto di vista critico. Ho cercato di attivare degli scambi tra le opere, e tra esse e il luogo che le accoglie. Il dialogo tra l’opera di Arcangelo Sassolino e il Paradiso del Tintoretto è apparso quasi naturale. Macroscopico e Domestico è un sistema pneumatico che si autoalimenta, in una affannata gestualità meccanica di espansione e compressione. Respira, e sembra inesauribile, ma in realtà è quanto di più lontano dall’autonomia, perché ad un certo punto si esaurisce – come un essere vivente – e va rigenerato. Sopra, nel meraviglioso Paradiso del Tintoretto, vibra un dinamismo convulso: la massa di corpi in movimento è uno sciame che pulsa verso l’Eternità. E sotto invece c’è questo battito ordinario: umano, ingombrante, che va esaurendosi.
Qual è il messaggio che, come curatrice, vorrebbe trasmettere allo spettatore?
Per condensare il mio approccio all’arte mi piace dire che non amo l’arte contemporanea, ma che amo l’arte che è contemporanea. Credo che queste ricerche siano davvero espressione del nostro tempo, perché tutte sono espressione tangibile di urgenze, riflessioni e immagini contemporanee. Inoltre credo personalmente che il movimento e la tecnologia nell’esercizio artistico permettano un’esplorazione della realtà amplificata. Lungo i secoli, nel fascino per la tecnologia si è compiuto un legame tra l’uomo, la scienza e il tempo. Oggi la tecnologia sta disegnando codici visivi ed emozionali nuovi, plasmando la nostra coscienza e la nostra capacità di astrazione. L’arte time-based si presenta quindi anche come un luogo per esplorare l’accelerazione della modernità attraverso il progresso scientifico. L’utilizzo della tecnologia nell’arte non ha solo lo scopo di celebrarne l’estetica: di essa viene discusso anche il ruolo nelle nostre vite.
Pensiamo poi a come il movimento è percepito dall’uomo nella sfera delle emozioni, in ogni ambito. È anche da questa pulsione che ha origine la fascinazione per la kinesis – nella robotica, e quindi nell’arte. Associamo istintivamente il movimento con la vita. Cinquant’anni fa Armstrong compiva la prima camminata sulla luna e milioni di persone lo videro compiere quel passo. Ciò che si presentò di fronte agli occhi dell’umanità non fu un’immagine statica, bensì un movimento.Era quella la vera prova, straordinaria, della vita umana sulla luna. Da quella, e da molti altri importanti accadimenti scientifici, è evoluta la nostra percezione del tempo e il nostro rapporto con esso. Vorrei poter trasmettere questo: la straordinaria potenza e bellezza dei linguaggi artistici contemporanei che dialogano con le discipline scientifiche.
L’arte legata alla scienza, alla tecnologia, all’ingegneria e alla robotica è un mezzo essenziale per esplorare il presente, perché esattamente questi sono i codici della contemporaneità. Mi piacerebbe fare arrivare la poesia che l’attivazione delle forze fisiche nell’arte è capace di far scaturire. Mi piacerebbe fare arrivare la poesia che l’attivazione delle forze fisiche nell’arte è capace di far scaturire.
La mostra, in collaborazione con Galleria Continua, Galerie Mazzoli, unttld contemporary e La Galleria di Dorothea van der Koelen è stata realizzata grazie al sostegno di Domus Picta, Farfalle Per Eventi, Studio Parcianello-Pastore.
Per info
Palazzo Contarini del Bovolo _Venezia