The Concert dell’artista Latifa Echakhch è il titolo del Padiglione Svizzero curato da Alexandre Babel e Francesco Stocchi, con la collaborazione della light designer Anne Weckström. Cosa succede quando un concerto finisce e la musica non c’è più? Nella loro ricerca artistica si sono fatti delle domande e hanno cercato risposte, per arrivare a rappresentare qualcosa di impalpabile e soggettivo: un’emozione, un ricordo, una percezione. Ho avuto la fortuna di essere accompagnata nella mia visita dalle parole di uno dei curatori: Francesco Stocchi, che condivido in questo articolo. Anche voi sarete spinti ad interrogarvi, immediatamente dopo la visita del Padiglione o a giorni da questa esperienza. Che cosa succede alla musica quando non c’è più suono? “La musica è anche quel silenzio tra una nota e l’altra, è l’alzare non tanto il premere il tasto di un pianoforte. La musica è l’eredità lasciata alla memoria dal suono.” F. S.
E noi? Cosa lasceremo dopo il nostro passaggio?
La Biennale Arte 2022 si distingue per tanti aspetti dalle edizioni precedenti. Il latte dei sogni, questo il titolo della 59° Esposizione Internazionale d’Arte curata da Cecilia Alemanni, ha dato spazio all’espressione di molte artiste contemporanee e, nelle cinque capsule del tempo distribuite lungo il percorso espositivo, anche a grandi nomi del passato. Artiste che sono state di ispirazione per le loro eredi contemporanee, che a loro volta saranno muse delle giovani artiste che si stanno formando e oggi guardano a questa manifestazione come una conquista dell’arte al femminile e una promessa di successo per il loro futuro nella scena artistica contemporanea.
Latifa Echakhch si sente parte di questo flusso creativo, non un passo più avanti né un gradino più in alto. Si considera un’osservatrice di ciò che la circonda, in attesa di un’intuizione che puntualmente si trasforma in visione, seguita dall’urgenza di comunicarla e condividerla con il mondo attraverso la sua arte.
Un’intuizione l’ha portata a realizzare l’installazione pensata per il Padiglione Svizzero alla Biennale Arte 2022, The concert – Il concerto, e nulla di quello che è successo in questi due anni l’ha allontanata dalla sua visione. Latifa interiorizza tutto ciò che vede e sente intorno a sé per poi restituircelo in una forma, un oggetto, una rappresentazione, un’istallazione immersiva, un concetto, un’esperienza. Il risultato è sempre molto personale, espressione del suo io artistico, ed universale allo stesso tempo, aperto a molteplici interpretazioni.
Il suo progetto, anche se iniziato prima della pandemia e della guerra, oggi è ancora assolutamente attuale.
“Ci siamo chiesti mille volte se era il caso di riadattarlo, cambiare o ricominciare, ma in fondo, quello che cambia è lo sguardo delle persone.” Francesco Stocchi
“Una sola cosa è cambiata, aver avuto un anno in più per capire dove le mie intuizioni mi stavano portando, per sentire la mia visione e capire cosa stavo costruendo. Di solito il processo creativo è molto più frenetico. L’effetto del rallentare del tempo mi ha permesso di trovare un equilibrio, vedere il mio lavoro senza la presenza del pubblico e lavorare al libro di The concert. Mi sento fortunata per aver avuto più tempo da dedicare alla mia creazione artistica come quando ero studente”. Latifa Echakhch (Intervista, Kunstmuseum Basel 2021)
Una volta iniziato il processo creativo, quindi, è inarrestabile, l’intuizione si trasforma in visione e Latifa inizia a porsi domande che la spingono a studiare e cercare approfondimenti da cui si generano altrettante domande. Domande a cui trovare una risposta attraverso l’atto artistico, opera o installazione che sia, o la reazione del pubblico ad esso. Domande da rivolgere agli altri artisti e curatori che decide di portare nella sua visione, chiedendo ad ognuno di loro non solo di dare il proprio contributo ma di andare oltre. Questo è successo mentre si formava il team chiamato a realizzare The Concert, arrivando quasi ad una sovrapposizione dei ruoli. Latifa ha cercato il punto di vista di un teorico della musica, il compositore e percussionista Alexandre Babel, e lo ha coinvolto come curatore chiedendogli di rinunciare alla musica. Francesco Stocchi, che ha al suo attivo una serie di progetti curatoriali, per questo progetto ha rispolverato le sue conoscenze di DJ. La light designer Anne Weckström, che ha studiato Produzione Audio, invece di accompagnare la musica con i suoi spettacoli di luce, com’è solita fare nei concerti live, l’ha dovuta ricreare attraverso pulsazioni di luce che hanno sostituito le percussioni di Babel. Latifa stessa è uscita dal suo ruolo di artista visuale per pensare come una musicista. Ha studiato la musica, iniziato a suonarla e ad usare la voce, per capire quali vibrazioni trasmettesse al corpo e quali percezioni rimanessero una volta tornato il silenzio.
Francesco Stocchi in conferenza stampa a Venezia ha definito “Band musicale” questo team multidisciplinare, che ha dato vita a sensazioni ed emozioni più che a una mera esposizione d’arte contemporanea. Il Padiglione Svizzero non è la prima collaborazione tra Francesco Stocchi e Latifa. Stocchi aveva già curato la sua personale “Romance” alla Fondazione Memmo nel 2019 e l’ammirazione per l’artista è tangibile nelle sue parole.
“Latifa è all’apice del suo successo. Quando ha saputo della possibilità di presentare un progetto per la Biennale di Venezia, avrebbe potuto molto semplicemente allestire una mostra dei suoi lavori pittorici e scultorei a celebrazione del suo successo e, invece, ha deciso di mettersi in gioco e rischiare con noi in un progetto completamente nuovo, di cui neanche lei sapeva i confini.” Francesco Stocchi
Lo studio e la preparazione che sono dietro all’idea dell’artista non sono immediatamente visibili al visitatore, che viene invitato a vivere un’esperienza a ritroso nel tempo, i cui simboli e significati “altri” saranno svelati solo in un secondo momento.
“Non abbiamo voluto mettere nessuna didascalia o testo lungo il percorso del Padiglione. Forse molte cose dell’aspetto concettuale del progetto non si colgono, ma abbiamo voluto che il visitatore vivesse la parte emotiva in maniera forte e viscerale. Latifa lavora sempre su più livelli di lettura e lascia aperta l’interpretazione della sua opera, ognuno di noi può proiettare in essa il proprio vissuto e trarne qualcosa di diverso”. Francesco Stocchi
Il percorso di visita non è lineare, non c’è in realtà un inizio e una fine, e nemmeno un tempo definito per percorrerlo. Il visitatore può scegliere quanto sostare nelle singole sale del Padiglione in base alla propria sensibilità e decidere, poi, di tornare sui propri passi più volte. Le sue sensazioni sono l’unica chiave di interpretazione che ha a disposizione, per scoprire il pensiero dell’artista dovrà comprare il catalogo e leggere i contenuti da lei scelti per raccontare la sua visione. Oppure potrà rivivere la visita del padiglione una volta a casa, ascoltando la musica registrata su vinile e creata appositamente per questo scopo, non per essere fruita durante l’esperienza a Venezia.
Il vinile contiene un pezzo unico di 22 minuti, composto da Alexandre Babel, e impronte sonore registrate a Venezia, suoni provenienti dal padiglione, da ascoltare rigorosamente dopo la visita per ricordare l’esperienza vissuta. L’oggetto fisico sarà disponibile solo a Novembre. Ora è possibile ascoltarlo in streaming e il link per scaricarlo è pubblicato nel catalogo del Padiglione.
Il libro, perché non si può definire semplicemente catalogo dal momento che va oltre il progetto esposto nel Padiglione, contiene dialoghi e testi critici di approfondimento, incluse considerazioni teoriche attorno al suono, al ritmo e alla nozione di opera d’arte totale. Latifa ha chiesto un contributo a esperti con diverse competenze e background, per rispondere alle domande che via via le sorgevano durante la realizzazione della sua visione. Nel libro l’artista ha inserito anche un suo testo e molte immagini dell’architettura e della storia del Padiglione, parte fondamentale del progetto. Anche la grafica e l’editing sono in armonia con il progetto di The concert: dai colori nero e arancio al formato. Ha, infatti, le dimensioni di un libro di musica e la copertina riproduce le linee di uno spartito, ma vuote. Il lettore creerà la sua composizione.
Il giardinetto, che già nel progetto originale era destinato alle sculture di grandi dimensioni, è cosparso di cenere e resti di un fuoco. Nell’angolo più lontano ospita quello che rimane di una figura del Buddha. Sembra pregare ai piedi di uno dei due alberi protetti del Padiglione Svizzero, testimonianza del passare del tempo e del ciclo della vita. I due alberi sono i guardiani del Padiglione, presenti nei giardini da un tempo che sembra infinito, integrati perfettamente nella struttura dal progetto di Giacometti, che oggi è parte dell’installazione di Latifa. L’architetto e il suo edificio, realizzato per la XXVI Biennale del 1952, sono stati “coinvolti” dall’artista sia da un punto di vista concettuale che fisico e giocano un ruolo fondamentale nell’esperienza del visitatore. Latifa stessa ha detto a proposito di Giacometti “è come se avessi avuto un architetto nel mio staff”. (Conferenza stampa di presentazione del Padiglione Svizzero, Venezia)
“Abbiamo pensato di creare uno spazio immersivo, in cui il visitatore viaggiasse nello spazio, ma soprattutto nel tempo, analizzando e sfruttando al meglio il fuori e il dentro del padiglione di Bruno Giacometti. Il nostro intervento sulla struttura è stato molto semplice, inserire fogli trasparenti di color arancio per giocare con la luce naturale. Nel Padiglione, così come nel catalogo che lo racconta, non ci sono colori eccetto il nero, l’arancio e il legno naturale. Sono presenti pochi elementi: le figure di Latifa, cenere e braci, la ghiaia nell’ultima stanza. Abbiamo fatto un lavoro di sottrazione, in realtà, per mantenere l’aspetto grafico creato da Giacometti.” Francesco Stocchi.
“Quando si entra è chiaro che qualcosa è accaduto in quello spazio. Ci siamo persi qualcosa. C’è stato un fuoco, di cui abbiamo testimonianza fisica nel giardino e nelle prime sale. E’ un invito a fare un viaggio a ritroso fino ad arrivare all’ultima stanza in cui il buio è totale. Dal giorno alla notte precedente. Prima ancora del fuoco rituale e della distruzione o della percezione della fine di un evento, è la memoria della musica ad infiammarci alla fine del percorso”. Francesco Stocchi.
Nell’ultima sala del padiglione le percezioni sono amplificate dal buio e dal rumore dei passi sulla ghiaia di cui è cosparsa. E’ l’unico suono presente e quando il buio nella stanza è totale, è l’indizio della presenza di altre persone. Qui viene stravolta ogni conoscenza pregressa sulla musica. La dimensione interiore del visitatore è sollecitata da sensazioni nuove. La sosta, prima di ripercorrere il percorso a ritroso, può essere lunga o breve e solo i flash di luce possono interrompere o risvegliare nuovi pensieri.
“Light designer e compositore hanno lavorato insieme. Il risultato non è la traduzione di un pezzo musicale, ma è il tentativo di fare musica con la luce. Togliendo il suono resta solo il ritmo. Alexandre e Anne hanno voluto sperimentare un vocabolario inedito e fare musica con la luce attraverso pulsazioni, echi e riverberi.” Francesco Stocchi.
Alexandre Babel è affascinato dalla meccanica musicale, nelle sue composizioni per percussioni sperimenta assemblando elementi diversi non solo strumenti, come la sua batteria fatta di pezzi di legno, metallo e bombolette spray. La cosa più importante per Babel è il suono che viene prodotto. Nel progetto con Latifa per la Biennale di Venezia ha dovuto raccogliere una sfida e rinunciare alla cosa più importante per un musicista: “Ho dovuto rinunciare al suono, elemento essenziale nella mia pratica, e alla preparazione, non è stato possibile comporre qualcosa finché non siamo stati nel padiglione, circondati dalle sculture di Latifa”. Alexandre Babel (Conferenza stampa di presentazione del Padiglione Svizzero, Venezia)
Le figure create da Latifa, nelle dimensioni e nei materiali, richiamano alla mente la tradizione popolare dei carri carnevaleschi, destinati a durare il tempo di una parata o di un carnevale.
Nell’intera installazione è sottintesa l’idea di rigenerazione. Idea urlata nel giardino d’ingresso dai segni di fuochi rituali, come quelli della notte di San Giovanni al solstizio d’estate dove pupazzi in paglia vengono bruciati per cacciare la malasorte, sussurrata dalla mezza figura del Buddha e dai segni del fuoco sui resti di alcune figure giganti, dichiarata dalle sculture ancora intatte nell’ultima sala. “Il Buddha è un simbolo che noi tutti conosciamo ed aiuta a non pensare solo alla distruzione, perché è legato all’idea di rinascita delle filosofie orientali. Le parti del corpo rappresentate evocano sia l’idea della celebrazione che del concerto, ma vederle nel buio attraverso le pulsazioni di luce, sicuramente ci richiama, come dei flash di memoria, le emozioni vissute durante un concerto.” Francesco Stocchi.
La ciclicità della vita e il ripetersi degli eventi è raccontato dal team del Padiglione Svizzero anche e soprattutto attraverso i materiali.
“Quando si allestisce il palcoscenico di un concerto si arriva, si monta e poi si smonta e non ne rimane più nulla. Dal processo di creazione all’idea di sostenibilità e riciclo il passo è stato breve, nessun intento ideologico dietro la nostra scelta, è stata più una necessità pratica e anche concettuale.
Abbiamo preso possesso del Padiglione a Novembre e non è stato necessario spostare o fare arrivare i materiali. Tutto è nato nel padiglione, un po’ come in un rito. L’allestimento è stato pensato lavorando sulle possibilità che ci dava il luogo, grazie all’unicità del Padiglione e dei Giardini della Biennale. Qui sono state realizzate le sculture, montato e bruciato il materiale e alla fine della Biennale tutto sarà riassorbito.
Il materiale grezzo che abbiamo usato ha una sua storia ed esisteva prima di arrivare nel nostro padiglione. Abbiamo lavorato, infatti, con una società di Marghera, Rebiennale, che utilizza materiali di precedenti eventi. Il legno, ad esempio, viene da alcuni pannelli del Padiglione del Cile di una precedente edizione della Biennale di Architettura. Noi li abbiamo tagliati a fascine di uno o tre millimetri per ricoprire la struttura, sempre in legno, delle figure di Latifa. La ghiaia nell’ultima stanza arriva dai giardini stessi. Il modo in cui abbiamo utilizzato questi materiali per allestire il Padiglione, renderà loro possibile una terza e una quarta vita, sempre attraverso Rebiennale e i suoi canali. Questo processo circolare rafforza l’idea di ciclo, di continuità e di memoria che volevamo trasmettere con il nostro progetto.”
La mia visita con voi al Padiglione Svizzero finisce qui. Latifa è riuscita a trasferire le emozioni di estasi e di catarsi che si provano quando si esce da un concerto? A voi la risposta…dopo la visita al Padiglione.
The Concert di Latifa Echakhch – Video: Samuele Cherubini – Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia
REBIENNALE Marghera nasce nel cuore di Venezia da cittadini, architetti, artisti, studenti e attivisti politici che hanno trovato il modo di ridurre gli sprechi e gli scarti nella costruzione dei Padiglioni, rigenerando i materiali che possono avere così più vite. Oggi R3B (Reuse, Recycle, Rebuild) è un’evoluzione della storica piattaforma.
Latifa Echakhch nata in Marocco, vive e lavora in Svizzera. Artista visuale, crea sia dipinti che installazioni con i più diversi materiali. In Italia è rappresentata dalla galleria Kaufmann Repetto (Milano/New York)
IG: latifa.echa
Francesco Stocchi è curatore di arte moderna e contemporanea al Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam ed è responsabile del programma artistico della Fondazione Memmo di Roma.
www.boijmans.nl
Alexandre Babel batterista, compositore e curatore, è considerato un punto di riferimento per la scena della musica sperimentale e l’interpretazione dei repertori del XX e XXI secolo.
https://alexandrebabel.com
Anne Weckström light designer, vive in Finlandia ma lavora a livello internazionale progettando e gestendo luci in concerti dal vivo o performance artistiche.
https://anneweckstrom.com
Articolo molto ben fatto che aiuta a comprendere la nuova arte anche a chi di arte non se ne intende o è scettico verso una nuova prospettiva. Di sicuro incuriosisce il visitatore e lo spinge a mettersi alla prova. Complimenti
Grazie Gloria! Incuriosire e spingere a interrogarsi, vedere e vivere l’arte in prima persona è proprio l’obiettivo che mi pongo quando scrivo o faccio un reportage.