La mostra Atelier Sospeso continua fino al 13 aprile presso il Circolo Virtuoso a Torino con Benedetto Bonaffini, Elisa Camurati, Vanessa Depetris, Romina Di Forti, Cecilia Gattullo, Tiziana Inversi, Alessandra Nunziante, Beatrice Sacco. Presentiamo qui i testi teorici dedicati ai singoli artisti.
Cecilia Gattullo
Un dittico segna, ai nostri giorni, una scissione: non è più pala d’altare, né tavola per iscrivere qualche memorabile celebrazione. Ecco l’uomo ritornato al vortice ciclico, inevitabile, della creazione. Il romantico tormento reso da ventosa perturbazione, tempesta scrosciante sulla selva, sulla tela, sull’arruffato prato. La ruota d’un occhio chiuso segna le macchie del solco strozzato. Giù nella stretta della vista, tesa ogni palpebra dei sensi ormai spossati, la presa d’aria è serrata in bianco e nero. Resta rosso il pulsare, sotto, dell’arteria.
Benedetto Bonaffini
La collettività generalmente esprime, nelle proprie strutture, tutta la malinconia del tramonto. L’occidente, vago eppur tremendo. Talvolta, invece, emergono, dall’urbano scenario, i colori chiari dell’alba, per candido abbandono; i profumi della sera, ché gli abitanti cittadini rimpiangono le distese di lavanda degli atavici giardini; la notte blu, dove un balcone acceso reclama l’assenza d’un amore. Su pannelli, fogli, manifesti, si riversano, nel pubblico spazio dedicato, le emozioni delicate di ogni senso, intime private, come un cemento rigettate: tiepido.
Beatrice Sacco
Comporre, infine, un libro della storia, chiudendolo per sempre. Ecco la scrittura fisica incisa, bifronte. L’impronta ed il rilievo, in negativo, dove non riconoscere l’autore, ma il polso, la mano di un agente scisso, interrotto talvolta per comando superiore, frantumato in ascesa discesa ad inferi, ai cieli chiari. Lui-lei, sul triclinio adagiati per l’eterno, in dorata assuefazione dipendenza. In altri luoghi, dell’anima e del mondo, un demiurgo ordina i caratteri del viso, magia della matrice che rimane stretta, resta in ombra, nel destino si modella.
Alessandra Nunziante
Il volo è forza e velocità. Per la partenza, per la sostanza, la durata e capacità. La musica, al di là della composizione, esprime, allo stesso modo, un percorso, una strada – mai univoco oggetto, né monologo – dove energie sotterranee, subacquee, contemporanee, emergono con un’urgenza elettrica, per innovazione tecnologica, socio-relazionale, utilitaristica. Evoluzione compie rivoluzione da sempre industriale operosa. Il risultato si concretizza come perla, diamante, gioiello. Mongolfiera e dirigibile, sommergibile e silurante si equivalgono, nella costantemente nuova armonia dettata dall’umano. Un tempo, erano scale per scendere e salire, legno per galleggiare, cielo stellato da sognare quale infinito modello.
Tiziana Inversi
Un sentiero si spinge sempre oltre, al di là di ogni volontà dei viaggiatori. È la storia del linguaggio, che ci sopraffà. Nomadi per destino e passeggeri, imbocchiamo quella via, anche se la sappiamo infinita, per intuizione, per definizione, per sentito dire. Talvolta, ci correggiamo, ormai dipendenti o sconfitti dalle consuetudini. Un ritocco può dare un tono di calore al nostro panorama. Infine, dipingiamo la traccia che, di volta in volta, lasciamo su un paesaggio sterminato. Il passo che ritraiamo per vederci chiaro, per aggiungere punti e strutture, legna al nostro fuoco, alla mira: prospettiva e risoluzione.
Romina Di Forti
La bocca, non soltanto, ci dichiara. Espressione nitida è definitiva conseguenza di grammatiche e, ancora, di sintassi. Ecco formarsi il linguaggio, in costruzione naturale, da saliva gusto urgenza aiuto fauci. La cifra da deglutire sono le spine del roveto che si affaccia, insidioso, al nostro sguardo. L’occhio vuole la sua parte, curioso viziato e possessivo, infante. Contemporaneamente, il tatto indugia su una superficie che tanto amalgama, e la luce ci lascia un sentore che taglia tutti i sensi, fin giù all’olfatto. Un petalo a segnalibro della lettura dell’universo tutto, tondo, per la vista nuova, a memoria della mente.
Vanessa Depetris
Si lava, si asciuga e si cicatrizza la ferita. A strati, la benda attivamente si identifica come protesi del verbo, di variabilità linguistica celata – del cambiamento, infine. Si stende, si arrotola, talvolta si mummifica, la vita. È il tempo che ci impone una verifica, a posteriori, dell’esito espressivo. Siamo certo forti, dalla nostra, di poter sfruttare ogni vettore di energia, farci trasportare: nell’esperimento, nell’osservazione; nella trita, finanche, quotidianità. L’opera è finita quando si concreta e passa, nell’ambito dei secoli, per l’utilità che sia. Il suo alone vola tra i mortali. È a metà, da sempre, questo quadro, quando costruiamo. Noi, umani, battezziamo: il resto è storia.
Elisa Camurati
Poeticamente l’universo si de-finisce, seguendo modalità linguistiche di sospensione, stimolo e gestazione, lenta sedimentazione. Così accediamo alla conoscenza tramite un gioco di frammenti, ricomponendo lo specchio rotto della nostra identità. Tutto è qui, risoluto sempre e immediatamente a sprazzi brevi, fulmini che abbattono le colonne dell’abitudine, dove a uno spazio corrisponde un tempo chiaro, puntuale. Le foglie leggiadre, della finzione corinzia, fioriscono intorno al vaso che contiene tale sofferenza, questo dolore: frequenza metrica di sensazioni quasi esatte. Noi non siamo.