Incontro Ezio Gribaudo nel giorno del suo ottantanovesimo compleanno, il 10 gennaio 2018. Nel suo studio a Torino, progettato dall’architetto Andrea Bruno nel 1974 e premiato da Architetture Rivelate nel 2014, osservo le nuove produzione di papier mâché: una serie di opere inedite del 2017, che verrà esposta a marzo 2018 nell’ambito di una mostra collettiva a cura di Stefano Cecchetto presso il Museo del Paesaggio di Torre di Mosto (VE).
Piccole sculture di cartapesta, create e successivamente scomposte e divise dall’autore stesso, si affacciano, aprendo una dimensione altra, da opere in tecnica mista su tela. Questi lavori conservano appieno una delle caratteristiche cifre stilistiche di Ezio Gribaudo: quella teatralità che fa della pittura e dell’accostamento estraniante degli elementi e dei materiali un linguaggio poetico universale. C’è una tenerezza particolare nella scoperta dell’interiorità di questi lavori, l’impeto di una curiosità innocente e la forza percepibile e sicura della storia e della memoria.
Sfogliando il Calendario 2018 ideato dall’artista utilizzando queste nuove creazioni, mi fermo a contemplare e catalogare la varietà delle forme e delle tematiche che entrano e, letteralmente, “fuoriescono” dalla produzione di Ezio Gribaudo: i flani tipografici mi ricordano i legami stretti e sentiti con l’editoria d’arte, alcuni manichini abbozzati mi fanno ripensare al sodalizio con l’artista Giorgio De Chirico, i dinosauri alla “leggendaria” produzione accompagnata dai testi di Fruttero & Lucentini, il profilo e le ombre di Pinocchio in alcuni quadri riportano la mia attenzione al libro d’arte recentemente pubblicato con i testi di Victoria Surliuga.
I.F.: Il processo creativo che ha informato la grande serie dei lavori di Pinocchio è, per scelta, fortemente metaletterario.
E.G.: Ho sempre giocato, a causa della mia grande passione per l’affresco romanzesco e per la letteratura d’avanguardia, con le categorie della poesia e della narrativa. Le immagini si ritrovano sulle mie tele come appena uscite da un archivio di Borges. La memoria si trasforma in uno stipato cassetto della scrivania di un creativo cronista, una gabbia inevitabile in cui il sogno più grande continua a essere la libertà. Seguendo le imprescindibili lezioni del Surrealismo e di Dada, ho cercato di ridonare spazio alla fantasia, all’interno delle affascinanti frontiere dell’umano: la pagina bianca e lo spazio circoscritto e scenografico della scultura. Esporrò presto, in primavera, una serie di Gabbie e di Bianchi alla storica Galleria Niccoli di Parma, per una mostra che riporterà in luce due temi della mia pratica estetica: il teatro come libera associazione di ricordi e nuove formule, e l’editoria d’arte in quanto lente d’ingrandimento sulla società e lezione di memoria. In fondo, mi ripeto sempre, con consapevolezza ed ironia: “Verba volant…”
I.F.: Il linguaggio impresso come strumento di indagine, a partire dall’archeologia in quanto coscienza dei limiti e, allo stesso tempo, volontà di segnare le tappe della storia. L’artista Ezio Gribaudo agisce sempre su una stratigrafia, mettendo in discussione forma e sostanza dell’espressione e della comunicazione.
E.G.: Un mio logogrifo del 1969, Allemande de Bach, è esposto in questo momento al Castello di Miradolo nell’ambito della Mostra “Fausto Melotti. Quando la Musica diventa Scultura”. I logogrifi sono reti per immagini, e qui la composizione della danza barocca rivisitata da Bach diventa un’impressione di segni, utili tanto alle dita di un musicista, quanto a quelle più curiose e ingenue di un appassionato dell’arte contemporanea. L’itinerario creativo di Melotti, corredato in questo evento da personali aforismi, dialoga nella sezione «Assonanze» con il mio lavoro accanto, tra gli altri, a quelli di Lucio Fontana e Paul Klee. A tal proposito, ho recentemente ritrovato una pubblicazione del 1966, a cura di Enrico Pellegrini. Nelle Edizioni dei Quaderni di Studio della Facoltà di Architettura di Torino, la collana dei grafici comprendeva sei artisti: insieme a me, Paul Klee, Piet Mondrian, Battista Pininfarina, Alvar Aalto e Lucio Fontana. Io, allora, presentavo I Flani, superfici industriali di stampa che piegavo alla pratica artistica, trasformandone aspetto e scopo. Venivo riconosciuto, nell’anno in cui vincevo il Premio per la Grafica alla XXXIII Biennale di Venezia, come un innovatore dei meccanismi mediatici, che già trasponeva i processi editoriali e i termini della produzione seriale su un inconsueto piano simbolico, dove ogni elemento può permearsi di innumerevoli e talvolta insospettabili significati.
I.F.: Mediazione dei processi e operazioni grafiche legate alla leggerezza dei materiali, incisioni lievi su carta buvard, stratagemmi di un leucofilo, come Giorgio De Chirico l’aveva definito per la sua passione stilistica per il bianco. Ma, sul fronte opposto, tanto lavoro sui colori, sulla liberazione istintiva dell’espressività cromatica…
E.G.: I Logogrifi Colorati, del 1973, erano stati presentati nel maggio 1974 alla Galleria Michaud di Firenze in una doppia personale insieme a David Hockney. Conservo ancora un interessante catalogo di quell’esposizione. David proponeva il racconto grafico ispirato a “A Rake’s Progress” di Hogarth, per il quale si serviva liberamente degli schemi narrativi tradizionali e li riempiva di proprie impressioni di viaggio a New York. Io, in dialogo col suo lavoro, mettevo in scena un immaginario percorso per le sabbie dell’Egitto del 3000 a. C., con dieci tavole rappresentanti Piramidi di lettere e simboli. Parallelamente, avevo utilizzato gli intervalli ritmici dei miei logogrifi per riavvicinarmi al colore e sondare ulteriormente le potenzialità della tecnica mista. Una delle mie tante avventure, strettamente legate al dialogo, al confronto, al desiderio di reinventarmi continuamente. D’altronde, più di dieci anni prima, tra il 1961 e il 1963, avevo già iniziato ad esporre alla storica Galleria del Cavallino di Paolo Cardazzo, a Venezia. Quest’anno, a settembre, ci ritornerò per l’esposizione dei suoi Archivi. Dall’artista ci si aspetta presenza e responsabilità. Corsi e ricorsi storici mi chiedono di rivisitare progressivamente le mie creazioni, intervenendo in una sorta di magico diario artistico: documento e, allo stesso tempo, improvvisazione sul tema! Così che io possa ancora ripetermi, per ogni mia esperienza: “Scripta manent!”