Ha inaugurato all’Accademia di Belle Arti di Torino la mostra Radu Dragomirescu, Tempo di un bel rosso, rosso, viola.
Questo il titolo della personale dedicata all’artista e docente rumeno da decenni residente in Italia, a cura del direttore dell’Accademia Edoardo di Mauro. In questa occasione lo spazio espositivo, l’ipogeo della Rotonda del Talucchi, è stato dedicato alla figura di Fiorenzo Alfieri, già presidente dell’Accademia dal 2013 al 2019 e grande personalità della cultura torinese, scomparso lo scorso dicembre.
In mostra, nei suggestivi spazi circolari dell’ipogeo che creano naturalmente un percorso circolare – in questo caso particolarmente adatto alla ricerca di Dragomirescu – un’ ampia selezione di opere a parete in grafite su superficie nera, installazioni ambientali a pavimento e disposte e su grandi tavole con nature morte, fili di tessuto, object trouvé, elementi ricorrenti ed emblematici del lavoro dell’artista.
Come afferma nel testo in catalogo che accompagna la mostra Edoardo di Mauro: “Il lavoro di Dragomirescu è in grado, per la sua complessità culturale che non si traduce, però, in ermetismo e si presta ad essere penetrata e compresa dagli spiriti sensibili e recettivi, di simboleggiare la storia artistica italiana ed europea degli ultimi cinquant’anni, emblematici di un divenire che alterna repentine fughe in avanti a corse a ritroso in un tempo di pari vicino e remoto, ma non solo.
La sua poetica, pur presentando indubbie sintonie con movimenti nati a contatto con il genius loci italiano, collocati in un decennio tra i primi anni anni Settanta ed i primi anni Ottanta, tutti successivi all’ondata del Concettuale e dell’Arte Povera, ma traenti al tempo stesso ispirazione da questi, è stata in grado di conseguire notevoli consensi in campo internazionale, in virtù di un percorso coerente e riconoscibile, in cui si rinvengono elementi base del linguaggio dell’avanguardia, che fanno di Radu Dragomirescu un’artista in meditata sintonia con il proprio tempo, ma di pari non facilmente incasellabile in una precisa corrente.
L’iconografia di Dragomirescu è volutamente inattuale, nei termini della cronaca e della sociologia spicciola, ma al tempo stesso eterna e necessaria, implicita da sempre allo scorrere dell’esistenza. L’artista cita il “qui ed ora”, ricorrendo a temi mitici ed archetipi, quindi contemporanei, in quanto riferiti alla condizione umana in relazione non solo al proprio tempo, ma all’universo naturale che la circonda e che ne determina l’esistenza oppure la fine.
Le sue tematiche prevalenti come la dimensione del segno, il dualismo tra luce ed ombra, vita e morte, visibile ed invisibile, il ricorrere a simboli sacri e sapienziali, si mostrano a noi con la valenza di un enigma aperto a molteplici interpretazioni.”
Radu Dragomirescu nasce in Romania; si trasferisce (in modo rocambolesco, come lui stesso racconta) fin dagli anni Settanta in Italia, pur mantenendo contatti saldi e continui con la terra di origine, costruendo una carriera di assoluto rilievo internazionale anche grazie alla stima e al sostegno di molti artisti italiani (tra cui Luciano Fabbro, Achille Bonito Oliva, Cavellini) che da subito riconoscono la grande qualità tecnica e la profondità della sua ricerca, tanto da definirlo “il genio della grafite”.
E proprio sui disegni a grafite afferma l’artista: “Il disegno è un esempio di fragilità e poesia. I miei lavori su tela sono la mia volontà di portare un segno su un materiale sinonimo di immortalità e di solidità, di riflettere la fragilità dell’arte nel suo elemento più forte. Il segno inciso non permette errori, a volte ciò che è un ricordo si trasforma nell’opera in poesia”.
Interessanti anche le dichiarazioni poetiche che punteggiano la mostra, e che dimostrano una forte attitudine dell’artista alla poesia e alla filosofia. Tra queste:
In una linea il mondo si unisce,
con una linea il mondo si divide,
disegnare è bello e tremendo
Negli anni ‘80 e ‘90 Dragomirescu consolida ulteriormente il rapporto con il nostro paese tramite la pratica dell’insegnamento, approdando all’Accademia Albertina, di cui è stato stimato docente di Pittura, contribuendo con il suo magistero all’affermazione e valorizzazione di numerosi giovani talenti.
I suoi lavori presentano una serie di simboli ripetuti quasi ossessivamente: croci, alberi, la stella di David incastrata in un cuore,emblemi che hanno chiari riferimenti anche alla politica; afferma l’artista: “[…] L’arte è gioia ma deve dare segnali, anche politici. I miei sono segni di pace e poi nei miei lavori torna sempre il nero, la grafite, i ricordi di quando scavavo nei resti archeologici del Mar Nero; il passato significa futuro. Le mie tele e lamiere disegnate sono fragili, le loro immagini danno una impressione di solidità, una presenza nella loro focalizzazione. Il loro ruolo per me è di fondamentale importanza per una riconsiderazione dell’idea di arte come rapporto pubblico-sociale”.
Per info