Patrizia Asproni ha eccezionalmente aperto le porte del Museo Marini Marini di Firenze, situato nel cuore della città e attualmente sottoposto a restauro, per parlarci delle attività in corso sotto la sua presidenza e della riapertura del museo al pubblico, prevista per il prossimo ottobre.
La dottoressa Asproni, dopo l’esperienza che la vista al vertice della Fondazione Torino Musei, da due anni presiede il Museo Marini Marino di Firenze: realtà unica nel suo genere, è un luogo che racconta molti secoli di storia fiorentina, palinsesto architettonico e di funzione sociale e religiosa, a partire dalle fondamenta romane ancora visibili nella cripta, alla pianta a croce latina della sconsacrata chiesa di san Pancrazio, di cui conservano ancora tracce di affresco nella cupola. La chiesa è stata anche in passato sede della Manifattura Tabacchi, come testimoniato dalla presenza di carroponte; infine, il Museo Marino Marini è nato dalla volontà congiunta di Marino e Marina Marini, che alla fine degli anni Settanta individuarono nell’antica chiesa sconsacrata un’adeguata sede per la ricca collezione del maestro pistoiese, che fu formalmente donata alla città di Firenze nel 1980.
La ristrutturazione della chiesa è opera degli architetti Lorenzo Papi e Bruno Sacchi che hanno interpretato le idee dell’artista e di sua moglie, realizzando spazi ampi e luminosi che sfruttano appieno le altezze e moltiplicano i diversi punti di osservazione sulla produzione dell’artista. Vi sono conservate 182 opere fra sculture, dipinti, disegni e incisioni. Dal 2013 al Museo è stato annessa, grazie all’apertura di un apposito passaggio, la cappella Rucellai (il museo è situato alle spalle dell’omonimo palazzo) che custodisce al suo interno il Tempietto del Santo Sepolcro, uno dei capolavori assoluti di Leon Battista Alberti e di tutto il Rinascimento italiano. Realizzato nel 1467, è copia in scala di quello di Gerusalemme; nel 1808 la cappella fu separata dalla chiesa che venne sconsacrata e trasformata, per editto napoleonico, in una sala d’estrazione della Imperiale Lotteria di Francia. Oggi fa parte del complesso museale, ed è stata riaperta anche al culto cattolico, per cui il sabato si svolge la Santa Messa: un caso più unico che raro di luogo di preghiera all’interno di un museo di arte contemporanea.
Dottoressa Asproni, anche durante il periodo di chiusura il museo non è stato fermo, ha lanciato un nuovo premio internazionale, il Playable Museum Award, e lo scorso giugno è stato designato il primo vincitore. Di che cosa si tratta?
Il Playable Museum Award è nato da un concetto, che porto avanti da molti anni, per il quale ritengo che i musei siano prima di tutto dei laboratori di creatività e futuro. I nostri musei, le biblioteche, gli archivi sono non solo luoghi di conservazione, tutela e memoria, ma proprio per queste caratteristiche rappresentano quello che le grandi “net company” chiamano Big Data, una enorme, gigantesca, preziosissima banca dati che rappresenta la vera ricchezza del nostro patrimonio culturale. Penso che in Italia questo patrimonio non sia utilizzato nelle sue reali potenzialità: i musei infatti, tranne rari casi, sono visti come luoghi statici, certamente non proiettati nel futuro. Ho sempre affermato che per me la cultura è come l’acqua, e non come il petrolio (definizione che aborro): è risorsa indispensabile alla vita, deve essere accessibile a tutti, è un diritto per tutti. Quello che vorrei dunque realizzare qui a Firenze è un processo che avevo iniziato già a Torino con MUSEUM: VISION 2026, cioè quello di offrire una risorsa importante alle nuove generazioni di creativi: una sorta di “jumpgate“, una porta di ingresso al futuro di ciò che accadrà alle esperienze museali e come queste influiranno direttamente sulle componenti sociali ed economiche della società. La sfida è trasformare i musei in luoghi di produzione culturale, spazi di contaminazione dove sviluppatori, makers, artisti, storytellers, designers lavorino ad una sintesi tra passato e futuro, tra tecnologia e umanesimo, per un nuovo Rinascimento che utilizzi i grandi data del passato per proiettare il futuro.
Quale è stato il passo successivo?
Ho coinvolto per affinità di pensiero Fabio Viola, giovane e dinamico game-designer, di cui avevo letto il bel libro “L’arte del coinvolgimento. Emozioni e stimoli per cambiare il mondo”, nella ricerca di un’idea innovativa e Fabio mi ha proposto un award sull’esempio di quello già indetto con successo per le Playable Cities. L’idea è quindi stata quella di chiamare a raccolta creativi e immaginatori da tutto il mondo per dar vita ad una piattaforma collettiva, aperta ed accessibile, dove far confluire idee fuori dagli schemi per creare un museo “playable”: luogo di azione ed interazione tra persone, collezioni e spazi. Dove il museo diventa hub di innovazione, destinazione primaria per gli audaci innovatori e soggetto attivo nel disegnare il futuro. Il Museo Marino Marini ha quindi lanciato la “call for creative and playable ideas“, offrendo al vincitore un grant di 10.000 euro e la mentorship da parte di figure internazionali di rilievo nei settori cultura, design ed innovazione.
Quale è stata la risposta?
La “chiamata alle idee” ha avuto un’ottima accoglienza, abbiamo ricevuto 240 progetti da tutto il mondo perché abbiamo coinvolto ambasciate e istituti di cultura italiani, università, centri moda e design. Ben il 75% delle proposte è arrivato dall’estero, a riprova del fatto che per gli altri paesi iniziative del genere siano più comuni e raccogliere le sfide più coinvolgenti. Curioso che per gli italiani il fatto di aver eliminato a priori burocrazia e “paletti” vari sia stato in un certo senso spiazzante. Tutti si aspettano modulistiche farraginose e regole fumose. Il Playable Museum Award è stato una best practice anche in questo: tutti hanno potuto partecipare, tutte le idee sono state accolte, tutti hanno avuto la stessa opportunità di vincere.
Tra le proposte, oltre a quella che ha vinto, c’è stata qualcuna soprendente?
Sì, ho trovato bellissimo che fra le molte idee tecnologiche visionarie pervenute abbia partecipato anche un falegname che ha proposto un suo dispositivo artigianale e realizzato interamente a mano: creatività vera!
Il Playable Museum Award se lo è aggiudicato un giovane interaction designer e ingegnere indiano, Arvind Sanjeev (nato nel Kerala, India nel 1991, formatosi al centro di design di Copehagen, oggi vive e lavora in Svezia) con il progetto LUMEN, quella che io definisco una torcia magica, che unisce realtà aumentata e realtà virtuale, che si può proiettare come un ologramma sulle opere di un museo. La giuria internazionale – formata da Giorgia Abeltino, Yuval Avital, Antonio Lampis, Jeffrey Schnapp, Fabio Siddu e Massimiliano Zane – ha premiato Lumen perché ha colto perfettamente lo spirito dell’ Award. Un progetto che ha saputo coniugare creatività manuale, innovazione tecnologica, scalabilità, interazione con e tra il pubblico e lo spazio museo, trasversalità e contaminazione delle competenze”. LUMEN è una piattaforma di mixed reality storytelling che permette al pubblico di immergersi in una realtà alternativa – AR/VR – attraverso tecnologie per il machine learning e il video mapping. Esplora la creazione di un nuovo tipo di media che sfrutti il mondo o spazio fisico sovrapponendogli la digital fiction. Tutto questo grazie ad un device altamente tecnologico che permette alle persone di creare e raccontare le loro storie attraverso interazioni magiche con l’ambiente e lo spazio in cui si trovano.
Il progetto verrà presentato alla riapertura del museo?
Sì, la cerimonia ufficiale di consegna del grant avverrà alla riapertura del museo, in autunno, con la presentazione dei progetti finalisti e della piattaforma online dedicata al premio; a gennaio 2019 sarà lanciata la seconda edizione della call.
Quanto sono durati i lavori di ristrutturazione del Museo?
Circa un anno, interventi urgenti a trent’anni dalla sua fondazione, che prevedono non solo, finalmente, gli impianti di climatizzazione, ma la messa a punto di interventi urgenti trascurati nel passato per mancanza di risorse.
Quando ti sei insediata alla Presidenza del Museo, due anni fa, quale era il percepito del Museo Marino Marini dagli stessi fiorentini?
Un museo che si era posizionato su un segmento contemporaneo di ottimo livello ma quasi sconosciuto alla maggioranza dei cittadini e dei turisti. Abbiamo perciò avviato un programma denso di attività volto a portare e fidelizzare il pubblico, con esposizioni temporanee ma soprattutto con il coinvolgimento della cittadinanza in eventi collaterali a forte partecipazione e interazione. Con il ciclo Director’s Cut, abbiamo invitato i direttori dei musei a parlare della loro personale esperienza “dietro le quinte” dei musei, con il ciclo sull’arte contemporanea abbiamo lanciato un forte dibattito, con il ciclo What’s Next sul futuro dei musei abbiamo coinvolto personalità del calibro di Jeffrey Schnapp, direttore del MetaLab di Harvard, con la ripresa delle messe in Cappella Rucellai e le conversazioni su arte e spiritualità abbiamo coinvolto un pubblico che solitamente non entra in un museo di arte contemporanea. Quando abbiamo iniziato si presentavano non più di 30 persone, nell’ultimo incontro ne abbiamo contati oltre 250, il massimo che il museo può contenere. Abbiamo quindi iniziato a modificare la percezione dei cittadini nei confronti del Museo Marino Marini….
Quale è stato il tuo approccio strategico per riposizionare il museo?
Rivolgersi alla cittadinanza e al turista più colto e attento, meno mainstream. I fiorentini si sentono a volte un po’ defraudati dei loro musei, presi d’assalto dai turisti di tutto il mondo. Noi abbiamo voluto restituirgli quella dimensione confidenziale che erano abituati ad avere con l’arte e la cultura, una dimensione rinascimentale però proiettata sul presente e sul futuro.
Dal museo però si accede, da qualche anno, anche ad un capolavoro assoluto dell’arte rinascimentale…
Sì, la Cappella Rucellai, un unicum straordinario dell’architetto-artista rinascimentale Leon Battista Alberti, in cui abbiamo ripreso la tradizione della Messa: un atto straniante in un museo di arte contemporanea, in fondo una azione artistica molto contemporanea . Una particolarità molto importante, che rende il Museo oggetto di studi, è rappresentato dal progetto di accessibilità per i malati di alzheimer: come numerose ricerche sulle neuroscienze attestano, l’arte contribuisce a rallentare il processo di invecchiamento neurovegetativo e migliora la qualità della vita di coloro che ne fruiscono, per cui i pazienti, assistiti da medici e infermieri e dal nostro laboratorio di didattica, vivono gli spazi del museo come un laboratorio creativo, improntato al concetto di responsabilità sociale. Il progetto “l’arte tra le mani” ha riscosso attenzione a livello internazionale ed è stato presentato alla conferenza internazionale “the creative age: global perspectives on creativity and aging a Washington.
Quali i programmi per il prossimo futuro?
Con la riapertura in autunno ripartirà la programmazione museale. Per questo abbiamo creato la figura, del tutto originale nel panorama dei musei, del Visiting Director: affidiamo ogni anno al direttore di un altro museo, italiano o estero, la nostra programmazione, a sua ideazione e proposta. Nel 2018 ho invitato Dimitri Ozerkov, responsabile dell’Hermitage Modern and Contemporary che coinvolgerà dei giovani artisti russi in un dialogo con Marino Marini e Leon Battista Alberti, mentre per il 2019 abbiamo già individuato il prossimo direttore in un museo oltreoceano dal forte carattere innovativo . Il Museo infatti si propone come laboratorio anche per i direttori, in forza di questa straordinaria stratificazione storica, archeologica, architettonica, persino spirituale.
Quale dunque il visitatore futuro del Museo Marino Marini?
Il Museo è, e deve essere, sempre più luogo di accoglienza e di incontro, vissuto come tale dai fiorentini e dalla città. Un luogo aperto alle idee, all’innovazione, al coinvolgimento. Sono fiduciosa che questa sia la strada giusta, e lo provano le persone che sempre più si sentono parte del progetto.
Il punto dolens: i fondi per far vivere un Museo…
Un punto dolente per tutte le istituzioni culturali. Abbiamo contributi pubblici che però non sono sufficienti, quindi abbiamo cercato di coinvolgere soprattutto i privati e devo dire che l’accoglienza positiva delle nostre richieste mi fa ben sperare per il futuro!
Per info
Piazza San Pancrazio, Firenze