Nel 1967 Germano Celant conia il termine di “artista alchimista”, indicando l’Arte Povera di Jannis Kounellis, Gilberto Zorio e Pier Paolo Calzolari, interessati all’utilizzo, che si può interpretare in chiave alchemica, del carbone (simbolo della nigredo), dell’oro e del mercurio. Rimandano all’Opus Magnum alchemica anche le macchine di Rebecca Horn: Zen of Aracon piume blu e gialle su supporti d’oro si apre e si chiude periodicamente, come a rievocare un rito misterioso. Riporta all’origine di tutta l’arte, Whi-te Sand, Red Millet, Many Flowers di Anish Kapoor, in cui le montagne di sabbia colorata, il puro pigmento, sono l’opera stessa.
Perché l’artista è un vero alchimista solo se da qui, da questa semplice polvere di colore, è in grado di costruire infiniti mondi. (© Riproduzione riservata – Dario Pappalardo – Arte e Alchimia – La Repubblica)