Mercoledì 27 marzo inaugurazione ufficiale della mostra DamArs a cura di Eva Amos e Anastasia Lavrikova presso Palazzo Durini a Milano. Trenta artisti emergenti si confrontano con i concetti di femminilità, seduzione, passione, rabbia, violenza, perdono e creatività. Scopriamo oggi il lavoro digitale di Marius Ashblow Monnalisa Arlequine con un testo critico dedicato alla sua produzione di modernariato infotmatico.
Anche se la comunicazione contemporanea si muovesse, per assurdo, attraverso canali obsoleti; un’interruzione momentanea dell’informazione potrebbe spalancare comunque gli stranianti sipari precedentemente impensabili. Marius Ashblow, da sempre impegnato in un singolare percorso di riappropriazione dei mezzi e supporti tecnico-informatici, opera in questo immaginifico interstizio digitale di black-out, fissaggio estemporaneo del disegno, fermo immagine schermato, successivamente riprodotto in variante e/o serializzato. Di riflesso, il pezzo unico ci riporta, dinamicamente, alla primigenia e coinvolgente tensione del video-game, di paint, della grafica interattiva. Per DamArs, l’artista torinese presenta Monnalisa Arlequine, omaggio al femminile post-moderno, dove la serenità impassibile e impalpabile di leonardesca memoria si impone, mascherata, in un contesto fluorescente e varipinto. Per una trasposizione degli elementi archetipici nella proto-attualità!
Marius Ashblow scrive di sé: “ASHBLOW nasce il 31/07/1962 a Torino. Manifesta l’interesse per l’arte sin dall’età scolare, dove si cimenta con tecniche tradizionali, quali olii e acquerelli, nella creazione di soggetti classici, paesaggi, nature morte e figure antropomorfe. Attraverso l’arte, Ashblow, riesce a esprimere le proprie emozioni; per lui i dipinti sono soprattutto un mondo di colori e forme dove smarririsi e sognare liberamente. Quando crea vive una tridimensionalità artistica, si sente partecipe dell’opera diventando lui l’opera stessa. La scena che sta dipingendo nasce da un contesto in cui è direttamente coinvolto; l’artista è così causa-effetto delle sue stesse creazioni. La dimensione di artista classico però gli sta stretta, i mezzi e le emozioni che gli fornisce la pittura iniziano a essere limitate; Ashblow si sente soffocare da questa situazione, come se si trovasse in un tunnel che si sta richiudendo su di lui senza offrire nessuna via per evadere. Inizia così una pausa di riflessione riguardo all’arte e ai suoi metodi; fintanto che non riuscirà a trovare una soluzione a questo disagio, l’artista non è deciso a continuare. Arrivano così gli anni 80, periodo nel quale conosce l’attuale moglie e si sposa. Sono anni “ruggenti”, dove tutto sembra possibile e a portata di mano. In questo clima di euforia inizia a lavorare come tecnico in un negozio di articoli tecnologici, oggetti rari per l’epoca visti i prezzi proibitivi. La musica e gli hifi, gli albori del videogioco
e i primi pc, lo affascinano. Sono tutti strumenti che restituiscono un input immediato allo spettatore; chi usa la tecnologia interagisce con essa attivamente immergendosi in una realtà tridimensionale. Nello stesso periodo gestisce un video club che lo delinea ancor di più come testimone di un’epoca: dal vinile al digitale, dai film nei cinema al salotto di casa. La tecnologia ha una dimensione umana.
L’oggetto che più lo affascina però è un proiettore Teach, che con le sue tre luci RGB proietta immagini
dinamiche e fa sentire lo spettatore partecipe della scena. Quella sensazione sembrava dimenticata, una
sensazione di completo coinvolgimento e avvolgimento da parte di uno stimolo, di un emozione. Lo stesso stimolo che l’artista cercava nei suoi quadri e che non era riuscito a far suo con le tecniche tradizionali; una lezione che lo porterà qualche anno più tardi a stravolgere le proprie regole e riuscire nel suo intento artistico….”