“ La natura delicata di Enrico Reycend” è il titolo della nuova mostra inaugurata presso la Fondazione Accorsi-Ometto, visitabile sino al 20 gennaio 2019.
A quasi trent’anni dall’ultima esposizione dedicata all’artista, curata nel 1989 da Angelo Dragone ad Acqui Terme, la Fondazione Accorsi riporta all’attenzione del pubblico e degli studiosi l’opera di Enrico Reycend (Torino, 1855 – 1928), artista torinese che a fronte di una certa fortuna in vita fu a lungo dimenticato dalla critica e dalla storia dell’arte del Novecento. L’esposizione, a cura di Giuseppe Luigi Marini in collaborazione con lo Studio Berman di Giuliana Godio, ripropone per via cronologica – ma anche tematica – il percorso umano e professionale di Reycend attraverso 70 opere, vedute di Torino e dell’amato canavese, silenziosi interni con figure, vividi scorci montani o del Ponente ligure (si vedano i bellissimi Il Porto di Genova e Porto di Genova di notte), nel quale amava trascorrere lunghi periodi; il tutto realizzato con una tecnica originale di ispirazione impressionista, filtrata attraverso la lezione appresa dai paesisti piemontesi e lombardi dell’’800 da cui però Reycend si distingue per una tecnica più vicina a suggestioni di matrice francese e un delicato senso poetico, in forza del quale restituisce in brevi pennellate vedute e figure, immerse nella luce.
Il titolo fa riferimento ad un celebre risposta che l’artista diede a Roberto Longhi, («Ma vede, per me la natura è sempre delicata») fautore di una importante rivalutazione critica dell’artista: Longhi donò la sua personale raccolta di Reycend alla Galleria d’Arte Moderna di Torino e in mostra sono esposti alcuni esemplari già appartenuti al grande critico, tra cui il bellissimo Donna in Bianco con bimba in rosso del 1900. Come racconta Giuseppe Luigi Marini nel testo che accompagna la mostra: “ […] Il saggio su Reycend, pubblicato nel 1952 da Roberto Longhi in «Paragone», segnò la riscoperta delle eccezionali qualità pittoriche di un artista semi-ignorato, la cui produzione, confrontata alla Biennale veneziana dello stesso anno con quella dei paesisti piemontesi nella sezione retrospettiva loro dedicata, si rivelò come determinante e imprescindibile momento del contributo subalpino alla pittura del maturo Ottocento.
Infatti l’artista, nato a Torino il 3 novembre 1855, aveva conosciuto una modesta fortuna inadeguata alle sue qualità solo nel periodo più tardo e grigio della propria produzione ed era poi stato confinato nel dimenticatoio, frettolosamente liquidato dalla storiografia artistica come dipendente dai tre maestri, Fontanesi, Delleani e Avondo, nei quali si è soliti riassumere le emergenze della pittura pedemontana ottocentesca. Ma appunto nel 1952 il contributo dello storico dell’arte promosse quel processo di rivalutazione culminato con la mostra tenutasi a Torino nel 1955 […] Sul lascito alla Galleria d’Arte Moderna di Torino Marini aggiunge: “[…] Se il gioiello del gruppo è probabilmente Giardino di Torino, la cui pacata malinconia è giocata tutta su toni avana con qualche raro tocco di rosso caldo, a Longhi piacque specialmente il quadro I dintorni di Torino, che gli sembrò rendere con acutezza ineguagliabile il limite incerto fra la campagna e la città, quel precario equilibrio che presto sarebbe stato distrutto e che l’artista – si può dire – viveva quotidianamente appartato, nella casetta di Borgo Po, ai margini di Torino”.
Reycend, nonostante riconoscimenti di prestigio tra cui le medaglie d’oro alla Donatelliana di Napoli, d’argento a Dresda, Genova, Ferrara, una menzione onorevole a Parigi e, alla sua morte, tre mostre alla memoria postuma, la maggiore delle quali alla Promotrice torinese, subì in vita alterne fortune anche a causa di vicende familiari particolarmente drammatiche (la malattia e la morte di ben 8 figli su 9), che lo costrinsero ad ingenti spese mediche e lo ridussero a produrre più per necessità che per scelta, riducendosi quasi in povertà. Questi dati biografici contribuirono a livellare la sua produzione verso standard qualitatativi più corrivi, che, uniti ad un carattere schivo, portarono il suo nome a essere ridimensionato e le sue quotazioni fuori dal mercato.
La mostra ha il merito di portare nuovamente alla ribalta un artista davvero fuori dal coro, un pittore torinese che è pienamente nell’ambito di una cultura impressionista, come afferma Marini: “Sia che ciò fosse dovuto a informazioni di prima mano che restano al momento indimostrabili […] sia che alla sostanza impressionista della propria pittura l’artista piemontese fosse pervenuto per un’autonoma intuizione, non muta la «realtà» storica e sentimentale che già era sostanza del suo temperamento di pittore applicato a rappresentare e interpretare lo spettacolo del mondo in funzione della luce. Ciò costituisce la sua unicità nella cultura pittorica piemontese, per non dire italiana, fra l’80 e il ’900 circa: l’inedito della sua opera. Perché dove i nostri paesisti a lui contemporanei scorgevano il mezzo di graduare il colore delle cose naturali, di differenziare cromaticamente, chiaroscuralmente o tonalmente gli oggetti del loro motivo, per Reycend la luce, con tutte le possibili modulazioni, divenne la «suprema protagonista dell’azione pittorica» (Marziano Bernardi, 1955). Anche la grammatica del linguaggio pittorico, che alle pennellate prima evidenti e scorrevoli andò sostituendo il picchettio a piccoli tocchi, a scandelle, sino a risolversi in una sorta di trepidante puntinismo potrebbe richiamare il fantasma di Sisley, benché frutto indipendente e misterioso di un’autonoma ricerca poetico-espressiva”.
Per info
Museo Arti Decorative-Fondazione Accorsi – Ometto
Via Po 55, Torino