La riscoperta dell’opera della scultrice torinese Maria Luisa Perroncito, a cura di Armando Audoli, è un’operazione raffinata che restituisce una corretta collocazione storica e un doveroso riconoscimento ad un’artista talentuosa e misconosciuta.
Lo studioso, in collaborazione con la Galleria Zabert di Roberto Grasselli (che in tempi non sospetti aveva acquisito dal mercato il notevole bronzo “Cavalli” del 1957, oggi riunito in mostra al suo gesso originale), ha ricostruito il percorso umano e professionale della scultrice con una scelta ricca e articolata di circa 60 opere (tra plastiline, gessi, terrecotte, bronzi e disegni), realizzate tra il 1947 e la fine degli anni ’70. Come racconta il curatore nel bel catalogo che accompagna la mostra: “[…] Quello di Maria Luisa Perroncito è un caso davvero singolare all’interno del complesso panorama della scultura torinese del secondo dopoguerra. Attiva in un periodo non facile per gli artisti legati alla figurazione plastica, successivo allo strepitoso fermento del ventennio littorio e alla violenta cesura del conflitto mondiale (traumatica sul piano estetico e professionale), questa scultrice di notevole forza e talento rischiava di essere completamente rimossa dal già limitato novero delle colleghe attive durante gli stessi anni nel capoluogo sabaudo.
Nata a Torino il 1 5 settembre 1927, Maria Luisa apparteneva alla buona borghesia torinese ed era pronipote del noto veterinario, patologo e parassitologo Edoardo Perroncito (1847-1936). Avendo dimostrato una precoce inclinazione per il disegno e per l’arte plastica, iniziò il suo apprendistato negli studi di tre illustri esponenti della statuaria cittadina: Edoardo Rubino (1871-1954), Gaetano Orsolini (1884-1954) e Felice Tosalli (1883-1958). Quest’ultimo, disegnatore sopraffino, nonché uno dei maggiori scultori animalisti a livello europeo, riteneva Maria Luisa la sua migliore allieva, intravedendo per lei una fulgida carriera di animalier. In effetti le prime prove della Perroncito, quasi tutte d’ascendenza tosalliana, erano assolutamente convincenti e rivelavano già una sicurezza di modellato non comune.
Tuttavia un’innata passione per la figura umana la portò presto verso altri lidi espressivi, spalancandole nuovi orizzonti culturali. Alle Biennali veneziane, visitate con una certa regolarità in compagnia dei genitori (a lei legati da un affetto eccedente), ebbe modo di osservare direttamente le opere di Henry Moore e Marino Marini, i due scultori che influenzarono in maniera decisiva la sua produzione più matura. Altro incontro determinante fu quello con il palermitano Giuseppe Tarantino (1916-1999), stabilitosi a Torino nel 1942, di cui divenne stretta e fidata collaboratrice, concludendo così il percorso di formazione. Il sodalizio con Tarantino diede un impulso significativo alla carriera espositiva della Perroncito, presente tra l’altro alla Biennale dell’Antoniano del 1958 (con un San Francesco e il lupo in gesso patinato, presente in mostra), alla Quadriennale Nazionale di Torino del 1964 e nel padiglione italiano dell’XI Fiera internazionale dell’artigianato di Monaco di Baviera, con una raffinatissima serie di gioielli in argento fusi a cera persa. Tarantino, presentando la prima e unica personale dell’artista, allestita nel 1961 nell’ambito del Settembre Saluzzese, le attribuiva il merito «di saper lavorare appartata e lontana dalle quotidiane tentazioni»,vedendo soprattutto tra le sculture sacre alcune prove «veramente notevoli per la loro semplicità e chiarezza».
La parabola della produzione dell’artista fu tuttavia di breve durata: […] Sul finire degli anni ’70, però, la produzione della scultrice (dotata fin da ragazza di una ipersensibilità “medianica” e di un temperamento mistico) iniziò gradualmente a diradarsi: era il sentore di un progressivo e definitivo allontanamento dalla scena artistica ufficiale, maturato nel decennio successivo, forse a causa dell’esasperarsi di una congenita tendenza al rifiuto di ogni mondanità”.
Aggiunge acutamente Adriano Olivieri nel testo in catalogo “L’urlo e il relitto. I percorsi segreti di Maria Luisa Perroncito”, a proposito delle peculiarità formali delle sue sculture: […] Sono figure residuali, larvali relitti umani di una civiltà in sfaldamento ma che oppongono, con la loro spettrale presenza, una passiva e ostinata resistenza. Attoniti giganti microcefali che logorano i propri ventri arrovellandosi su un presente enigmatico e la cui stirpe solenne risale a un Egitto arenatosi sulle sponde del Po, o a un’umanità tragicamente arsa dai roventi lapilli vesuviani come dal vento atomico di Hiroshima. […]
La mostra sarà visitabile sino al 17 gennaio 2020
Maria Luisa Perroncito. Un atelier ritrovato
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