Sarà visitabile sino al 9 di settembre la mostra “De Calder à Koons, bijoux d’artistes” al Musée des Arts Décoratifs di Parigi: in mostra i gioielli creati da 150 grandi artisti collezionati in 30 anni da Diane Venet.
Tra gli altri, opere di Max Ernst e Pablo Picasso, Alexander Calder e Salvador Dalì, Niki de Saint Phalle, César e ancora Gio’ e Arnaldo Pomodoro, Louise Bourgeois, Andy Warhol, ma anche artisti più attuali tra cui Jeff Koons, Damien Hirst, Anish Kapoor, Giuseppe Penone, Ai Weiwei, Sophia Vari e Wim Delvoye, Grayson Perry, Yayoi Kusama e Orlan, i fratelli Chapman, Erwin Wurm.
Questa particolare declinazione in ambito artistico, che particolare successo aveva avuto nel Secondo Dopoguerra, sta ora riacquisendo nuova attenzione da parte di pubblico e critica per le particolari connessioni con la ricerca degli artisti; spesso considerata, a torto, una espressione minore, è ora giustamente riconsiderata nel giusto valore. A questa rivalutazione contribuisce un discorso collezionistico, perché se per molti nomi (Picasso, Calder, Dalì, Hirst, Koons, Penone) i prezzi d’acquisto delle opere d’arte sono oggi per molti versi proibitivi, i gioielli d’artista rappresentano ancora una forma di investimento interessante, che può riservare ancora qualche sorpresa in termini di rarità, preziosità e possibile rivalutazione.
La mostra, che si avvale anche di prestiti interessanti provenienti dalla ricca sezione storica dedicata al gioiello attraverso i secoli (una sezione che da sola vale il viaggio per la scientificità e intelligenza dell’allestimento) nello stesso Museo di Arti Decorative, ma anche da importanti collezionisti privati, esalta la bellezza estetica e la componente storica degli esemplari esposti, che sottende alla scelta di molti artisti di misurarsi con l’arte orafa.Un atteggiamento che avviene spesso con atteggiamenti diametralmente opposti: pittori e scultori, nell’accostarsi al gioiello, spesso riducono nella dimensione e nei materiali la loro cifra stilistica, miniaturizzandola o adeguandola al corpo in modo letterale. Talvolta invece il gioiello (e questo avviene nella maggioranza dei casi selezionati) è stato il punto di partenza nel percorso creativo: questa scelta rivendica la pari dignità del gioiello come opera d’arte in sé compiuta, nell’annullamento tra arti maggiori e minori che Vasari già rivendicava: il gioiello non è evocazione, né riduzione e neppure alternativa: è fatto artistico. Un territorio dove dominano le competenze tecniche, dove astratto e figurativo sono estremi di un medesimo linguaggio che si esprime con un nuovo alfabeto che sa dialogare, o contrapporsi, con l’elemento corpo.
Proprio una riflessione sulle motivazioni e sulla poetica che sta alla base della creazione di un gioiello dà l’avvio al percorso espositivo: «La mia passione è iniziata quando Bernar ha avvolto attorno al mio anulare sinistro un filo d’argento finissimo, come simbolo del nostro legame indissolubile. Questo gesto così intimo mi ha spinto a riflettere sulla natura segreta che spesso sta all’origine di un gioiello».
La mostra si snoda poi come un vero e proprio percorso cronologico e tematico, sviluppando argomenti come “Flora e Fauna” o “Sogno e Fantasia” in cui è svolto il tema del Surrealismo con artisti come Dalì, Man Ray, Cocteau, e alcuni interessanti focus su alcuni artisti in particolare, il cui contributo in ambito orafo è stato particolarmente significativo. Un altro aspetto interessante analizzato in mostra è quello tecnico-esecutivo: solo una piccola parte degli esemplari esposti è realizzata dagli artisti stessi, ad esclusione di John Chamberlain, Louise Nevelson, Gio’ Pomodoro, Claude Viallat, Alexander Calder. Diversamente gli artisti realizzano bozzetti e l’esecuzione del loro progetto è affidata a un grande orafo. A Parigi uno di questi protagonisti, amico e confidente di molti artisti oltre che grandissimo artigiano, è stato François Hugo, di cui è esposto il prezioso catalogo di lavoro in cui appuntava i nomi degli artisti, i progetti, i disegni e le caratteristiche tecniche. Viene anche ricordato con una sezione la GEM Montebello, lanciata da Giancarlo Montebello e Teresa Pomodoro (sorella di Gio’ e Arnaldo) nel 1967 per realizzare “gioielli d’arte economici” in edizioni limitate di esemplari, sfruttando le tecniche della produzione semi-industriale e – fatto degno di nota – utilizzando materiali non considerati “preziosi” ma i più svariati, atti a restituire al meglio il lavoro e a contenere il prezzo. Montebello propone di fatto un vero e proprio esperimento di serialità “d’autore”, presentando sul mercato gioielli disegnati dagli artisti in edizioni limitate di esemplari, (sino a 200), numerate e firmate; oltre ai fratelli Pomodoro, César, Sonia Delaunay, Piero Dorazio, Lucio Fontana, Hans Richter, Larry Rivers, Niki de Saint Phalle, Jesús Soto e Alex Katz sono alcuni dei numerosi personaggi (più di cinquanta) con cui Montebello ha lavorato dal 1967 al 1978.
Molti infine gioielli realizzati in esemplare unico per Madame Venet da artisti contemporanei (come il bracciale di Pablo Reinoso) che hanno intessuto con lei un rapporto di amicizia e stima e che hanno accresciuto una collezione che è diventata anche un racconto emozionale per Diane, un diario di incontri e sinergie in continuo divenire. Passione che è rimasta in famiglia ed è idealmente proseguita dalla figlia Esther de Beaucé che, dall’apertura della sua galleria miniMASTERPIECE nel 2012 sulla Rive Gauche, diventata un punto di riferimento sulla scena internazionale, ha edito i gioielli di una trentina di artisti e designer e prosegue con attenzione una puntuale selezione e promozione del gioiello in tutte le sue fasi.
Per Info
De Calder à Koons, Bijoux D’Artistes. La collection idéale de Diane Venet
Musée des Art Decoratifs
MAD
107, rue de Rivoli
75001 Paris