Arte, denuncia e perdono contro la violenza
Artista, performer e attivista culturale Maria Madeira è la voce delle donne del Timor-Leste. Una performance dell’artista racconta la storia taciuta di queste donne il prossimo 19 novembre alle ore 10 presso lo Spazio Ravà, che ospita il Padiglione del Timor-Leste, coronando il successo del debutto di questa giovanissima nazione alla Biennale Arte di Venezia con l’installazione Kiss and Don’t Tell curata da Natalie King.
La performance è un atto di denuncia e di sensibilizzazione che apre il simposio di due giorni Ina Lou/Dear Mother Eearth: Sea, soil and Solidarity, in cui sono coinvolti anche i paesi del Sud-Est asiatico e il Portogallo.
Il 19 e 20 novembre artisti, curatori, attivisti, accademici e ricercatori si confronteranno davanti ad un pubblico internazionale su temi come le pratiche artistiche ecologiche, suolo e sovranità, acqua e benessere, e lo faranno attraverso dialoghi, performance e proiezioni di film all’interno dei tre padiglioni coinvolti e in altre sedi a Venezia: Spazio Ravà (Padiglione del Timor-Leste), Palazzo Franchetti (Padiglione del Portogallo), Palazzo Smith Mangilli Valmarana, Cinema Rossini, Ca’ Bottacin (NICHE).
L’installazione site-specific di Maria Madeira racconta, ancora una volta e a tutto il mondo, le violenze subite dalle donne timoresi durante l’occupazione dell’Indonesia e allo stesso tempo la ricchezza del patrimonio culturale intangibile del Timor-Leste. L’opera e la performance presentate a Venezia utilizzano materiali che provengono dal villaggio in cui è nata e rievocano canti, danze e riti ancestrali della tradizione timorese. L’impegno per tramandare la propria cultura e la determinazione nel combattere le ingiustizie subite dal suo popolo sono sempre presenti e all’origine del suo fare arte. In tutte le sue opere la forte connessione con la terra e le persone del suo paese d’origine è gridata, non sussurrata, non sott’intesa. Maria Madeira ha deciso di combattere la sua battaglia attraverso il racconto della verità, per non dimenticare, e la denuncia degli abusi e della sofferenza attraverso l’arte e la cultura.
Maria Madeira dà voce ad una rivoluzione silenziosa.
“La mia presenza alla Biennale di Venezia è stata l’opportunità più grande per essere la voce di coloro che hanno sofferto in silenzio le madri, le nonne, le sorelle, le zie. Questo è il mio contributo a far sì che la voce delle donne cresca ogni giorno di più. La nostra società è ancora molto patriarcale. Le donne crescono i figli, cucinano, lavano i piatti, si occupano di fatto solo dei lavori domestici. Le nuove generazioni iniziano ora ad andare all’estero per studiare e lavorare, avendo la possibilità di conoscere diversi modi di pensare.
Essere un’artista mi ha dato la possibilità di esprimermi più liberamente. All’inizio, quando sono stata scelta per venire a Venezia e rappresentare il Timor-Leste, molte persone sono rimaste scioccate, perché il 99,9% degli artisti nel mio paese sono uomini, conosco solo tre o quattro artiste. Partecipare alla Biennale è stato un sogno, un piccolo passo per me, un grande balzo per l’arte contemporanea e il popolo del Timor-Leste e motivo di speranza per le nuove generazioni. La mia presenza è stata il risultato di un lavoro di gruppo, il cui merito va anche al nostro meraviglioso Segretario di Stato per l’arte e la cultura, Jorge Soares Cristóvão, una persona di mentalità molto aperta. Crede nelle giovani generazioni e in chiunque possa offrire al Timor-Leste una possibilità di sviluppo, che si tratti di una voce femminile o maschile.” Maria Madeira
“Il lavoro di Maria Madeira è incommensurabilmente poetico, politico e anche potente e sono molto orgogliosa di lavorare a stretto contatto con lei come curatrice. Maria dice spesso che l’arte è l’anima di una nazione e credo che Kiss and Don’t Tell ci mostri come possiamo unirci attraverso le pratiche creative per condividere le storie del passato e guardare avanti, verso un futuro pieno di speranza.
Il lavoro di Maria Madera è assolutamente in linea con il concetto di stranieri ovunque espresso da Adriano Pedrosa nella sua Biennale Arte. Il Timor-Leste è stato occupato più volte da Paesi stranieri e la stessa Maria si è trovata nella condizione di profuga, emigrata ed emarginata.”
Natalie King, curatrice del Padiglione della Repubblica Democratica del Timor-Leste
La storia del Timor-Leste, nazione giovanissima che ha raggiunto la sua indipendenza da appena 25 anni, è la dimostrazione che è possibile raggiungere la pace attraverso il perdono. Il perdono può diventare l’arma più efficace per disinnescare quei meccanismi che portano alle rivendicazioni e quindi alla guerra. Colonia del Portogallo per cinquecento anni, fu invaso dall’Indonesia 10 giorni dopo la partenza dei portoghesi e diviene un Paese libero solo nel 1999. I momenti di passaggio e di vuoto di potere sono stati i più tragici della sua storia. In risposta alle ferite inferte al paese da secoli di dominazioni coloniali e dall’invasione di una nazione vicina, nel Timor-Leste vendetta e rabbia sono state sostituite dal coraggio e dalla voglia di ricostruire. I timoresi hanno lottato per raggiungere il loro sogno di libertà e hanno risposto con dimostrazioni di resilienza e gesti di riconciliazione verso quegli stessi paesi che avevano sfruttato le risorse naturali del Timor-Leste e piegato le persone con atroci sofferenze.
Il governo del Timor-Leste oggi guarda al futuro e punta anche sulla cultura e la creatività, partecipando alla Biennale e fondando una scuola d’arte per giovani artisti (Arte Moris, Living Art), che ha sede nei giardini del Palazzo Presidenziale.
KISS AND DON’T TELL
IL PADIGLIONE NAZIONALE DEL TIMOR-LESTE ALLA BIENNALE ARTE DI VENEZIA 2024
La performance, prologo e atto finale della presenza di questo piccolissimo paese per la prima volta alla Biennale ARTE di Venezia, è il racconto di abusi e violenze, fisiche e psicologiche, subite dalle donne del Timor-Leste, che l’artista porta in giro per il mondo attraverso la sua arte perché il loro sacrificio non venga dimenticato. Straziante e coinvolgente interpretazione di un canto di lutto timorese “Ina Lou” nella lingua tradizionale indigena Tetum, traducibile in “Cara madre terra”, ha toccato le corde più intime di noi spettatori, forse non preparati a tale forza, ed è penetrato in profondità fino all’anima, elevandoci a tratti ad una dimensione spirituale per poi schiantarci improvvisamente a terra di fronte ad una realtà indicibile.
Un fatto terribile è accaduto, non troppo distante da noi nel tempo e nello spazio, e la bellezza dell’arte e del sentire di questa artista l’ha portato a Venezia, lanciando un messaggio di pace, perdono e speranza. Personalmente mi ha permesso di entrare in empatia con quelle donne e accogliere con immensa gratitudine e trasporto il racconto ascoltato poco dopo dalla voce stessa dell’artista Maria Madeira e della curatrice Natalie King che qui, con voi, voglio condividere.
“Sono convinta che la mia performance abbia aiutato a comprendere la storia che voglio raccontare attraverso la mia installazione site-specific. É una storia che parla di abusi ʹbacia e stai zitta’ io, invece, voglio ʹbaciare e raccontareʹ.” Maria Madeira
the artist / Courtesy the artist and Anna Schwartz Gallery, Australia / Photography Cristiano Corte
L’enorme parete su cui si dispiega l’installazione site specific di Madeira è cosparsa di gocce di colore, ottenuto da terra rossa diluita con acqua, e sputi di succo di noci di betel, il cui colore vermiglio intensificato dalla tonalità cremisi dell’antisettico, ricordano il sangue versato dai Timoresi nella ricerca della libertà.
Le tonalità più chiare del blu e del pesca dei colori acrilici, che danno luminosità e vivacità all’opera, sono usate per creare macchie di colore e un pattern, realizzato con frammenti di un lavoro ad uncinetto (regalo di sua madre quando erano nel campo profughi di Lisbona) poi rimosso.
Le impronte di baci a diverse altezze, ma entro un metro da terra, sono rese con tinte acriliche e naturali, ritagli di tessuto Tais e rossetto usato dall’artista durante la performance dell’inaugurazione.
Il messaggio è chiaro: il sacrificio delle donne del Timor-Leste non deve essere dimenticato.
Le centinaia di impronte di rossetto, che Maria Madeira scoprì sui muri delle case del suo villaggio di origine, non erano affatto un segno dell’emancipazione femminile, ma delle umiliazioni e violenze che le donne timoresi subirono dalla milizia indonesiana.
“Durante l’occupazione dell’Indonesia dal 1975 al 1999 le donne del Timor-Leste, vittime silenziose dell’occupazione indonesiana, furono trascinate in alcune case, costrette a truccarsi pesantemente le labbra, inginocchiarsi per terra e baciare i muri di fronte a loro mentre subivano violenza. I nostri uomini hanno combattuto per ottenere la nostra indipendenza con le armi, le donne, invece, con i loro corpi. É una storia molto forte che nessuno ha mai raccontato.” Maria Madeira
© the artist / Courtesy the artist and Anna Schwartz Gallery, Australia / Photography Cristiano Corte
Il richiamo alla tradizione tessile timorese è rappresentato anche delle cuciture, realizzate con fili intrecciati di Tais, quasi a voler rappresentare delle suture che chiudono le ferite lasciate dalle dominazioni straniere. E ancora, strisce sottili del tessuto, come onde sonore poste vicino alle impronte delle bocche, sembrano voler rappresentare la voce alle donne del Timor-Leste.
Gli scampoli di tessuto Tais che l’artista colleziona, rimanenze della produzione di abiti da cerimonia tradizionali, sono spesso presenti nei suoi lavori, ma non li dipinge mai per rispetto del loro valore evocativo e spirituale intrinseco. Il Tais, che in base al disegno della trama e ai colori identifica ciascuno dei 13 distretti del paese, è stato aggiunto alla lista UNESCO dei beni culturali intangibili nel documento “Need of urgent safeguarding” del 2021. Viene usato nelle cerimonie, ma è anche un dono dato in segno di rispetto e amicizia, e dopo l’indipendenza del Timor-Leste diventa simbolo di identità culturale. Sancisce quel legame indissolubile delle comunità Timoresi, che ritroviamo anche nell’usanza di masticare insieme le noci di betel e poi sputarne il succo in occasione di incontri informali o cerimonie sacre. Entrambi questi simboli di aggregazione e di espressione di un’identità locale molto forte sono spesso presenti nelle opere di Madeira.
© the artist / Courtesy the artist and Anna Schwartz Gallery, Australia / Photography Cristiano Corte
In alcuni punti dei bordi dei 25 pannelli che ricoprono la parete sono visibili segni di bruciature, per non dimenticare gli incendi compiuti dalla milizia indonesiana nelle settimane successive al voto per l’indipendenza dall’Indonesia nel 1999.
La terra rossa del suo villaggio è sparsa sul pavimento lungo tutta la parete, come a voler portare a Venezia un frammento tangibile del suo paese, quella madre terra evocata nel canto della performance di inaugurazione del Padiglione e ripetuta nella settimana di chiusura della Biennale.
“A Dili, capitale del Timor-Leste dove lavora, non ci sono negozi di articoli per le belle arti e, così, Maria Madera, artista incredibilmente creativa e intraprendente, utilizza i materiali che riesce a trovare. Per esempio, diluisce la terra rossa tipica del suo villaggio in Ermera per dipingere o inserisce tessuti tradizionali sacri realizzati dalle donne in tutti i villaggi.” Natalie King
La grande opera su carta e la performance dell’artista sono le protagoniste di questa installazione che si completa con il film diretto da Robert Connoly, in cui racconta la performance di Maria Madeira, e un intervento sulla finestra del Padiglione ricoperta di segni di rossetto.
Tutto, in questa installazione nel Padiglione Nazionale del Timor-Leste alla Biennale Arte 2024 di Venezia, è un tributo al sacrificio e al coraggio delle Donne timoresi che hanno lottato per la libertà del proprio Paese.
© the artist / Courtesy the artist and Anna Schwartz Gallery, Australia / Photography Cristiano Corte
MARIA MADEIRA
Artista, curatrice di mostre, educatrice nel campo delle arti tradizionali Timoresi, consulente culturale, ricercatrice, dottore in filosofia e mentore si approccia al patrimonio culturale tradizionale del suo Paese con uno sguardo contemporaneo. Oggi vive tra Dili e l’Australia.
La sua arte è segnata dall’infanzia felice, in cui la sua mente e il suo cuore si sono imbevute delle tradizioni culturali del suo Paese, apprese in famiglia e nel villaggio, e delle successive terribili esperienze di rifugiata in Indonesia e Portogallo, immigrata in Australia e straniera, nella sua stessa terra, una volta rientrata dopo la diaspora.
Maria Madeira nasce nel 1966 nel villaggio di Gleno, situato nel distretto Ermera del Timor Portoghese. L’Indonesia invade il Paese subito dopo la dichiarazione di Indipendenza dalla dominazione coloniale Portoghese del 1975. L’anno successivo viene evacuata e portata in un campo profughi della Croce Rossa a Lisbona dove resterà per 8 anni. Qui trascorre la sua adolescenza e conosce il canto, protagonista delle sue performance in occasione dell’inaugurazione e chiusura del Padiglione del Timor-Leste alla Biennale di Venezia. Entra a far parte del gruppo di danze e canzoni tradizionali Coro Loro Sa’e per custodire e far conoscere il patrimonio culturale del Timor-Leste e allo stesso tempo sottrarsi alla condizione di rifugiata in cui era costretta, come mi ha raccontato Natalie King “Il canto era per lei una forma di salvezza”.
In esilio in Australia, torna nel suo paese dopo il voto del referendum per l’indipendenza dall’Indonesia del 1999. Lavora come traduttrice per le Nazioni Unite insieme al fratello che faceva l’interprete, è volontaria presso la Arte Moris (prima Scuola di Belle Arti, Centro Culturale e Associazione di Artisti del Timor-Leste) e inizia a raccogliere le testimonianze delle donne sugli abusi subiti durante l’occupazione. É in questo frangente che scopre il significato delle impronte colorate di rossetto viste sui muri delle case dei Timoresi e prende la decisione di raccontare tutto. In quel momento ha inizio la sua ribellione, l’attivismo culturale attraverso la sua arte e la sua voce.
Maria Madeira ha esposto in Australia, Brasile, Indonesia, Macau, Portogallo e Timor-Leste.
NATALIE KING
Scrittrice, curatrice, editore e professoressa di Arti visive presso il Victorian College of the Arts dell’Università di Melbourne, Natalie King è alla terza esperienza alla Biennale Arte di Venezia. Nel 2017 ha curato la mostra di Tracy Moffett My Horizon, prima personale di un artista aborigeno, per il Padiglione australiano. Nel 2022 ho curato Yuki Kihara: Paradise Camp, Aotearoa per il Padiglione della Nuova Zelanda in cui era presente il primo artista samoano e transgender.
Ha, inoltre, curato mostre per il Powerhouse Museum e il Museum of Contemporary Art di Sydney, il Photographic Art Museum di Tokyo, il Singapore Art Museum, il National Museum of Art di Osaka, la National Gallery of Indonesia di Jakarta, il Kaohsiung Museum of Fine Arts di Taiwan.