Joachim Schmid e le fotografie degli altri, a cura di Roberta Valtorta, Johan & Levi Editore, 2012
Un viaggio all’interno dell’inestricabile e fitto tessuto della produzione di immagini di Joachim Schmid: recentemente pubblicato da Johan & Levi, il testo chiarisce le ragioni di una poetica dell’esaurimento fotografico
Un’esaustiva anticipazione della fine dell’epoca della fotografia analogica può essere rintracciata nelle parole pronunciate da Joachim Schmid nel 1989: “Nessuna nuova fotografia, fino a quando non saranno state utilizzate tutte quelle già esistenti!”. Lavorando con la fotografia a partire dagli inizi degli Anni Ottanta, questo singolare “fotografo che non fotografa”, critico di formazione e di vocazione, ha saputo concettualizzare e praticare una problematizzazione del livellamento della concezione di immagine, una messa in discussione della diffusione del suo uso consumistico.
Se Susan Sontag, nel 1977, trattava delle difficoltà di distinguere esteticamente la fotografia dalle immagini di massa, con Schmid torniamo a riflettere sullo stesso problema, ma a uno stadio più avanzato. Se la saggista Statunitense invocava un’ecologia dell’immagine, sostenendo che la fotografia come medium riuscisse a trasformare l’arte, ne turbasse la purezza e potesse trainarla irrimediabilmente nel limbo del kitsch, Joachim Schmid ribadisce ed esaspera la necessità dell’eccesso e dell’inesauribilità del processo di creazione e accumulo. Recentemente, questo particolare artista ha infatti rilasciato una frase perentoria: “Per favore, non smettete di fotografare”. Si tratta di una dichiarazione di poetica che indica un ulteriore passo compiuto in direzione dell’inevitabile “morte dell’autore” teorizzata da Roland Barthes.
Dipendente dall’immagine, divoratore di fotografie banali, a buon mercato, usa e getta, Schmid ha deciso di sospendere la produzione prima ancora del plausibile inizio di una carriera artistica. Come una sorta di catalizzatore, di enzima capace di riavviare processi di formulazione estetica, Joachim Schmid si è limitato a cercare, ha saputo raccogliere e riutilizzare materiali già esistenti, scatti realizzati esclusivamente dagli altri, per esporre inediti readymade duchampiani, tanto figurativi quanto assimilabili ad objets trouvés.
La prelevazione di opere è avvenuta dal grande flusso di immagini amatoriali, anonime, acquistabili sulle bancarelle dei mercatini, negli archivi, negli album di famiglia e in tutti gli altri possibili luoghi di conservazione e scambio della fotografia. Lo sterminato dominio della carta, indiscutibile supporto della comunicazione novecentesca, ha invece fornito la rintracciabilità e l’accessibilità di figure e situazioni riprodotte per giornali, depliant, pubblicità, inviti di mostre, eventi culturali.
Johan & Levi pubblica ora un interessante libro, ibridazione tra monografia a più voci e poposta di parte dell’opera dell’artista. Agli interventi della curatrice Roberta Valtorta e di Mark Durden, John Weber, Simone Menegoi, si aggiungono infatti le trattazioni teoriche degli artisti Franco Vaccari e Joan Fontcuberta e un singolare inserto, intitolato Bilderbuch 1.1, che raccoglie una serie di immagini scelte dallo stesso Joachim Schmid. Sono prese in considerazioni le operazioni di avanguardia fotografica di Thomas Struth e Adrien Missika. Il primo ha infatti proposto un rovesciamento delle finalità di rappresentazione, gettando uno sguardo sull’uso turistico e commerciale degli scatti tradizionali. Allo stesso modo, il secondo ha saputo associare e mettere sullo stesso piano, in un particolare tessuto di critica del linguaggio convenzionale, immagini anonime scaricate da Internet, fotografie professionali di cui ha acquistato i diritti e scatti realizzati personalmente. Queste azioni contemporanee hanno tratto linfa vitale dall’esaurimento mediatico proposto e scandagliato da Joachim Schmid: l’agente scatenante di reazioni artistiche uniche, che con Bilder von der Straße 1982 -2012 ha assemblato trent’anni di fotografie trovate, letteralmente, per strada…