Incontriamo Massimo Fumanti nella sua casa romana: artista per vocazione e orafo per tradizione familiare, Fumanti è tra i più importanti editori di gioielli d’artista del Novecento.
La casa di Massimo Fumanti dichiara apertamente una lunga, quotidiana familiarità con l’arte – non solo la propria – dalla scultura alla pittura, alle arti applicate, espressione di un’attitudine che ha accompagnato tutta la sua vita umana e professionale, e che certamente gli deriva, oltre che da una predisposizione naturale, da un’eredità familiare, generazioni di gioiellieri della Capitale il cui nome – già documentato nel 1600 – era sinonimo di qualità esecutiva e ricercatezza delle pietre.
A fine ‘800 Roberto Secondo Fumanti in Via della Croce dirige un atelier con laboratorio annesso in cui lavorano 11 persone; il figlio Gustavo, padre di Danilo e Massimo Fumanti, decide di continuare la tradizione familiare scegliendo di viaggiare e importare le pietre dall’estero: diventa un importante grossista e rifornisce le più importanti gioiellerie del Nord e del Centro Italia. Alla sua scomparsa prematura i figli, Danilo e Massimo, decidono di proseguirne l’attività: nella prima metà degli anni ‘60, aprono una boutique in Via Frattina, dedicandosi maggiormente alla produzione orafa; Massimo aveva anche avuto la possibilità di apprendere le tecniche orafe a Parigi dal grande orafo francese Max Halpern. In quel periodo iniziano a frequentare più assiduamente il gioielliere Mario Masenza, già loro cliente per l’approvvigionamento di pietre, che aveva la propria attività in Via del Corso. Masenza li introduce ai gioielli d’artista realizzati su disegni di artisti pittori e scultori che egli, collezionista e appassionato di arte moderna, aveva coinvolto per realizzare gioielli nuovi, “esemplari unici firmati dagli autori”, pensati per una clientela raffinata, pronta a recepire l’idea di “indossare un’opera d’arte”. Nel 1949 Masenza aveva organizzato un’importante mostra itinerante presso la Galleria Il Milione di Milano (poi a Torino e a Roma) introdotta dal critico Marco Valsecchi, alla quale parteciparono Afro, Franco Cannilla, Pericle Fazzini, Alberto Gerardi, Emilio Greco, Lorenzo Guerrini, Renato Guttuso, Leoncillo e Mirko Basaldella. Dopo alcuni anni di collaborazione con Masenza i fratelli Fumanti decidono di ampliare il numero di artisti coinvolti con nuovi nomi (alcuni loro coetanei come Getulio Alviani, Mario Ceroli, Franco Angeli) e produrre gioielli con il marchio FUMANTI ROMA.
Nel 1970 i Fumanti organizzano la mostra “Gioielli di artisti contemporanei” in collaborazione con casa editrice Editalia di Lidio Bozzini, famoso per la rivista Qui Arte Contemporanea, per la quale editano gioielli di Calò, Carrino, Ceroli, Consagra, Facchini, Franchina, Lorenzetti, Marotta, Mastroianni, Gio Pomodoro, Santoro, Tacchi, Uncini. Negli anni lavorano con molti nomi della scena artistica internazionale e presentano diverse mostre, tra cui una personale delle opere di Alberto Giorgi; nel 1981 una nuova esposizione verrà introdotta da Palma Bucarelli, da sempre attenta al fenomeno del gioiello d’artista tanto da istituire, negli anni della sua direzione, una vetrina apposita nel percorso museale della Galleria D’Arte Moderna. Il laboratorio Fumanti chiuse la sua attività nel 1986 ma Massimo e Danilo Fumanti conservano ancora un ricco archivio di disegni autografi, lettere e documentazione relativa alle opere da loro prodotte. Massimo Fumanti ha realizzato numerosi gioielli con la propria firma e ha proseguito con successo l’attività di scultore e pittore partecipando a numerose mostre in Italia e all’estero.
Lo abbiamo intervistato per riannodare i fili e i preziosi ricordi della sua attività umana e professionale.
Come è nato questo suo interesse per il gioiello e per il gioiello d’artista?
Come è noto i Fumanti sono attestati in ambito orafo già dal XVII secolo senza interruzione fino all’inizio del Novecento; mio padre decise di proseguire l’attività familiare scegliendo di dedicarsi ai grandi mercati delle pietre preziose. Negli anni ‘30 (e ancora oggi) per trovare pietre di livello bisognava viaggiare moltissimo, costruirsi una fitta rete di contatti personali e investire personalmente cifre importanti; in Italia all’epoca erano ancora in pochissimi a farlo. Purtroppo mio padre non godeva di ottima salute e iniziai presto ad accompagnarlo: la prima volta che sono andato in viaggio con lui avevo 12 anni: ricordo che andammo più volte a Londra, che allora, insieme ad Anversa, era la piazza più importante per le pietre preziose e per accedere alla Borsa dei Diamanti di Anversa, in cui non si poteva entrare se non maggiorenni, ebbi persino un permesso speciale del direttore. Tutte esperienze che mi furono molto utili quando pochi anni dopo, alla morte di mio padre, mi ritrovai a rilevarne l’attività: io e mio fratello Danilo iniziammo a importare pietre come grossisti per molti gioiellieri italiani, ma dopo poco tempo decidemmo di aprire il nostro negozio di Via Frattina passando alla vendita al dettaglio, acquistando soltanto le pietre di cui avevamo effettivamente bisogno per realizzare gioielli che portassero la nostra firma.
Fu allora che conosceste Mario Masenza?
Sì, gli procuravamo le pietre e spesso realizzavamo anche dei gioielli per lui, anche se mantenevano la sua firma. Col tempo, anche grazie al mio personale interesse per l’arte, mi appassionai alla sua idea di coinvolgere artisti per realizzare gioielli come opere d’arte da indossare: Masenza (che all’epoca collaborava con l’orafo Diderico Gherardi mentre noi fornivamo le pietre preziose) mi introdusse a molti artisti che io già conoscevo e ammiravo e con molti di essi iniziai a collaborare con continuità per dare vita ai loro progetti.
Quale era il suo rapporto con l’arte?
Sin ragazzo ho avuto una naturale predisposizione per l’arte, amavo disegnare e dipingere. Ricordo che un giorno, da ragazzo, con una matita tracciai una linea che scivolando sicura senza interruzione sulla carta creò una figura che a prima vista sembrò strana, ma poi finalmente ci vidi qualcosa: UN VOLTO. Quella “figura” oggi, è nei miei gioielli che ho realizzato con la mia firma ed esposto in diverse mostre in Italia e all’estero, nei miei quadri e nelle mie sculture come mia personalissima cifra stilistica. Certamente nel corso degli anni l’evoluzione mi ha portato in parte a rivedere la formula originale, ma quella “linea continua” fu la scintilla che ha consentito di creare la base della mia arte e ancora ne caratterizza gli esiti.
Avrei voluto anche frequentare la Facoltà di Architettura se non avessi iniziato subito a lavorare; ebbi tuttavia la possibilità di trascorrere due anni a Parigi come allievo del grande orafo francese Max Halpern, dove appresi le tecniche più avanzate nella realizzazione dei gioielli. La mia passione per l’arte mi portò a interessarmi naturalmente al panorama artistico romano di allora, per cui fui felice di potermi relazionare con gli artisti, alcuni già molto famosi all’epoca come Afro, Franco Cannilla, Giuseppe Capogrossi che aveva vinto la Biennale di Venezia. Per alcuni anni collaborammo strettamente con Masenza ed è capitato che avessimo in negozio gioielli con la sua firma. In seguito, dal momento che Masenza faceva realizzare un minimo numero di pezzi e non ne produceva altri finché non li aveva venduti, iniziammo a collaborare direttamente con artisti anche delle nuove generazioni: compravo direttamente i disegni da loro e questi diventavano di nostra proprietà; in fase esecutiva il lavoro veniva comunque seguito dall’artista che ne controllava l’adesione al progetto iniziale. Il gioiello veniva editato con la doppia firma, dell’artista che l’aveva disegnata e la scritta FUMANTI ROMA. Nel tempo incrementai la produzione e nel 1970 ebbi l’idea di fare una mostra per presentare la – ormai ricca – collezione di gioielli d’artista che avevamo costruito negli anni, anche più di 150 esemplari, tutti pezzi unici.
I gioielli d’artista da voi realizzati in stretta collaborazione con gli artisti sono specchio fedele e straordinario di un periodo artistico e culturale – quello tra gli anni ‘50 e i primi anni ‘80 – ricchissimo per il panorama italiano nel mondo, che voi avete avuto il privilegio di racchiudere in manufatti preziosi. Ci racconta qualcosa di più degli artisti con cui ha collaborato?
Riguardando i cataloghi delle mostre da noi organizzate e i disegni nel nostro archivio molti sono i ricordi: con Getulio Alviani, che era nostro coetaneo, avevamo un buon rapporto di amicizia, specialmente con mio fratello con cui condivideva l’amore per lo sport; ricordo che per realizzare le sue opere ci siamo dovuti spesso appoggiare a fabbriche che lavoravano i metalli, il celebre Monorecchio in oro l’ho realizzato io personalmente: Alviani venne a Roma con il prototipo in alluminio e mi chiese se secondo me fosse possibile realizzarlo in oro, ci riuscii ma dovetti cercare un bravo tornitore per fare le “mille righe”; con Alviani, che realizzava disegni dettagliatissimi, abbiamo poi lavorato a diversi gioielli, tra questi il ciondolo Cerchi Virtuali, dove semicerchi si riflettevano su una lamina d’oro bianco tirata a specchio, dando l’illusione che fossero interi: è stato molto difficile ottenere il risultato che volevamo, abbiamo coinvolto una fabbrica specializzata di Milano per l’effetto specchiante, Alviani non era mai soddisfatto finché non raggiungeva l’effetto desiderato.
Conoscemmo Franco Angeli grazie all’amica Marina Lante della Rovere che ce lo presentò: Angeli, dalle note idee rivoluzionarie, ci fece vedere una serie di falci e martelli o di aquile disegnate con rapidi schizzi su carta velina… io ebbi un po’ di perplessità perché, dati i temi, certamente non ne sarebbe stata facile la vendita (sorride n. d. r.) al tipo di clientela che acquistava ornamenti preziosi; mi piacque piuttosto la scritta “Esplosione” così fumettistica, di gusto pop, e così realizzammo insieme questo ciondolo su lastra d’oro che fu poi esposto in molte mostre e che fu l’unico gioiello realizzato insieme.
Franco Cannilla, che aveva partecipato con successo alla prima mostra di Mario Masenza, fu uno dei pochi artisti a evolvere completamente il suo stile nel tempo, passando da modelli più classici (le famose testine “tuttifrutti” che tanto successo avevano avuto negli anni ‘50) alle opere astratte degli anni ‘70 che Cannilla chiamava “lamellari”; io lo sostenni nella scelta di realizzare gioielli più geometrici molto distanti dallo stile a cui era abituato e che gli aveva dato un buon successo, suggerendogli però di inserire anche pietre preziose per arricchirli. Con lui realizzai la famosa spilla che scelsi anche per la copertina del catalogo del 1970, una spilla in oro composta da singole parti in oro sbalzato a formare un disegno astratto, decorato agli apici da rubini di altissima qualità. In quel periodo avevo conosciuto Elizabeth Taylor ed ero diventato suo grande amico, mi chiamava ogni volta che veniva a Roma.
Per lei avevo realizzato la collana “Volti” di Mario Ceroli con i profili moltiplicati della Taylor e di Burton che si guardano. Nell’estate del 1971 Burton era impegnato sul set di un film a Dubrovnik e la Taylor si annoiava ad aspettarlo: mi chiama il mio amico fotografo Gianni Bozzacchi – che era a sua volta molto amico dell’attrice – e mi propone di andarla a trovare per fare un servizio fotografico in cui indossasse anche dei gioielli. La Taylor fu molto disponibile, ci fece il servizio per amicizia, e alla fine per ringraziarla le regalai la spilla di Cannilla che le piaceva moltissimo e che quasi non voleva accettare. Il servizio uscì poi su Annabella ed ebbe grande risonanza, in copertina indossa una spilla con diamanti di Capogrossi e all’interno della rivista la collana di Ceroli e una con un prezioso ciondolo di Paolo Scheggi. Di Mario Ceroli nella mostra del 1970 avevamo presentato la collana Applausi e la Farfalla, entrambe prototipi perché non eravamo riusciti a finirli in tempo per la mostra: alla Farfalla, composta da fasce in oro ondulate, mancavano ancora i diamanti da inserire nella struttura, per cui l’esemplare che era in mostra fotografato in catalogo è ancora quello incompleto. Fu proprio alla mostra del ‘70 che stringemmo amicizia con Palma Bucarelli, allora direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, che si dimostrò entusiasta, collezionava gioielli d’artista da anni, voleva sapere tutto anche da un punto di vista tecnico.
Con Gino Marotta negli anni diventammo grandi amici, realizzammo molti gioielli insieme, Gino realizzava disegni estremamente dettagliati: mi era stato presentato da Lidio Bozzini, già direttore della celebre rivista Qui, Arte Contemporanea; Giuseppe Uncini era eccezionale nel modellare la cera, a volte la realizzava addirittura in due colori; abbiamo realizzato molti gioielli insieme, tra cui il bellissimo Muro in orome diamanti esposto in diverse mostre.
Ammiravo molto Giuseppe Capogrossi; della generazione di mio padre non era un carattere facile, ma abbiamo lavorato bene: i gioielli che abbiamo realizzato insieme erano complessi perché tratti dai suoi celebri segni pittorici, difficili da tradurre nella terza dimensione. Siamo riusciti a conferire loro ritmo e armonia grazie all’uso di pietre di colore diverso per restituire la tavolozza cromatica; inclinando in direzioni diverse le varie parti che compongono la struttura del gioiello siamo riusciti a restituire movimento per esaltarne il disegno: eravamo entrambi molto soddisfatti del risultato.
Con Pietro Consagra realizzai alcuni gioielli che riprendevano molto le sue sculture, la spilla Nuvola (che sfortunatamente fu rubata nel 2009) ebbe un successo enorme, fu scelta anche come manifesto per un’importante mostra di gioielli d’artista al Museo dei Diamanti di Anversa nel ’95.
Ero grande amico di Umberto Mastroianni, andavo spesso a trovarlo nella sua splendida villa a Marino; molto apprezzato dalla Bucarelli, realizzammo molti gioielli insieme e mi ha donato anche una lastrina d’oro, da cui partiva per realizzare le sue opere, con una dedica speciale che conservo gelosamente.
Per Renato Guttuso, che conoscemmo grazie all’amicizia con Marta Marzotto, realizzammo nel 1971 un pendente / spilla, un cuore di diamanti su una mano d’oro; per la modellazione di opere come questa mi avvalevo della collaborazione di Claudio Tacchi, fratello di Cesare, anch’egli orafo e grandissimo maestro della lavorazione a cera persa. Tacchi in quegli anni ebbe commissioni prestigiose, ha realizzato la riproduzione del Colosseo donato a John Kennedy in occasione della sua visita a Roma nel luglio del 1963 e il premio David di Donatello.
Dalla sua prospettiva privilegiata come giudica la reazione del pubblico ai gioielli d’artista?
Il mondo dei collezionisti è sempre stato attento al tema del gioiello d’artista, ma il pubblico in generale faceva fatica a comprenderlo, aveva bisogno di accostarsi per gradi e poi magari acquistavano…io dico sempre che Masenza prima, e noi dopo, siamo stati dei pionieri perché abbiamo portato nella Roma del dopoguerra una declinazione delle opere d’arte nella dimensione contenuta del gioiello; se in Europa e in Francia questo era già un fenomeno noto, qui davvero rappresentava una novità e come tale aveva bisogno di essere introdotta per gradi, “spiegata”. La mostra del 1970, come dicevo, fu un grande evento mondano (celebre la foto di Marta Marzotto che indossa la rosa di Gino Marotta: Marta la prese autonomamente dalla vetrina dicendo “questa la voglio io”!). Ebbi un grande riscontro dalla critica, l’esposizione fu molto apprezzata da Palma Bucarelli e persino da Argan, ma il pubblico, a parte quello che già conosceva e apprezzava gli artisti coinvolti, rimaneva stranito dai gioielli d’artista: lo stesso Masenza mi raccontava che alla fine degli anni ‘40, quando cominciò a mettere i gioielli d’artista in vetrina affiancandoli a quelli più classici, la gente rideva perché li ritenevano stravaganti! Mi raccontava inoltre che anche la mostra che aveva organizzato alla Galleria Il Milione a Milano nel 1949 aveva avuto un grande riscontro di critica, ma era stata piuttosto deludente da un punto di vista delle vendite se non per i collezionisti e qualche americano di passaggio a Roma che apprezzava l’estrosità del gioiello firmato da un artista; questo lo portò a commissionare sempre meno gioielli agli artisti, talvolta solo su committenza. Anche io avevo immaginato un maggior successo commerciale, soprattutto vista la risposta del mondo culturale a cui pensavo seguisse una maggiore concretezza in termini di acquisti. Avrei voluto aprirmi all’estero, realizzare gioielli con Arman e Andy Warhol, artisti che stimavo molto, ma la risposta romana mi frenò nell’espandere la mia attività.
Che cos’è il gioiello d’artista per lei?
Per me è un gioiello in materiale prezioso, per la realizzazione del quale vi è stata una reale collaborazione tra artista che ne realizzato il progetto e l’orafo che lo ha eseguito; su questo punto c’è ancora molta confusione, poiché un gioiello di alta oreficeria non è un gioiello d’artista, quest’ultimo è proprio l’esito di lavoro più stratificato che attinge a tutto il mondo creativo dell’artista coinvolto, alla sua pittura e alla sua scultura, al suo stile e alla sua personalità che poi l’orafo traduce in opera da indossare, opera che diventa specchio del proprio tempo e al contempo ornamento universale. Per questo sono fondamentali i disegni progettuali: conservo ancora un ricco archivio di disegni autografi dei gioielli, che spesso gli artisti realizzavano su pezzi di carta che poi si perdevano o si rovinavano durante la lavorazione in laboratorio e che io cercavo sempre di preservare (era difficile all’epoca ottenere una fotocopia, c’erano pochissime fotocopiatrici ed erano delle macchine rare, enormi), come ad esempio il disegno Esplosione di Franco Angeli che era su un esile foglio di carta di recupero. Purtroppo i modelli in cera persa, come è naturale che sia, sono andati perduti: Cannilla e Uncini realizzavano cere bellissime, specialmente Uncini modellava splendidamente. I disegni per me sono ancora un grande patrimonio di cultura e ricordi: in anni recenti ho realizzato una collana di Gino Marotta di cui avevo un disegno inedito e che non avevo mai trasferito in gioiello.
Ho sempre pensato che il gioiello più bello è quello che devo ancora realizzare.
Brava.
I gioielli sono belli e quindi più interessanti!
Anche noi abbiamo la spill da Cannilla – è incredibile
leggere e pensare a ciò fa venire un nodo allo stomaco. Grazie a lei e a Masenza, e tanti altri illuminati…..