Sarà possibile visitare sino al 27 settembre presso Officina Con-temporanea – Residenza Luoghi Comuni di Torino la mostra dell’artista Claudia Maina “Il Mondo visto da qui”.
La mostra, a cura di Paola Stroppiana, è l’esito della residenza artistica svoltosi nel mese di luglio, e si inserisce nell’ambito della rassegna Il Taccuino del Marziano (dal fortunato titolo di uno scritto di Ennio Flaiano, paradossale e arguto vademecum di sopravvivenza sociale sulla Terra visto da un alieno), promossa da Officina Con_Temporanea per la Residenza Luoghi Comuni San Salvario, grazie al contributo di Fondazione CRT della Città di Torino e della Galleria Gagliardi e Domke Contemporary di Torino.
La rassegna promuove eventi che, attraverso i codici della creatività, stimolino la partecipazione attiva degli abitanti della residenza e del quartiere in interazione con gli artisti (alcuni di essi chiamati a condividerne anche l’esperienza abitativa, come in questo caso), ponendo l’attenzione sul tema dell’alterità e della condivisione, guardando alle differenze come risorsa e non limite, come apertura e scoperta di un comune sentire.
In tale prospettiva è parso particolarmente coerente il coinvolgimento dell’artista milanese Claudia Maina: laureata in Scultura e in Arti Interattive e Performative all’Accademia di Belle Arti di Brera, Claudia utilizza il disegno, la scultura, l’installazione e il video, media con i quali indaga il rapporto tra corpo e ambiente.
Il corpo è messo in relazione alle dimensioni spaziali, temporali e sonore nelle quali vive e alle quali è chiamato di volta in volta ad adattarsi: in parallelo Claudia ne indaga la dimensione emotiva e la sua naturale evoluzione. Sono nati così i suoi BedBugs Castle, installazioni costruite assemblando vetri di fogge e colori diversi in apparente precario equilibrio, visionare architetture vitree organizzate in singoli moduli: in essi vivono piccole creature lignee destinate a vedersi e a essere viste, e allo stesso tempo impossibilitate a comunicare. Chiara metafora della difficoltà nelle relazioni umane e dei rapporti di forza che si creano, i Bedbugs hanno anticipato le successive ricerche che vedono ancora il vetro come materia privilegiata, emblematica e simbolica dalle ambivalenti caratteristiche, dura e fragilissima, trasparente e opaca, in grado di permettere la vista (“la vetrina”) ma non l’ascolto, compromettendo quindi una comprensione piena, dialogica.
Nel 2015, nel corso di una residenza artistica presso le Château de La Napoule a Mandelieu – realizzata in collaborazione con Gagliardi Art System di Torino – è nato il progetto Finestre, incisioni di vedute dalla finestra che l’artista esegue su lastre di vetro e che, una volta allestite, proiettano il profilo del disegno sul muro, rendendolo di fatto più leggibile. Per l’artista la finestra diviene il simbolo della separazione fra se stessi e gli altri, linea di confine, diaframma che permette e delimita la visione, allo stesso tempo barriera che separa e protegge. L’atto dell’osservare diventa sinonimo di attesa e meditazione che dall’esterno si riflette su di sé.
Partendo da tali riflessioni si è pensato ad un progetto di residenza presso Luoghi Comuni (che affaccia su uno dei più esotici panorami di Torino, le cupole della Sinagoga) che assumesse i contorni di un workshop e coinvolgesse gli abitanti, inclusa Claudia stessa.
Nasce così il progetto Il mondo visto da qui, come ci racconta la stessa Claudia. Artista e residenti sono stati chiamati a guardare fuori dalla finestra e a disegnarne l’orizzonte in essa contenuto, a porsi in un’attitudine di osservazione dal proprio punto di vista sia fisico (dal proprio appartamento) sia emotivo (dalla propria condizione esistenziale) per scoprire una visione condivisa, più di quello che si erano mai immaginati.
Claudia, ci racconti la genesi di un Il mondo visto da qui?
Questo progetto nasce come ideale evoluzione del progetto sulle Finestre, ricerca che conduco da qualche tempo sull’idea stessa del meditare osservando la realtà attraverso un vetro. Ho pensato di lavorare con i residenti di Luoghi Comuni in una modalità che in parte avevo già provato a sperimentare in passato, collaborando con il collettivo di artisti ATRII a Milano e che in questa situazione si è rivelata particolarmente funzionale.
L’idea era quella di fare in modo che le persone che vivono qui si mettessero davanti alla finestra del loro appartamento per disegnare ciò che vedevano all’esterno attraverso di essa (ho consegnato fogli di acetato da appoggiare verticalmente sui vetri), in un atteggiamento di riflessione e meditazione più profonda e interiorizzata rispetto al gesto abituale di guardare fuori dalla finestra: desideravo che facessero questa esperienza non tanto come azione fine a se stessa, o almeno non solo. Il fine era quello di mettere in dialogo tutte le vedute realizzate dagli abitanti dalle singole unità abitative cercando di trarre, da un apparente caos, un paesaggio nuovo, collettivo: la tecnica dell’incisione su vetro pare confondere i tratti per restituirli più netti come ombra proiettata sul muro.
Il vetro è quindi visto come metafora non solo di trasparenza ma anche di chiusura?
Sì, è un diaframma che protegge dall’esterno se pensato in positivo, ma allo stesso tempo è una separazione. Il vetro induce anche ad una riflessione sulla trasparenza e sull’apparente visibilità della nostra società, dove tutto è sotto gli occhi di tutti, connesso e condivisibile. E’ inevitabile che questa estrema trasparenza nasconda un’opacità di fondo perché è pur sempre accessibile attraverso il filtro di ciò che si vuole mostrare, una limpidezza che è un inganno concettuale.
Come si è svolto nella pratica il workshop?
Uno dei punti di forza dell’intero progetto è stato quello che, pur avendo io in uso un appartamento all’interno dell’Housing per la mia residenza d’artista, la mia “base operativa” è stata posta in uno spazio comune, sempre accessibile durante il giorno; un luogo dove io, con i miei appunti e gli strumenti di lavoro, ho potuto disegnare e incidere: le persone potevano osservare e dialogare con me “senza filtri”.
Ho presentato in modo più ufficiale e articolato il progetto nel corso di una serata aperta a tutti, spiegando che avrei avuto piacere di coinvolgere alcuni di loro; a coloro che hanno espresso il desiderio di partecipare al workshop ho chiesto di ritrarre ciò che vedevano dalla finestra del loro appartamento su fogli di acetato che gli consegnavo, appoggiandoli al vetro, e di sentirsi molto liberi in questo, inserendo anche elementi che non aderivano alla realtà: la visione poteva arricchirsi di invenzioni personali. Ho ritenuto la pratica del disegno particolarmente adatta perché immediata e allo stesso tempo in grado di accrescere la concentrazione, favorire la meditazione.
Infine mi avrebbero restituito il disegno, li avremmo ordinati in una composizione collettiva e io avrei inciso sul vetro alcune vedute o il risultato complessivo. I lavori così prodotti, insieme ad altri a cui avevo già lavorato, avrebbero costituito il materiale per la mostra di fine residenza, prevista negli spazi espositivi dell’Officina Con_Temporanea.
Quale è stata la reazione?
All’inizio non ero certa neppure della partecipazione delle persone perché molte di esse sono impegnate nelle loro attività quotidiane di studio e lavoro: la risposta invece è stata molto alta, ognuno dei partecipanti ha lavorato con molto interesse e passione; all’inizio non era stato messo in conto che io fossi invitata a disegnare nei loro appartamenti privati, fatto che è stato occasione per chiacchierate, scambi, dialoghi aperti che hanno certamente arricchito il lavoro finale.
L’arte ancora una volta ha dimostrato la sua potenzialità di condivisione, stimolando un dialogo che è andato oltre alle aspettative. Uno degli aspetti che più mi interessava di questo progetto (per cui ho accettato volentieri la proposta di residenza) era proprio la possibilità di lavorare con gli altri entrando anche nella loro vita e allo stesso tempo che gli altri partecipassero alla mia: l’atto stesso di disegnare insieme ha permesso un contatto personale con molti di loro, abbiamo davvero condiviso un’esperienza in comune.
Qual è il messaggio che vorresti passasse con questo progetto?
Vorrei stimolare una riflessione sulla condivisione della bellezza e sull’educarsi a guardare e ad osservare come esercizio quotidiano. Porsi di fronte alla realtà, alla vita stessa in modo contemplativo diventa inevitabilmente un’attività creativa, arricchente. Per me, come artista, è questione di sopravvivenza, ma per tutti può accrescere la capacità di comunicare: indagando se stessi, comprendi meglio anche l’altro. Disegnare dalla finestra vuol dire mettersi in osservazione, un’attività che da conscia diventa quasi un automatismo psichico, porsi nell’attitudine dell’osservare con il tempo necessario. Lavorare sulla bellezza, sul proprio tempo, sul tempo lento del dialogo, dell’ascolto.
I miei bedbug si vedono ma non comunicano: in questo progetto invece si chiede di fermarsi ad osservare e non solo vedere per poter poi comunicare: porsi il quesito su come vedo io la mia realtà induce inevitabilmente a chiedersi su come anche gli altri vedano la loro, per comprendere che è questione di prospettiva. Spesso condividiamo lo stesso orizzonte, ma lo vediamo in un’ottica personale: riconoscersi negli occhi degli altri permette una ripartenza, una nuova consapevolezza che non siamo soli, una speranza nuova.
Emerge quindi ancora un concetto importante: guardare comporta inevitabilmente la necessità di rallentare, concedendosi il tempo di guardare, di osservare…
Rallentare permette di sviluppare un’attenzione da ciò che mi circonda a ciò che sono io. Il passo successivo conduce a considerare chi sia l’altro vicino a me. Una riflessione che dallo spazio fisico porta ad una dimensione emotiva, spirituale.
Questo avviene grazie anche al recupero della contemplazione, del valore della lentezza, elemento cruciale nel comprendere se stessi e nel costruire relazioni interpersonali.