“Se dovessi narrare in una riga / la storia di Ligabue / direi era meraviglioso come noi”. Così nel 1967 Cesare Zavattini raccontava in “Ligabue” la biografia in versi liberi del grande pittore.
Un artista, molto amato dal grande pubblico, che molta critica ha odiato e ignorato allo stesso tempo, non riuscendo mai davvero ad inquadrare questo talento puro, la cui vita tormentata e i problemi psichiatrici ne hanno oscurato, spesso a torto, la bravura: Zavattini fu invece grande ammiratore di Ligabue (già Antonio Laccabue; Zurigo, 1899 – Gualtieri, 1965,) tanto da dedicagli un celebre libro, in cui si tenta di carpire il mistero di una vita; un testo che permise a molti di conoscerne meglio uomo e artista.
Fino al 26 maggio la mostra Ligabue alla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino ne presenta oltre 90 opere: un viaggio nell’arte di questo genio sempre in evoluzione di cui vengono presentati dipinti, tra cui molti autoritratti, disegni, alcuni bronzetti tratti dalle sculture che modellava con il fango sulla riva del Po. Completa la visita la celebre moto Guzzi ritratta in diversi quadri e un raro filmato RAI del 1972 che riprende Ligabue 10 anni prima nei suoi luoghi. L’esposizione, curata da Giovanni Faccenda, si avvale del patrocinio della “Fondazione Augusto Agosta Tota per Antonio Ligabue” ed è prodotta da SM.ART, con la direzione creativa e di produzione di WeAreBeside.
Il percorso di mostrasi snoda attraverso 8 sale in un corpus di 71 dipinti, 8 sculture e 13 disegni ed è la prima realizzata con la Fondazione Augusto Agosta Tota per Antonio Ligabue, a quasi un anno dalla scomparsa di Augusto Agosta Tota, che dell’artista fu amico, promotore e studioso.
Le opere provengono da collezioni private, dai celebri autoritratti alla Testa di tigre del 1953 e Leopardo del 1955, dal Motociclista del 1954, alla Traversata della Siberia del 1959; dalle sculture Leone e Leonessa del 1935, a Pantera del 1938, Leonessa accucciata del 1940, fino al Busto di Gorilla del 1956; dai disegni con figure di animali all’Autoritratto a matita del 1955. Oltre ai celebri autoritratti, in cui emerge tutta la sofferenza e al tempo stesso la grande capacità di rappresentarsi con ferocia esecutiva, anche nei frequenti dipinti che riprendono animali a fauci spalancate si ravvisa l’autoritratto del Maestro, che si esercitava con uno specchio ad imitare le espressioni mimiche sino a trasfigurasi nelle fiere rappresentate. Così il curatore, Giovanni Faccenda, vuole restituire tutta la grandezza ad una produzione artistica che si configura come una delle massime espressioni dell’espressionismo europeo: “Ligabue, qui e altrove, grandeggia oltre il suo mito dilagante. È, anzi, uno dei rari casi, nella storia dell’arte degli ultimi due secoli, nei quali la biografia dell’artista echeggi fino a un certo punto influente, emergendo, piuttosto, quale suggestivo, doloroso fondale rispetto al suo originario e originale talento. Un estro in grado di non soccombere al peso schiacciante di un disagio psichico, originato da strazianti riverberi memoriali e reso più acuto e insopportabile da una sensibilità continuamente provata dall’algida cattiveria di esseri cinici e spregevoli, che dette ugualmente prova della propria esclusività in esiti di cospicuo valore artistico, da annoverare fra le eccellenze dell’Espressionismo europeo”.
L’arte, quando gli fu possibile o scelse lui stesso, volontariamente, di praticarla, rappresentò per Ligabue non già un itinerario terapeutico o un’evasione salvifica dai propri, insanabili, tormenti esistenziali, ma il racconto, crudo, dei medesimi, attraverso argute allegorie caratterizzate dalla presenza degli amati animali: tigri, vipere, cani, mosche, api… Dichiarazioni appassionate, invero, di chi, nella vita di tutti i giorni, annegasse, al contrario, nel più torrido silenzio: quello, terribile, cagionato da coloro che, disprezzandoti, non ti rivolgono neppure una parola e, se lo fanno, è, questa, solo espressione di cattiveria, ingiuria, dileggio. Plasmare l’argilla, disegnare su fogli di carta tenuta nascosta come un tesoro oppure dipingere al cavalletto, guardando ossessivamente la propria immagine riflessa nello specchio vicino, livida dopo essersi ripetutamente colpito con un sasso il naso (affinché fosse più aquilino) o le tempie sanguinanti (per far uscire il Male che avvertiva lacerargli la mente), era, tutto questo, per Ligabue, l’unico modo per sottrarsi, almeno temporaneamente, alla propria, fatale, odissea terrena.
Simona e Cinzia Agosta Tota, alla guida della Fondazione Augusto Agosta Tota per Antonio Ligabue, riassumono lo spirito che anima il loro operato: La Fondazione trova la sua origine e continuità nella pluridecennale attività svolta da Augusto Agosta Tota, nostro padre che, dal 1983 ha dedicato passione, ricerca e studi riuscendo a creare una realtà che è immediatamente divenuta punto di riferimento per chi si accosti ad Antonio Ligabue con interesse critico, culturale e scientifico.
Accompagna la mostra il catalogo edito da BesideBooks, con testo critico di Giovanni Faccenda, e testi di Simona e Cinzia Agosta Tota, Francesca Biagioli, Samantha Patorno e Manlio Polzella.
Antonio Ligabue nacque in Svizzera a Zurigo nel 1899. Figlio di un’emigrante italiana, fu dato in adozione ad una famiglia svizzero-tedesca; fu tuttavia affidato a sua volta ad un Istituto per ragazzi difficili, da dove fu espulso a sedici anni. Espulso dalla Svizzera su denuncia della madre adottiva, venne fatto trasferire in Italia, a Gualtieri, la città natale del suo patrigno: qui trascorrerà gran parte della sua vita. Nel 1927 incontra lo scultore Marino Mazzacurati, che ne riconosce il talento e gli insegna le tecniche della pittura a olio. A partire dagli anni trenta, l’arte divenne l’interesse principale di Ligabue, che continuerà a dipingere e a scolpire con l’argilla per oltre trent’anni, trascorrendo molto del suo tempo sugli argini del fiume Po, vivendo come un selvaggio nei boschi. Nel 1937, nel 1940 e nel 1945 venne internato nell’Ospedale Psichiatrico S. Lazzaro di Reggio Emilia per il carattere violento e per “psicosi maniaco-depressiva”. Solo nel 1961 la prima mostra a Roma ed un’ampia antologica a Guastalla. Dopo una prima paresi e diversi problemi di salute, morì al ricovero Carri di Gualtieri nel maggio del 1965.
PER INFO
Ligabue
a cura di Giovanni Faccenda
26 gennaio – 26 maggio 2024