BABS Art Gallery ospita sino al 29 marzo la personale di Alex Pinna (Imperia, 1967) dal titolo “Oggetti smarriti”, collezione di gioielli d’artista realizzata in esclusiva per la galleria e posta in serrato dialogo con alcune sculture della vasta produzione dell’artista.
Partendo dall’iconica figura stilizzata ed elegante che caratterizza la sua ricerca poetica, Pinna riesce a trasferire nelle dimensioni ridotte del gioiello la monumentalità della sua scultura, focalizzata da sempre sulla ricerca dell’equilibrio di forme e volumi come metafora di quello psicologico, spesso labile, dell’uomo contemporaneo.
Fin dalle origini della sua produzione Pinna ha infatti fatto ricorso alla grazia della figura stilizzata in relazione allo spazio: una figura ricca di riferimenti artistici e letterari, dalla statuaria etrusca a quella cicladica, dalla poetica di Giacometti alla maschera di Pinocchio: figure esilissime, funamboli seduti sull’orlo del precipizio (come quelli della serie How deep is your love) eppure mai drammatici, venati piuttosto di una fatale ironia.
La leggerezza materiale – e quindi concettuale – diventa un leit-motiv della sua ricerca, mirabilmente espressa nelle sculture (bronzo, piombo o corda annodata) come nei gioielli (oro, argento e bronzo). Il costante richiamo alla Natura come via di salvezza è sublimata negli uomini – foglia della serie Lost, found and lost, nati dall’ibridazione fra corpo umano e forme vegetali, in grado di mantenere volumi e proporzioni in ciondoli e orecchini dalla indiscutibile grazia.Una leggerezza che passa ossimoricamente dalla pesantezza dei materiali, su cui l’artista opera per sottrazione di volumi sino a toccare il punto di equilibrio/disequilibrio, una dimensione fisica che diventa metafora esistenziale in cui non è difficile identificarsi.
La distanza fisica che l’artista pone tra lo spettatore e le sculture diventa poi una sorta di linguaggio segreto, un dialogo silenzioso che dilata l’osservazione e “consuma” l’opera con maggiore lentezza, come se le figure stesse reclamassero un tempo più lungo di “decantazione”.
Alex, come è nato questo progetto?
Oggetti smarriti è una mostra particolare, quasi una sfida, perché ho cercato di mantenere forte il legame tra i gioielli e la mia ricerca scultorea: in prima analisi si è trattato di capire quali fossero le sculture che potevano diventare gioielli e quali potevano continuare a dialogare armoniosamente con essi. In passato avevo realizzato alcuni gioielli in corda, ma erano rimasti fatti episodici. Per prima cosa, insieme alla gallerista Barbara Lo Bianco, abbiamo dovuto individuare le opere più idonee anche in relazione allo spazio espositivo, come la figura sul trampolino che guarda il tavolo dove sono disposti i gioielli o la mano di bimbo che tiene una perla nel palmo, un’opera che emerge dal muro e che in qualche modo aveva già in nuce l’idea di “preziosità”.
Il soggetto delle tue sculture, questa figura stilizzata e monocroma dai lunghi arti ritorna sempre – e sempre diversa- nei tuoi lavori…Un alter ego?
E’ una figura che, come me, mantiene un’anima infantile, che vive in un suo mondo, volutamente non caratterizzata nei tratti somatici perché ciascuno deve poter proiettare se stesso, riconoscersi nel suo senso di sospensione, di attesa. In essa c’è una precisa reminiscenza della statuaria classica, penso all’Ombra della sera del Museo Archeologico di Volterra, una scultura che è un piccolo grande miracolo; sono affascinato dalla statuaria classica ma anche dall’arte nuragica, da quella cicladica (ricordo un piccolo cane scolpito al museo dell’isola di Limnos). Attingo molto da queste espressioni che per me sono totalmente compiute, perfette nella loro sintesi estetica espressa già migliaia di anni fa. Penso che l’arte contemporanea alla fine sia una sorta di bluff.
In che senso un bluff?
Perché è un categoria di comodo, ci sono opere d’arte che sono atemporali, assolutamente non classificabili e forse è proprio questo a cui dovrebbe l’arte tendere per essere tale.
Cosa può fare un artista oggi?
Può fare il suo lavoro integrato nel suo tempo, ma non deve cercare novità fini a se stesse: sto pensando agli strumenti informatici che danno un grande aiuto in termini di realizzazione pratica ma spesso l’opera, così prodotta, rimane povera di contenuti.
Come hai selezionato le sculture in mostra?
Come dicevo era fondamentale mantenere il dialogo tra le mie sculture e i gioielli, per cui sono state scelte proprio per le corrispondenze e la coerenza tra tutte le opere presentate. L’allestimento è tutto centrato sulla distanza, un concetto per me fondamentale: mi piace che tra lo spettatore e le opere ci sia una lontananza, uno spazio che diventa filtro: la comunicazione non è troppo diretta, l’opera non deve essere subito “consumata”. Anche l’attesa, la pazienza sono concetti che vanno recuperati, così come cerco di insegnare ai miei studenti. Le ombre riportate sui muri giocano poi un ruolo importante nell’economia dell’allestimento della mostra, l’ombra è l’anima della scultura e ne raddoppia le potenzialità plastiche.
Come nascono la serie degli uomini- foglia?
Da un soggiorno in un dammuso a Pantelleria, dove ero andato ospite di un collezionista proprio per sviluppare idee nuove. Davanti al dammuso c’era una bellissima magnolia per cui una delle prime cose che ho visto erano queste magnifiche foglie carnose a terra. Le ho prese e portate nel mio studio, e ci ho combattuto per tre anni.
In che senso?
Perché sono già delle sculture perfette e quindi sono intervenuto minimamente, aggiungendo solo una piccola testa.
Il rapporto con la Natura appare come punto nodale nella tua ricerca…
Sì, credo che una delle possibilità di salvezza che abbiamo è proprio recuperare il rapporto con la Natura: la foglia in bronzo con la patina verde rame è stata ottenuta immergendo la scultura per due anni in acqua di mare. Le foglie sono poi divenute orecchini in oro e argento. Molto interessante è stato poi l’inserimento del legno per anelli e ciondoli: ho collaborato con un liutaio che mi ha preparato i legno di ebano e di acero che usa per le casse armoniche. Il ramo con la figura seduta nasce da una storia curiosa, è parte di un albero che è caduto qui a Milano che io ho recuperato e quindi portato in fonderia: il risultato è un albero in bronzo, sospeso anche nella sua esistenza, cristallizzato nel tempo grazie all’arte.
Le tue opere hanno titoli “parlanti”?
Ho assegnato loro, con una certa dose di ironia, titoli di canzoni anni ‘90 come How deep is your love. La serie delle foglie hanno tutte il titolo lost found and lost con il quale ho cercato di restituire questo senso di ricerca costante nel mio lavoro. Sono nato al mare, la corda dei pescatori ritorna molto nei miei lavori per l’immediatezza di realizzazionepratica che permette: materiali come il bronzo hanno bisogno di passaggi successivi, mentre con la corda il processo creativo è più istintuale, segue diretto l’idea.
Sei soddisfatto dei gioielli in mostra?
Sì, soprattutto perché sono riuscito a mantenerne intatto il carattere scultoreo: i miei gioielli sono ancora e soprattutto sculture che si possono indossare e che mantengono la monumentalità, pur nella piacevolezza della portabilità sul corpo.
Perché “oggetti smarriti”?
Forse perché le mie figure hanno un senso di spaesamento, quasi di instabilità esistenziale, lieve e poetica, che li rendono empatici, quasi complici: non è difficile identificarsi in essi.
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