Nella sua prima personale presso la Nuova Galleria Morone di Milano l’artista argentina Elizabeth Aro presenta Brumas, a cura di Francesca Pasini, fino al 4 maggio.
Un corpus di opere che coniuga tecniche diverse e diversi materiali, tessuto, disegno e ricamo, in un racconto di grande equilibrio formale e altrettanto impatto visivo, che spazia dal figurativo al concettuale con estrema grazia.
Brumas è il titolo di un grande disegno a grafite (cm 240 x cm 240 x cm160, 2014 -2018) in cui appare la temperatura della nebbia e la luce incerta del primo mattino, quando il bosco è sospeso nell’umidità in una luce senza sole. Sulla parete apposto, in armonioso dialogo, con Estudio de Nubes, 56 disegni a grafite (cm 20 x cm 20, 2014/2018), dove il movimento del cielo tra lampi di luce e oscurità fa da controcanto al bosco di Brumas. Al centro della galleria Red Net (2006-2013), velluto rosso cucito in lunghe corde che formano una grande rete: la rete dell’esperienza quotidiana, degli affetti, delle contraddizioni, ma anche la rete dell’universo che con un’eccezionale gravità tocca terra. L’artista, infine, con un fitto ricamo in filo d’oro avvolge i volti di tre donne nella serie fotografica Just Me (2016).
La personale è occasione per incontrare Elizabeth: l’artista da tempo si misura con la scultura in stoffa, spesso di grandi dimensioni, e realizza progetti site specific che invadono, avvolgono, esaltano lo spazio: una scelta che le ha permesso di distinguersi nel panorama artistico internazionale con originalità e talento.
Ci racconti la genesi di questa tua mostra?
Il progetto della mostra nasce da questo grande disegno che si chiama Brumas, in cui ho fermato sulla carta il momento in cui il sole non è ancora sorto, in cui tutte le possibilità sono aperte. Per me riprendere la matita e disegnare sulla carta è stato un ritornare all’origine, ai miei studi dell’Accademia, dove ho iniziato proprio con il disegno. È stato importante ritrarre questo mio momento in cui tutto è nuovamente in potenziale: è l’attimo prima di ripartire verso destinazioni che si ignorano, e questo è il loro fascino, un fascino universale. È un inizio aperto espresso anche dalla tecnica, le linee da vicino presentano un tratto molto sfumato, volutamente indefinito, come la nebbia che è formata da gocce di acqua che evaporano nell’aria e si dissolvono.
Quale spazio hai voluto ritrarre?
E’ un luogo fantastico, un bosco, un luogo della natura filtrato da una visione assolutamente romantica, uno “schermo dell’’anima” in cui si proietta il proprio io: come sempre in passato, la natura è lo scenario in cui l’uomo si rispecchia per come si percepisce, e non per come è in realtà. Sulla parete di fronte ho voluto disporre Estudio de Nubes, ispirato da una poesia di Borges sulle Nuvole, tema sui quali il grande poeta ha scritto diversi componimenti: sono 56 disegni che partono da 7 soggetti rielaborati e variati, matita su carta da lucido. Volevo sottolinearne l’estrema leggerezza e anche, con gli studi sulle nuvole, le variazioni tecniche su un medesimo soggetto: un po’ come lo studio rinascimentale che insiste su un tema specifico per coglierlo da più punti di vista. Mi interessava raffigurare il tremore delle nuvole, il rapido fluttuare: il loro passaggio è un chiaro parallelo alle nostre emozioni. Il cielo e il transito delle nubi è un altro scenario naturale a cui l’uomo, a qualsiasi latitudine, volge lo sguardo e vede cose sempre diverse, lasciando spazio all’immaginazione. Tutti i disegni, pur singoli, dialogano gli uni con gli altri, così come le opere in mostra, che rappresentano tutti stati d’animo, mio come dello spettatore. Il concetto stesso di rete si può leggere anche come un legame tra le diverse mie opere. Mi piace inoltre sottolineare inoltre che i soggetti rappresentati sono tutti elementi naturali dello spazio esterno che io metto in un interno, in uno spazio chiuso. Qual è la soglia psicologica tra dentro e fuori? Il tessuto rappresenta bene questo diaframma, è come la pelle: ti separa dall’esterno e allo stesso tempo ti protegge. Con il tessuto inoltre puoi occupare lo spazio in un modo avvolgente, immersivo.
Come nasce la rete di tessuto prezioso?
Quando vivi all’estero ti manca una rete di sostegno, che è costituita non solo dai familiari e dagli amici, ma dal contesto stesso, lo scenario a cui sei abituato, la lingua, le abitudini…Quando vivi in un altro paese, addirittura in un altro continente, ti senti spesso come un funambolo su una corsa tesa, senza rete di protezione. Ho voluto rappresentare questa sensazione attraverso la realizzazione fisica di un intreccio di grande dimensioni, una rete preziosa. L’ho voluta ricreare a mano, lussuosa, persino drammatica nel suo colore rosso scuro. La passione dei sentimenti emerge sempre nel mio lavoro: l’arte ha difficoltà talvolta a parlare dell’amore: l’amore è nella bellezza, nell’armonia, qualcosa che riconosci quando la vedi. Mi interessa tramettere questa bellezza con la preziosità dei materiali e con la preziosità dei concetti, relazionandomi con i grandi della letteratura e dell’arte, Borges, Man Ray, in una ricerca di Bellezza che coinvolga tutte le arti. Sulla fotografia di Man Ray ho ricamato fili d’oro che trattengono i sogni, una bellezza eterna. Ionesco sosteneva che è nel sogni che sei veramente te stesso e questo è un altro luogo dell’anima dorato, magico, forse il più autentico.
Tutte le tue opere prevedono dei tempi lunghi di esecuzione…
Sì, assolutamente. Non so mai quanto tempo impiegherò a realizzare un’opera. C’è una parte rituale nelle mie opere, così come succede naturalmente per le tessiture, che sono state le prime forme di espressione e sono state utilizzate, come tali, dalle donne. Sono nella seconda parte del ‘900 sonno diventate forme espressive utilizzate anche per gli uomini, che ne hanno colto il potere artistico e comunicativo.
Chiudiamo la nostra visita in galleria con una battuta con il gallerista, Diego Viapiana, che ha creduto nel tuo lavoro.
Diego, da tempo ti occupi del tessuto nell’arte contemporanea, ricordiamo il tuo intenso lavoro sul Maria Lai…
L’elemento tessile, come diceva Maria Lai, è il primo alfabeto che è stata utilizzato dall’uomo, e questo è un elemento di grande interesse poiché diventa un potente strumento espressivo, senza tempo. In realtà oltre al tessuto mi interesso di molti media, personalmente continuo a “studiare”…Mi piacerebbe anche riproporre la pittura, anche se trovo che per far questo si dovrebbe recuperare la nostra cultura del passato. Spero che la crisi culturale di questo momento porti ad un nuovo Rinascimento: oggi ci sono meno alfabeti ma più ignoranti. Le potenzialità espressive ci sono, ma va recuperato lo studio del passato e gli insegnamenti in essi contenuti.
Per info
Via Nerino 3, Milano