giovedì , 21 Novembre 2024
'Il Laghetto della Verità', Mara Cerri

“I libri di Oz”, a Torino Chiara Lagani interpreta un classico della letteratura

Fino al 22 giugno, Torino ospita il Festival delle Colline Torinesi. Il tema ricorrente è il viaggio, declinato nelle sue varie interpretazioni, che vanno dai libri di Oz alle storie dei migranti.

Ci sono Dorothy, lo Spaventapasseri, il Leone codardo, la Malvagia strega dell’ovest e il Mago di Oz. Ma anche la gallina Billina, l’automa Tic-Toc, i ruotanti, la principessa Langwidere e la regina Ozma. Il mondo di Frank Baum, personaggio poliedrico e scrittore de ‘Il meraviglioso mago di Oz’, è ricco di storie, intrecci, messaggi. E se quasi tutti conoscono il primo libro della saga – quello in cui Dorothy si ritrova catapultata nel mondo di Oz a causa di un ciclone -, in pochi hanno letto gli altri tredici libri della serie.

Chiara Lagani

Chi li ha letti, e tradotti, è Chiara Lagani, attrice, traduttrice e fondatrice – insieme a Luigi De Angelis – della compagnia teatrale Fanny & Alexander, che a Torino, durante il Festival delle Colline Torinesi, ha fatto scoprire al pubblico anche alcune delle altre storie di Baum. Davanti al pubblico del Caffè Muller, Lagani inizia a leggere l’incipit della storia più famosa, con l’arrivo di Dorothy e del cane Toto nella terra di Oz, poi lascia il libro e interpreta tutti i personaggi dei racconti, dando vita a storie diverse, spesso anche in contrasto tra loro, in grado di alternarsi tra emozioni che vanno dalla malinconia alla comicità e alla paura. Un’ora di spettacolo in cui la bravura di Lagani si staglia su uno sfondo ricco di immagini, quelle disegnate da Mara Cerri per il libro – pubblicato da Einaudi nella collana Millenni – in cui la drammaturga ha svolto il ruolo di traduttrice dei quattordici racconti di Baum.

Chiara Lagani. Sullo sfondo il Leone codardo

La scelta di inserire delle illustrazioni, d’altra parte, era naturale: come spiega Lagani, i libri di Oz sono sempre stati illustrati, “senza, però, che le immagini diventassero una didascalia, ma anzi: dovevano aprire delle nuove questioni”, e così funziona anche con le piccole opere di Cerri. “Questa è la prima volta che faccio un lavoro di traduzione per una casa editrice. Forse la traduzione è una delle forme in cui si può esplicitare il mio grande amore per il teatro, perché è il rapporto con una voce. Per un anno ho avuto un rapporto con la voce di Baum, che si è insinuato in ogni aspetto del mio quotidiano. In questo non differisce molto dal dover interpretare un personaggio a teatro”, spiega Lagani. La voce che ha sentito, forse, è stata anche quella dei bambini che, dopo l’uscita del primo racconto, hanno continuato a chiedere a Baum di scriverne ancora, anche quando lui avrebbe voluto cimentarsi in altro. Non gli fu possibile, e per tutta la sua vita ricevette richieste e spunti narrativi dagli appassionati di Dorothy, ai quali iniziò a proporsi come ‘Storico Reale di Oz’, così da prendersi del tempo tra un racconto e un altro, dicendo che la Storia ha bisogno di ricerche e documentazioni, mentre scriveva sotto pseudonimo libri non legati al mondo di Oz.

‘Il Laghetto della Verità’, Mara Cerri

La forza narrativa dello spettacolo e di ciò che racconta sta anche nel fatto che non è destinato soltanto ai bambini, ma a chiunque: “Tutti gli autori che amano i bambini scrivono questo tipo di libri, che trattano di temi per adulti. I grandi libri per l’infanzia sono così, i bambini devono certo essere guidati ma vogliono ascoltare questioni per adulti, come la morte e il rapporto tra realtà e immaginazione”, spiega Lagani. Il mondo di Oz, infatti, è sempre stato accompagnato da una serie infinita di interpretazioni, da chi ci vedeva la crisi economica americana, all’autoritarismo fino alla democrazia e al femminismo: rappresentazioni contrastanti che esplicitano la complessità del testo, in cui non c’è una morale, ma piuttosto una serie di strade da percorrere e delle personalità bricolage, degli individui fatti di tante cose che se fossimo in racconti di fantascienza definiremmo dei cyborg, al punto che alcuni rifiutano la loro natura di ibridi. Ad esempio, il cervo alato con il corpo composto da due divani chiederà alla regina Ozma di dividerlo nei pezzi originari”, dice Mauro Bersani, direttore editoriale di Einaudi.

La complessità del mondo di Oz, che si estende e si contraddice nei quattordici libri, si ritrova anche nella vita stessa di Baum “che è stata un’infinita odissea di cambi di mestiere, di situazioni di difficoltà, di bancarotta dalla quale poi si riprendeva, dalla voglia di fare il giornalista al fare poi invece l’allevatore di polli”, spiega Sergio Ariotti, direttore artistico del Festival delle Colline Torinesi, che sottolinea come lo spettacolo faccia parte di un quadro più grande che comprende tutti gli eventi della 23esima edizione del Festival, che terminerà il 22 giugno, districandosi tra Torino, Collegno e Moncalieri. Il tema ricorrente è quello del viaggio che in questo caso parte dal mondo di Oz e si estende fino a un concetto più generale: “Tutti conoscono la storia di Dorothy, una storia che è un viaggio di infinite migrazioni, infiniti spostamenti, un po’ come quello dei migranti che arrivano in Europa”, dice Ariotti. Il Festival, infatti, si snoda su questo tema, che si allarga anche “ai viaggi della mente, ai viaggi attraverso le identità, anche quelle sessuali. Il messaggio che può venir fuori da un Festival ovviamente non è analogo a quello di un manifesto politico, ma è quello di ragionare, di riflettere sull’accoglienza, sul confronto, sul sentire le voci di tutti”, spiega Ariotti. Non a caso, lo spettacolo cardine è “quello di Milo Rau, Empire, in cui quattro migranti, che sono però degli attori di grande talento, raccontano le loro storie. Stare a sentire le loro storie è già molto importante”, dice Ariotti. Durante il Festival, i percorsi saranno anche quelli che portano su Marte, sui passi di Checov e quelli di Emily Dickinson, fino a scoprire Macbeth in sardo e a indagare il rapporto tra generazioni di iraniani in Summerless, di Amir Reza Koohestani, una prima nazionale che Ariotti descrive come “un ritratto di un mondo lontano e molto diverso”.

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