“I mean Negative Capability, that is, when a man is capable of being in uncertainties, mysteries, doubts, without any irritable reaching after fact and reason”: questa la dichiarazione di poetica che John Keats scrive un’unica volta in una sua lettera del 21 dicembre 1817. Con queste parole, il poeta rivendica il diritto dell’arte a conservare un fondamento di incertezza ed enigmaticità. Questa capacità negativa appartiene a una parte considerevole delle esperienze artistiche del Novecento e contemporanee.
A partire da un’analisi di Georges Didi-Huberman sulla parte inferiore dell’affresco La Madonna delle Ombre di Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze, il critico Giovanni Iovane interpreta dinamicamente e dialetticamente le teorie di Keats. Nell’opera di Beato Angelico, quattro riquadri rossi astratti ad “altezza d’occhio” alludono alla pratica tradizionale del decoro e del finto marmo e, al tempo stesso, all’intenzione di dipingere un quadro che possa rappresentare quel fondo d’invisibilità che la pittura mostra sempre ed inevitabilmente. Per una mostra alla Galleria Enrico Astuni di Bologna dal 20 giugno al 7 dicembre 2013, curata da Lorenzo Bruni e dallo stesso Giovanni Iovane, l’autore presenta dei brevi saggi di critica d’arte, che spostano l’attenzione da un campo ottico ed estetico ad un discorso in cui “il quasi niente da vedere” della pittura si associa alla pratica dell’ascolto. Per questo volume edito da Silvana Editoriale e intitolato “Negative Capability – Paintings. Saggi di Critica d’Arte”, l’intenzione di Giovanni Iovane è quella di svolgere un’analisi sulla sospensione di giudizio rispetto alla rappresentazione dello spazio espositivo reale e sulla forte carica negativa rispetto alla politica ed ai problemi di verosimiglianza e rappresentabilità.
Attraverso l’analisi di alcune opere di artisti contemporanei presenti in mostra – Giulio Paolini, Pier Paolo Calzolari, Reinhard Mucha, Carla Accardi, Peter Halley, Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova – poste anacronisticamente a confronto con celebri opere d’arte del passato, il critico e docente di Storia dell’Arte Contemporanea Giovanni Iovane cerca di suggerire come sin dai suoi modelli archetipici la pittura non abbia nulla, o quasi, da farci ammirare.
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