Colorista raffinato, moderno interprete dell’impressionismo, Gigi Chessa è stato spesso presente nelle rassegne nazionali di più alto livello. Architetto-decoratore, scenografo, sensibile pittore di paesaggi e nature morte, lega la propria notorietà ai “sei pittori di Torino”: movimento di gusto, internazionalmente aperto all’influenza straniera. Canale Arte inaugura, proprio con un testo biografico e critico su Chessa, una serie di approfondimenti su artisti torinesi.
Nato a Torino nel 1898 da Carlo, litografo e pittore, e da Lucia Carelli, pittrice, vive gli anni dell’infanzia a Parigi. Dal 1909 risiede a Torino, dove frequenta tra il 1914 e il 1918 l’Accademia Albertina e, per un anno, lo studio del pittore Agostino Bosia. In seguito è attratto da Felice Carena, marito di sua sorella Maria e da Felice Casorati. Con Casorati, Carena e Bosia espone per la prima volta a Torino nel 1918.
Colorista raffinato, moderno interprete dell’impressionismo, è stato un protagonista delle vicende artistiche italiane del Novecento, tanto da essere spesso presente nelle rassegne nazionali: dalla mostra “I Sei di Torino, 1929-1932” alla Galleria Civica di Torino nel 1965 all’esposizione “Arte Moderna in Italia, 1915-1935” nel 1967 a Firenze. Sue opere si trovano nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, nelle Gallerie Civiche di Torino, Firenze, Milano e Terni, nello Stedelijk Museum di Amsterdam, nel Museo d’arte moderna di Mosca e in numerose collezioni private.
Architetto-decoratore e scenografo, nel 1925 Chessa restaura il vecchio teatro Scribe, che prende il nome di Teatro di Torino (poi distrutto nel corso di un bombardamento nel 1942).
Sensibile pittore di paesaggi, nudi e nature morte, lega la propria notorietà ai “sei pittori di Torino” con Jessie Boswell, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio ed Enrico Paulucci. Movimento di gusto, in opposizione alla proclamata romanità dei novecentisti e al corporativismo ostile all’influenza straniera, questo gruppo si riconosce nelle comuni premesse culturali dell’arte moderna ed europea, in ciò appoggiato dall’attività critica di Lionello Venturi e Edoardo Persico.
Gravemente malato, non dirada il proprio lavoro, partecipando nel 1932 e nel 1935 alla mostra della Promotrice torinese e nel 1929 e, nel 1930 e 1932, alla Biennale di Venezia. Muore prematuramente nel 1935 a Torino dove, nello stesso anno, gli viene dedicata una retrospettiva presentata da Carlo Levi: l’anno seguente la Biennale di Venezia gli renderà omaggio.