Inaugura mercoledì 8 giugno alle 20, Desiderio, mostra con Fabrizio Bonci, Davide Fasolo, Fabrizio Molinario, Ennio Onnis, Roberto Puma, in concomitanza con Famadihana. Fino al 16 giugno, presso Galleria OBLOM
Dalle 21, Famadihana, prologo alla quarta edizione di OBLOM Poesia: letture di Davide Bava, Davide Galipò, Ennio Onnis, Silvia Rosa, Sandro Sandri, Salvatore Sblando. “Topografia dei Topi” di Fabrizio Bonci, con Ivo De Palma, performance di Letizia Leardini.
Canale Arte presenta qui una parte del testo critico di presentazione della mostra.
Desiderio è concatenamento di situazioni, auspicio d’atmosfera inedita, potenza innovatrice, distanza aurorale schiusa su un orizzonte di possibilità.
Qui riunite, sospese, affacciate avventurosamente sul baratro del confronto, si incontrano le opere di Fabrizio Bonci, Davide Fasolo, Fabrizio Molinario, Ennio Onnis, Roberto Puma.
Roberto Puma ha fissato questa commozione in un istante di contemplazione sensuale. I movimenti paralleli di un progresso scandito da ritmi precisi sembrerebbero catene montuose. Il loro incedere si arenerebbe su un fascio invalicabile di tenebre. Il grafico della nostra vista, intanto, registrerebbe gradazioni grigio-azzurre, in fasce verticali, su inchiostro straniante. Se anche vi fosse una breccia per insinuare soltanto un germe della sequenza iniziale, quest’ultimo sarebbe ineluttabilmente inghiottito da una fonte di luce cruda, da una tempesta incombente, dalla brace dell’incendio: residuo di tutto il nostro dispendio…
Galassie viscerali, lotte intestine, celesti perturbazioni sotterranee, vive e pulsanti: riflessi della volta stellata che macina sopra di noi, lo specchio dell’universo – concavo e convesso – in quanto intuizione concettuale. In ogni dove, dell’uomo restano messaggi rispediti al mittente, qualche preghiera isolata inudita, l’ex-voto rassicurante dopo il naufragio scampato per caso, mai per miracolo. Ennio Onnis presenta una serie di opere in cui l’assoluto e l’imperscrutabile, riassorbiti nell’esperienza dell’umano, acquistano la leggerezza della quotidianità.
Non è soltanto la nostra maschera, quella che noi vediamo, quando ci guardiamo allo specchio o ci incontriamo. Perché, se levato, il trucco non ci assomiglia più? Perché, se potessimo abbandonarlo, il travestimento perderebbe, paradossalmente, proprio le nostre sembianze, come se stesse rimpiangendo un’anima? Ne abbiamo solo una flebile intuizione, ma ne siamo certi: senza un’essenza, la nostra apparenza si trasforma in un frivolo orpello, in escrescenza carnosa inapplicabile, in un’orma odorosa e, infine, in una traccia abbandonata. Diventa simulacro, abbozzo che riformula un linguaggio. Nei dipinti di Fabrizio Molinario, un’inedita sostanza si concretizza, si crea allo stesso modo in cui si produce un’opera d’arte – inutile eppure espressiva, opaca eppure rivelante: siamo noi questa nuova materia, quest’impasto contrastante di visione e memoria…
Davide Fasolo pratica un’improvvisazione sulla fievole e persistente agonia della rappresentazione. Dove un racconto si perde, l’autore rintraccia l’ordito di un sogno, ritirando le fila da segno e colore, da una sfumatura in superficie, una profondità. Rianimatrice della traccia, questa particolare magia alchemica è apparentemente frammentaria, in quanto esercizio radicale dell’ironia. Affinché tutto l’impianto concettuale possibile si affranchi dall’utopia e si riappropri dell’esperienza, l’artista bandisce i non-luoghi, il bianco, il nero e la materia pura.
Una volta assimilati determinati meccanismi, noi possiamo insinuarci al loro interno come conduttori di forze. Incorporiamo e incanaliamo tensioni, mentre i poli oppongono resistenza o si attraggono. Indifferenti alle forme esteriori, le ricreiamo dall’interiorità: organismi generati in se stessi, auto-sostentati, continuamente implementati dalla passività nelle traiettorie dei collegamenti. Come se si trattasse di un’analisi scientifica o di un esperimento fisico, lasciamo decantare le sostanze per una frazione temporale utile all’elaborazione completa di un risultato finito. Se lavoriamo sull’essenza dei segni, permettiamo alle sedimentazioni di depositare i propri detriti. Fabrizio Bonci agisce secondo una pratica distaccata, isolando la creazione nell’ambito di una fluida dimensione transitoria ed eventuale. Quando crea, lavora sugli intervalli e sui silenzi, sull’interazione con il vuoto: percezione delle pause. Il percorso di raccolta dati – comprovate identificazioni di un’alterazione e di un disagio – è la strada per la liberazione dai nostri mali…