giovedì , 2 Gennaio 2025
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EVERYTHING PRECIOUS IS FRAGILE – TUTTO CIÒ CHE È PREZIOSO È FRAGILE

IL FEMMINISMO AFRICANO RACCONTATO DAGLI ARTISTI DEL BENIN A VENEZIA

Innumerevoli fatti di cronaca terribili si sono succeduti in tutto il mondo dall’ultima giornata dedicata alle donne, il 25 novembre (giornata mondiale contro la violenza sulle donne). Persone comuni ed esperti di ogni categoria e paese hanno affrontato tutte le sfaccettature possibili sul tema. Gli artisti del Benin a Venezia, nei sei mesi in cui la Biennle Arte li ha ospitati alle corderie dell’Arsenale, hanno puntato i riflettori sul femminismo africano. Stiamo parlando di un movimento che ha radici profonde nella storia di questo paese ed è poco citato nei dibattiti internazionali sull’argomento.

Il Curatore del Padiglione del Benin, Azu Nwagbogu, attinge dalla cultura tradizionale delle popolazioni indigene e dalla voce degli artisti contemporanei per definire il ruolo che le donne hanno oggi nella società africana. “Il ruolo che la donna riveste nella nostra società ha origine dalla figura della guerriera e dalle tradizioni Gèlèdé del popolo Yoruba. Ciò che chiamiamo femminismo africano sta a identificare il ruolo rilevante – seppur vulnerabile – che le donne hanno assunto nelle nostre società dall’antichità fino ai giorni nostri, nella quotidianità del mondo contemporaneo. Il femminismo africano costituisce un passato che gli artisti hanno il dovere di recuperare, un presente da elevare e un futuro che vogliono contribuire a creare.”

Il messaggio trasmesso dalla mostra “Everything precious is fragile” del Padiglione Nazionale del Benin era potente e con questo articolo vorrei riportarlo alla vostra attenzione:
«Il potere di generare la vita, il sapere intellettuale e spirituale delle donne, celebrate in Africa dalla filosofia Gèlèdé, devono essere protetti perché preziosi, e quindi fragili.»

Il termine Gèlèdé fa riferimento all’insieme delle tradizioni spirituali e delle istituzioni sociali e politiche del popolo Yoruba, ma identifica anche le maschere utilizzate nelle cerimonie religiose e nei rituali tradizionali, che rappresentano le antenate, le donne anziane e le figure femminili che sono state importanti nella storia di questo popolo. L’artista Romuald Hazoumè è famoso a livello internazionale per le maschere Gèlèdé, che realizza con taniche di benzina reciclate in plastica, lo stesso materiale utilizzato per l’opera che ha realizzato al centro del Padiglione del Benin a Venezia.

Tutte le espressioni della tradizione Gèlèdé e della religione Voodoo celebrano il potere spirituale e creatore delle donne. La donna nella filosofia Gèlèdé rappresenta contemporaneamente la madre che dà la vita, nutre e protegge, il tramite con la natura, la guida religiosa custode dell’occulto nei riti voodoo, l’amazzone guerriera.

I quattro artisti beninesi contemporanei chiamati dal Azu Nwagbogu a interpretare il tema del femminismo africano sono l’artista visiva della diaspora beninese Chloe Quenum, il fotografo Ishola Akpo, l’artista visiva e digitale Moufoli Bello e Romuald Hazoumé. Ho avuto la fortuna di incontrarli e raccogliere la loro testimonianza.

Ishola Akpo, Ìyálóde, 2024 – Jacquard, double satin weave 450x700cm – ph. Diana Cicognini

Il femminismo africano, in particolare l’accezione beninese, impronta il concept dato alla mostra dal curatore ed è richiamato, in ogni suo aspetto, dagli artisti presenti in mostra.

«Ìyálóde» è il titolo dell’opera portata a Venezia da Ishola Akpo. L’arazzo, che riproduce una vecchia fotografia in bianco e nero di guerriere africane con al centro l’immagine di una donna a colori, fa parte di un percorso di riscoperta del passato. Il progetto di Ishola Akpo, iniziato nel 2021 con la serie “Agbara Women” e proseguito nel 2022 con un’altra serie “Traces of a Queen”, riporta alla luce la storia di regine e altre figure femminili ormai dimenticate, ma importanti per la storia dei regni del Benin e di altri Paesi africani.
“Il mio lavoro celebra il potere delle donne. Le donne che hanno combattuto nel continente africano e che hanno occupato un posto importante nella nostra storia comune, ma non sono ricordate nei nostri archivi perché le loro storie sono state cancellate. Io invece voglio riportarle in vita attraverso la mia opera. La donna, nella tradizione Gèlèdé, è portatrice del sapere. Il sapere è importante, prezioso, ma per questo è fragile e va protetto.”
Ishola Akpo

ÈGBÈ MODJISOLA di Moufoli Bello – ph. Diana Cicognini

L’installazione «ÈGBÈ MODJISOLA» di Moufoli Bello è composta da tele di grandi dimensioni che raffigurano donne contemporanee in posa per un ritratto a figura intera in “blu batik”, colore che identifica le opere dell’artista. Dietro queste immagini potenti si nascondeva in realtà una biblioteca in cui era possibile trovare saggi, poesie, romanzi e manifesti di varie autrici sul femminismo africano. Al centro una scultura in vetro rappresentava una danza tradizionale per la maternità tipica della cultura yoruba-beninese.
“A Venezia ho proposto un lavoro su qualcosa che è fragile e prezioso, ovvero i diritti delle donne, e una soluzione per farli rispettare: la comunità femminile, qualcosa che è sempre esistito nel mio Paese. Credo veramente che la comunità femminile possa supportare le donne a diversi livelli, finanziario, spirituale, sociale, e che questa comunità possa aiutare a proteggerle in situazioni di guerra, conflitto o altro.” Moufoli Bello

L’heure bleue di Chloe Quenum – ph. Diana Cicognini

Nell’istallazione «L’heure bleue» Chloe Quenum riproduce in vetro alcuni strumenti musicali storici della sua terra dopo averli visti al Musée du quai Branly-Jacques Chirac di Parigi. Ripercorrendo la storia di questi strumenti e del suo popolo, essendo lei stessa nata e cresciuta fuori dal Benin, l’artista riflette sulla diaspora e sulla tratta degli schiavi. Il “vetro cordato o vetro coloniale” con cui ha realizzato queste opere e la riproduzione di un bovindo, le tipiche finestre presenti nelle corderie dell’Arsenale dove ha avuto sede il Padiglione, veniva usato nelle architetture di epoca coloniale e come moneta di scambio nella tratta degli schiavi.
“Si tratta di un’opera sulla memoria in cui ho riprodotto degli oggetti per creare un contesto storico. Gli strumenti appartengono alla collezione Quai Branly e in qualche modo il loro viaggio dal Benin alla Francia ripercorre il percorso della tratta degli schiavi.” Chloe Quenum

Ase di Romuald Hazoumé – ph. Diana Cicognini

L’installazione «Ase» di Romuald Hazoumé al centro del Padiglione del Benin ha rappresentato un logo sacro dove era possibile ascoltare la voce degli avi, la voce della saggezza africana. Se fossimo riusciti ad entrare lasciando spenti i cellulari, e quant’altro costituisce il rumore di fondo dello stile di vita contemporaneo, avremmo forse potuto sentirli. La concezione del mondo dell’artista supera i concetti di femminismo e maschilismo: è l’umanità intera ad essere in pericolo e quindi fragile.
“Quando sei dentro questa stanza ottieni potere, si possono incontrare le persone che c’erano prima. Sai, i nostri vecchi sono diventati stelle. Quelle persone vi guardano e voi potete incontrarle. Vi guardano in quanto esseri umani e non perciò che possedete. Questo significa esistere.
Noi oggi, invece, siamo diventati pericolosi per gli esseri umani. Vogliamo cambiare tutto con l’intelligenza artificiale. Viviamo in un mondo fragile di cui dobbiamo prenderci cura.”
Romuald Hazoumé

LA MOSTRA

La mostra collettiva “Everything Precious is Fragile” ha affrontato il tema della decolonizzazione e della tratta degli schiavi, il femminismo beninese e la figura dell’Amazzone, la spiritualità e la religione Voodoo e, infine, attraverso il materiale consultabile in mostra, ha cercato di valorizzare il patrimonio culturale beninese.

Il curatore Azu Nwagbogu, direttore della Fondazione no-profit African Artists’ Foundation (AAF) con sede a Lagos in Nigeria, ha lavorato insieme a Yassine Lassissi, Direttore artistico de La Galerie Nationale du Bénin di Lagos e all’architetto Franck Houndégla.

“In Benin il ruolo della donna nella società è fondamentale. Si ritiene che sia dotata di un potere che deve essere preservato. È colei che accompagna e preserva la società, è la custode dei segreti e colei che può risolvere i problemi. Gli artisti hanno proposto delle opere in dialogo tra loro per celebrare la figura dell’Amazzone. Si tratta di una figura femminile presente non solo nella società tradizionale beninese, ma anche in quella contemporanea.” Yassine Lassissi

Le opere di Chloe Quenum, Ishola Akpo, Moufoli Bello e Romuald Hazoumé sono complementari e danno voce ad un unico racconto che ha per sfondo la scenografia di Franck Houndégla: “Il principio che ha ispirato la mia scenografia è stato quello di creare uno spazio vitale per i visitatori, che permettesse loro di esplorare liberamente, e di favorire un dialogo tra le opere all’interno di un edificio storico molto bello perché porta i segni del suo passato”. Un unico elemento collegava tutto, unendo virtualmente l’Africa e Venezia perché mescolava richiami alle architetture dei villaggi africani a materiali veneziani: una panca semicircolare che, come mi ha spiegato lo stesso scenografo, riprendeva elementi presenti nei cortili delle abitazioni collettive in Benin ed è stata realizzata con terra proveniente da Venezia.

La scenografia del Padiglione, quindi, invitava a soffermarsi, discutere e riflettere sul ruolo delle donne in africa, mentre dalle opere risuonava la voce degli artisti.

GLI ARTISTI

Ishola Akpo
Artista visivo multimediale e fotografo, nato in Costa d’Avorio da genitori beninesi, concentra la sua ricerca artistica sulle questioni che riguardano l’identità del suo popolo, esplorando i legami tra tradizione e modernità. Vede nella figura femminile la via per la trasformazione della società.
Le sue opere fanno parte delle collezioni del museo Quai Branly-Jacques Chirac.

Moufouli Bello
Artista visiva e digitale nata in Benin, prima di diventare un’artista si è dedicata al diritto sociale, al giornalismo, alla fotografia e alla scrittura. Ha esaminato il modo in cui religione, tradizione, cultura, politica e tecnologia influenzano e plasmano il nostro modello sociale e la nostra identità.

Romuald Hazoumè
Nato in Benin, è chiamato “Arê” termine usato per designare gli artisti itineranti dell’epoca reale dal popolo Yoruba a cui appartiene. Discende, infatti, da una stirpe prestigiosa di origine yoruba e si impegna a tramandarne la cultura. Il suo lavoro fa parte delle più grandi collezioni internazionali: British Museum di Londra, Museo Barbier-Mueller di Ginevra e Museo Nazionale di Arte Africana, Smithsonian Institution di Washington.

Chloé Quenum
Artista visiva della diaspora beninese vive e lavora a Parigi. Ha studiato antropologia della scrittura presso l’École des hautes. Il suo lavoro ha un approccio sottile e poetico alle questioni politiche, sociali ed ecologiche. Le sue opere sono entrate in diverse collezioni pubbliche e private, in particolare alla Fondation Hermès.

Yassine Lassissi
Direttrice artistica della National Gallery of Benin, la prima agenzia statale dedicata alla promozione delle arti visive beninesi, dal 2023 è direttrice delle arti visive presso l’Agence de Développement des Arts et de la Culture (ADAC) del Benin.

Franck Houndégla
Scenografo e designer con un dottorato in architettura, è specializzato nella realizzazione di mostre e nell’allestimento di musei, luoghi dedicati alle performance e spazi abitativi, oltre che nel recupero di spazi pubblici e siti definiti patrimonio culturale.

About Diana Cicognini

Diana. Dea cacciatrice! Il mio territorio è Milano, la mia preda l'Arte ... che racconto, scrivo, disegno e metto in mostra. Giornalista pubblicista, la mia Nikon mi accompagna sempre per testimoniare la bellezza e là dove il mio obiettivo fotografico non arriva...un grazie dichiarato ad artisti, gallerie ed uffici stampa che mi concedono "uno scatto" per le mie parole. Mi trovi su Instagram: @dianacicognini.contentcreator

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