Ecco la città della pittura. È disabitata, sempre, ad ogni istante in cui vi accede anima viva, da centinaia di anni, per quanto dura. Il secolo è, infatti, la sua cifra, riconoscibile ai sensi: mondo e tempo, frattura inevitabile, terreno e generazione.
Ecco le mura dell’espressione. Il linguaggio, quando autentico, è inespugnabile. Dov’è puro, è incomprensibile. Colore fatale, per definizione: pelle evanescente, stesura, rivestimento, involucro, coperchio, tetto, sarcofago, sepoltura. Caducità della riproduzione: di getto, dal vivo, all’aperto, in origine e in serie, per libertà.
La polpa della struttura, cromo-grammatica: lettera cosparsa, unta, pesata, chiusa. Qui sta la carne, nell’eterna sutura che sogna la verità!
Scritture scintillanti, forse somiglianti a materia clorofilliana – i dipinti sono davvero struttura e contorno, per cui la figura, illuminata, garantisce un posto ad ogni colore? Tratti curvi – morbidi o violenti – possono introdurre uno stampo di matrice tattile, la percezione dei polpastrelli su una foglia sensibile, quale è… Da una parte, le linee garantiscono funzionalità stranianti o compiacenti, dall’altra, si elevano allo stato di elementi autonomi, superfici-volumi delimitanti: sono involucri, scatole, masse corporee. Il tratto – trattenuto – insiste ossessivamente sull’inganno percettivo dell’apparenza umana, interna esterna, dove l’occhio è sempre capovolto. Rapporti arbitrari eccedono sul versante espressivo, includendo l’emozione nell’area della tela.
Come un relitto trascinato da un fiume bianco, tra gorghi e scogliere, lo spazio può restringere e sostenere l’espansione illimitata delle tinte, in modo tale che questa risulti sospinta o accelerata, sommersa o recuperata. Lo sfondo, talvolta, è campitura omogenea e fluida nella sua unità. Se, in primo piano, i segni ignorano ogni geometricità; il quadro diviene aereo, e tenta il raggiungimento di un massimo di luce fissata nell’eternità di un tempo e di uno spazio: cromotopìa, cromocronìa…
Il contorno, così, non è mai più quello della Figura, ma trova la propria dimensione di elemento autonomo, determinato dall’impressione di ogni fenomeno. La dea che ammiriamo, di volta in volta, giustifica il distacco graduale da ogni immanenza, in produzione seriale di umane formulazioni, in processo continuo di liberazione: cromografìa. È l’imitazione a fornire luminosità: maieutica della luce in un percorso di intuizioni progressive, in cui lo stile è generato dalla coscienza della finitezza della nostra consueta percezione.