La Fondazione Videoinsight®, fondata e presieduta da Rebecca Russo, filantropa, mecenate, collezionista d’Arte Contemporanea ha assegnato il Premio Videoinsight® 2018, giunto alla sua settima edizione, all’artista Cosimo Terlizzi (Bitonto, 1973) rappresentato da Traffic Gallery di Bergamo, per l’opera fotografica ‘La Sacra Famiglia”
Il lavoro è attualmente in mostra nella ex-Chiesa di San Mattia a Bologna nell’ambito della mostra ‘Kahuna’, a cura di Leonardo Regano. L’opera è acquisita per la prestigiosa Collezione di Rebecca Russo, una raccolta di opere d’arte contemporanea dotate di alto impatto psicologico. All’artista viene offerto un solo show al Centro Videoinsight®.
E’ Rebecca Russo in persona a spiegarci le motivazioni del premio: “Ho premiato ‘La Sacra Famiglia’ perché affronta con coraggio e delicatezza il tema della famiglia, che è fondamentale, universale, immortale, eterno, primario, sacro. L’opera preme, interroga, provoca. Penetra nell’inconscio. Svela risorse e vulnerabilità. Rompe gli schemi. Muta le distanze e il punto di vista. Rovescia i pregiudizi. Apre lo sguardo. Sorprende. Pone in sospensione. Coinvolge, trascina, attiva rispecchiamenti, proiezioni, identificazioni, resistenze. Unisce elementi cruciali: l’identità, la famiglia reale (quella visibile), la famiglia interiorizzata (la struttura inconscia di relazioni affettive), la relazione genitoriale, quella coniugale, la triangolazione, la dimensione spirituale. L’esperienza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo compiuto dall’uomo per costruire un mondo che abbia un significato. Interpreto il ritratto come un presepe interiore, una storia simbolica, un diario intimo, che promuove consapevolezza, profondità, insight. Il bimbo illuminato è incoronato, potente. E’ simbolo di purezza, innocenza, speranza nel futuro, fiducia in una nuova umanità. E’ sorgente d’ispirazione, freschezza, entusiasmo, redenzione, intuizione, luce interiore. Il suo cuore è puro, il suo animo è incorrotto, può insegnare ad amare incondizionatamente, può salvare, stimolare la rinascita. L’intreccio delle mani e delle braccia nelle figure genitoriali, dei piedi e delle mani nel bambino, crea un circolo virtuoso, una spirale sacra, un simbolo spirituale che attira e nutre aprendo la porta alla riflessione e alla ricerca del significato invisibile. Amo profondamente quest’opera, contiene verità, dona una chance, rivela forza nella delicatezza.”
Abbiamo avuto l’opportunità di conversare con Cosimo, artista poliedrico e sperimentatore, che si misura con la fotografia, il video, l’installazione, la scultura, la performance, mezzi espressivi che adotta in modo fluido e coerente per affrontare i temi che più gli stanno a cuore, l’identità individuale, il concetto collettivo di sacro, il rapporto con la Natura come anima ancestrale del mondo. La conversazione avviene al telefono, direttamente dalla terre intorno a Bitonto dove l’artista è nato nel 1973 e dove di recente, dopo aver vissuto anche all’estero, ha deciso di ritornare, spinto non solo da una forte componente affettiva ma dal desiderio di concretizzare nella quotidianità la sua esigenza di vivere l’elemento naturale per assorbirne la forza e, al contempo, per apportare un suo personale contributo. Cosimo ha nel concetto di cura il transfer tra sé e la Natura, di restituzione ad essa, tema nodale della sua ricerca artistica: arte e vita in questo caso si confondono come espressione di un’esigenza arcaica primaria. Nell’entroterra del Sud Italia questo è ancora più vero, poiché l’uomo è legato alla terra da molteplici punti di vista, non ultimo il sostentamento economico, ma anche, in senso simbolico, dal rapporto che instaura tra le generazioni passate, quella presente e le future, nell’ottica di una nuova, necessaria ecologia, spesso tradita. Non pare dunque un caso che Cosimo stia dedicando le sue energie, tra una scrittura e uno studio dei suoi progetti, alla sua terra: oggi pianta la Fillirea, arbusto della macchia mediterranea che cresce spontaneo, spesso estirpato, in grado invece di attirare diverse tipologie di insetti infestanti e proteggere in questo modo gli ulivi (spesso protagonisti dei suoi lavori): un’azione che non stenteremmo a definire al pari di una performance, un gesto antichissimo quanto la Terra nel suo sentirsi uniti ad essa, un bisogno creativo essenziale, una ricerca d’assoluto nella vita di tutti i giorni.
Cosimo, prima del parlare del premio, come è andata l’anteprima del tuo nuovo film Dei?
Molto bene, sabato 10 febbraio ho presentato Dei all’Auditorium San Fedele Milano nell’ambito di Acquerò Film Festival – Lo spirito del cinema. Il film, prodotto dalla Buena Onda di Riccardo Scamarcio, Valeria Golino e Viola Prestieri, verrà proiettato a fine aprile al Bari Film Festival e quindi distribuito in tutta Italia. E’ il mio primo lungometraggio e il titolo fa riferimento al dialogo tra il centauro e Giasone bambino nella Medea pasoliniana, ovvero all’idea di una natura pervasa dal sacro, di una divinità “espansa” che permea tutte le cose e che, al contempo, ama e odia gli uomini.
In questi giorni, nell’ambito di Arte Fiera Bologna, passando ad un altro media espressivo, sei stato protagonista anche della performance il Martirio di San Matteo, la cui traccia hai lasciato nella mostra Kahuna, dove è presente anche “Sacra Famiglia”…
La performance richiamava in modo mediato la decapitazione di San Mattia con una scultura, una colatura d’oro su un ceppo, ad evocare il sangue che diventa luce divinatoria legata al mistero. Un tentativo di legittimare in modo più laico una spiritualità insita da sempre nell’Uomo, l’esigenza di omaggiare il Mistero che non conosciamo ma spontaneamente cerchiamo e veneriamo. La religione cristiana ha poi adottato e mutuato questa esigenza nei propri riti, ma sono sentimenti arcaici, presenti da sempre e in tutte le culture.
Mi pare dei comprendere che il senso religioso che indaghi sia legato doppio filo al Sacro come espressione di uno Spirito Naturale, che come tale ha le sue regole, persino i suoi tempi nel corso dell’anno…
Sì, ad esempio il falò del 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate e benedizione degli animali, corrisponde all’esigenza, molto antecedente alla festa cristiana, di pulizia della terra alla fine dell’inverno…La tensione alla spiritualità è un bisogno che non appartiene ad una sola religione, ma all’Uomo e al suo vivere il Tempo, al di là dei testi sacri.
Come si inserisce in questo discorso il tema della ricerca de Sé, anch’esso al centro della tua ricerca?
Il Sé è una parola che indica un concetto molto importante e complesso che si ricollega a molte sfere di indagine sull’Uomo, alla filosofia, persino alla religione stessa intesa nella figura trinitaria che raggruppa anche l’Ego e Dio; il Sé ti mette in relazione con il Tutto naturale, dà coscienza della propria esistenza terrena che è funzionale, uno strumento per cogliere l’astrazione spirituale.
Questo concetto si legge molto bene nei tuoi lavori anche da un punto di vista espressivo, hai affermato che uno dei tuoi obbiettivi è che l’opera esista a prescindere dal mezzo con cui è stata realizzata: “Resto dell’idea che l’opera d’arte debba essere il meno mediata possibile. O per lo meno che a guardarla si abbia la sensazione che l’opera sia stata fatta senza nessun mezzo. In fondo penso sia questa la vera dimensione dell’opera, sfuggire dai mezzi con i quali è stata fatta, ma utili per farla esistere.”
Non bisogna utilizzare il mezzo come fine a se stesso: quando si legge un buon libro non esistono più le singole parole o la costruzione sintattica, esiste il movimento, “il luogo” immaginifico in cui riesce a portarti l’autore. Se non riesce a portarti in un quel luogo vedi la parola, riconosci l’errore, il dettaglio. La stessa cosa succede a teatro: se ti accorgi del proscenio, della quinta che si muove, della luce mal collocata vuol dire che l’autore non ha raggiunto il suo scopo e non è riuscito a far scomparire il mezzo. Quando l’opera funziona il mezzo sparisce. L’artista è un demiurgo che deve riuscire a comporre armonicamente tutto questo. Io cerco di inserire nell’opera un segno che lo spettatore possa riconoscere ma che sia solo una chiave di accesso, strumento per portarlo nel mio mondo.
Come è nata in te l’esigenza di “fare arte”?
Posso dire che è frutto di un’esigenza innata: da quando ero bambino, tra i miei primi ricordi, c’è un corso di disegno quando avevo solo cinque anni. Sentivo l’esigenza di fissare la Bellezza che incontravo con scritti e disegni. Gli anni di Bologna, in cui ho frequentato l’Accademia, hanno completato la mia formazione artistica, riuscivo anche a lavorare con l’arte. Una vocazione insita in me, una sopravvivenza, mi sentirei amputato senza la possibilità di esprimermi con l’arte.
Arriviamo all’opera Sacra Famiglia con cui hai vinto il premio Videoinsight®…
Nell’opera, una fotografia che non è più documento ma immagine iconica universale, è la corona l’elemento centrale che focalizza l’attenzione, che può far pensare immediatamente all’aureola del Redentore, del futuro Salvatore. In realtà siamo immersi in una dimensione più borghese (la famiglia è una famiglia dei nostri giorni, in posa davanti al fotografo); il bimbo è nudo, libero da vestiti e orpelli, anche del senso del pudore. Al centro della riflessione c’è l’Umanità, l’Uomo. Il Bambino per me è la speranza, il nuovo, il riscatto rispetto ad un passato non sempre positivo, censurabile nei suoi comportamenti, nelle responsabilità oggettive dei nostri antenati anche nel trattare la terra, sfruttandola e rovinandola. Sono felice che un tema così importante e complesso, incentrato sulla Famiglia, sull’Innocenza e sul Pudore abbia vinto il premio. Il putto nell’arte è sempre stato nudo, oggi la censura dovrebbe riguardare non la parvenza ma i comportamenti, non le immagini ma le azioni. L’uomo è davvero un animale sorprendente …
Come si pone la tua attività filmica nella tua ricerca artistica?
Il mio punto di vista creativo invade per sua natura molti linguaggi e include anche l’orizzonte cinematografico, un mondo certo più complesso da un punto di vista organizzativo e gestionale, in cui però è importante non si perda l’autenticità, il punto di vista poetico, il carattere dell’autore che deve dare un segno specifico, conferire un suo marchio, una sua personalità. È il pubblico, e il tempo, che deciderà se il film sarà anche un’opera d’arte.
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