Impresa non semplice ma indubbiamente di grande fascino quella di ricostruire la figura di Antoine del Lonhy, poliedrico artista attivo in Europa e nel Piemonte del Quattrocento, ancora poco conosciuto al grande pubblico.
Venuto a contatto con la cultura fiamminga, mediterranea e savoiarda, Antoine de Lonhy fu portatore di una concezione europea precorritrice del Rinascimento, caratterizzata dalla capacità di sintesi di diversi linguaggi figurativi. L’esposizione, articolata in due sedi, è curata da Simone Baiocco e Simonetta Castronovo, conservatori del Museo Civico di Arte Antica per la sezione di Torino (visitabile sino al 9 gennaio) e da Vittorio Natale per la sezione ospitata nelle sale del Museo diocesano di Susa (sino al 7 novembre). L’esito è una mostra che propone un racconto appassionante anche grazie a prestiti prestigiosi (il Codice miniato detto Le “Ore di Saluzzo” concesso dalla British Library di Londra è il primo prestito dalla Gran Bretagna dopo la Brexit) e un efficace allestimento, nell’intento di restituire la complessità di un grande maestro e illustrare le influenze della sua arte sulle generazioni successive in contesti geografici differenti.
Emerge un artista poliedrico – pittore, miniatore, maestro di vetrate, scultore e autore di disegni per ricami – che ebbe un impatto straordinariamente importante per il rinnovamento del panorama figurativo del territorio dell’attuale Piemonte nella seconda metà del Quattrocento e non solo, poiché altro elemento fondamentale del racconto è il carattere itinerante del maestro, operante in Piemonte ma attivo anche in Francia e in Spagna, e la mostra si propone di rileggere anche questi importanti momenti del suo percorso di uomo e artista.
Un artista europeo
Lonhy visse e lavorò in tre paesi diversi: originario di Autun, in Borgogna, si formò sui testi della pittura fiamminga, tra Jan van Eyck e Rogier van der Weyden. Prima del 1450 era già in contatto con uno dei più straordinari mecenati di ogni tempo, il cancelliere del duca di Borgogna Nicolas Rolin, per il quale eseguì delle vetrate istoriate, purtroppo perdute. Si conoscono tutte le tappe del suo percorso attraverso l’Europa: a Tolosa, in Francia meridionale, realizzò almeno un ciclo di affreschi e decorò diversi codici liturgici e statuti cittadini. A Barcellona, in Catalogna è possibile ammirare ancora oggi uno dei suoi capolavori: la grande vetrata per la chiesa di Santa Maria del Mar. infine nel ducato di Savoia, dove lavorò per la corte e per numerose chiese e monasteri del territorio e dove si spense, probabilmente, prima della fine del secolo. Il trasferimento di Lonhy dalla Spagna ad Avigliana – dove è documentato dal 1462 – si deve a diversi fattori, come la presenza in questo centro di un castello dei duchi di Savoia e la vicinanza con le prestigiose abbazie di Novalesa e Ranverso, poste sulla Via Francigena, una delle principali arterie di comunicazione già dal Medioevo, da cui passavano cavalieri, ecclesiastici e mercanti di mezza Europa, e quindi un luogo promettente per un artista alla ricerca di nuovi incarichi.
Il percorso espositivo
L’esposizione torinese inizia raccontando la “scoperta” di Antoine de Lonhy: come spesso avviene nel campo della storia dell’arte, alla conoscenza di questo artista del Quattrocento si è arrivati per gradi. Per lungo tempo gli studiosi avevano raccolto alcuni dipinti sotto il nome convenzionale di “Maestro della Trinità di Torino”, prendendo spunto proprio da uno dei suoi massimi capolavori, che è nelle collezioni civiche torinesi. D’altro canto, nell’ambito dello studio dei codici miniati, si era identificato, invece, un “Maestro delle Ore di Saluzzo”, a partire dal meraviglioso manoscritto, che è uno dei prestiti più importanti concessi per la mostra dalla British Library di Londra. In seguito si è poi compreso che dietro questi nomi convenzionali si celava un’unica personalità, il cui vero nome è stato svelato grazie allo studio dei documenti. Il codice, con ventiquattro grandi miniature, venne commissionato in un primo tempo a Péronet Lamy e al cosiddetto Primo Maestro delle Ore di Ludovico di Savoia (1445-1450), da un personaggio della corte sabauda ancora da identificare.
A questa prima campagna decorativa ne seguì una seconda, un decennio più tardi, voluta da Iolanda di Francia, duchessa di Savoia (e reggente del principato dal 1467), affidata ad Antoine de Lonhy, che sarebbe intervenuto anche a ritoccare le miniature più antiche. La committente va probabilmente identificata con la figura femminile inginocchiata dinnanzi alla Vergine al fol. 19 e presentata dai santi Bernardino e Antonio da Padova. Con questo lussuoso manoscritto fa il suo ingresso nella biblioteca ducale l’ars nova fiamminga: rimandano a questa tradizione pittorica gli ampi panneggi a pieghe spezzate, il gusto per le stoffe preziose e certe invenzioni iconografiche; mentre le architetture elaborate e la paletta romatica sono caratteristiche del linguaggio di Lonhy. Il codice ha avuto numerosi passaggi di mano: acquisito tra fine XV e XVI secolo dai marchesi di Saluzzo (che apposero il loro stemma, presente in molte delle dense bordure vegetali dell’opera), è poi documentato in diverse collezioni francesi, fino ad approdare nell’Ottocento nella raccolta Nicolas Yemeniz, produttore di sete a Lione, e da qui, dopo l’asta del 1867, alla British Library.
Proseguendo nel percorso di visita si descrive poi l’attività dell’artista nelle tappe del suo itinerario: un giovanile codice miniato di proprietà delle collezioni torinesi dà un esempio per la produzione nel ducato di Borgogna, mentre per Tolosa l’elemento di maggiore curiosità è legato ai frammenti di affresco provenienti dalla chiesa di Notre-Dame de la Dalbade, datati 1454. Altrettanto importante è il prestito del polittico destinato al monastero della Domus Dei di Miralles, vicino a Barcellona, esposto insieme ad altri due pannelli che in origine erano parte dello stesso complesso.
Di grande interesse anche la ricostruzione del grande rosone della Cattedrale di Santa Maria del Mar a Barcellona. Il rosone – con un diametro di 8,50 metri – è costituito da un oculo centrale di grandi dimensioni raffigurante la scena della Trinità che incorona la Vergine, circondato da ottanta pannelli di vetrata (lunghi ciascuno 85 cm) disposti a raggiera su tre file concentriche attorno al medaglione. L’originalità della composizione sta nella scelta di dedicare un pannello di vetrata per ogni personaggio: apostoli, santi e angeli occupano ciascuno un pannello, quasi sempre disposti in posture complesse e insolite. L’opera ha subito diversi interventi di rimaneggiamento – il primo nel 1516, l’ultimo nel 1935 – che hanno alterato in parte i fondi delle vetrate, in origine tutti di colore blu. Lonhy e il suo collaboratore hanno realizzato le figure a grisaille (in cui la tinta monocroma nera è ottenuta con sali di ferro), e con la raffinata tecnica del “giallo d’argento” (che prevedeva l’utilizzo della limatura d’argento, la quale dopo cottura assumeva un colore dorato), mentre per i panneggi hanno utilizzato vetri con campiture cromatiche unite, senza proporre i tessuti damascati cari al pittore, qui ritenuti di esecuzione troppo lunga.
Antoine in Piemonte
«Anthonius de Llonye, pictor, habitator in villa de Villana in Ducatu Savoye, diocesis de Taurinanxis, pro nunch vero degens Barchinone …» il documento del 4 maggio 1462 non potrebbe essere più chiaro: l’artista che fino all’ottobre 1461 risultava domiciliato a Tolosa, pochi mesi dopo si era trasferito in un’altra città, in un altro stato. Anche se in quel momento si trovava momentaneamente a Barcellona, la sua residenza è ormai ad Avigliana, importante centro commerciale all’imbocco della valle di Susa. Dopo aver realizzato il dipinto murale raffigurante la Pietà, a Saint-Jean-de-Maurienne, l’artista iniziava il suo percorso tra diverse città del ducato di Savoia, a contatto con vari importanti committenti tra i quali era stata la stessa duchessa Iolanda; egli si era bene ambientato in questo nuovo contesto probabilmente grazie al rapporto con un suo collega piemontese, Amedeo Albini, citato in un documento del 1463 come residente proprio ad Avigliana, ma in seguito abitante a Moncalieri e ben inserito anche a Chieri. Albini è un artista che conosciamo solo attraverso un buon numero di documenti scritti mentre non abbiamo la possibilità di identificare nessuna delle sue opere; era però certamente ben introdotto a corte e questo può aver favorito anche de Lonhy, che ha realizzato per la duchessa alcuni importanti manoscritti miniati.
La sezione più estesa prende in esame l’attività svolta dall’artista negli anni della sua permanenza nel Ducato di Savoia. Come si è detto, i documenti parlano di lui ad Avigliana e, tra le primissime opere, c’è una tavola frammentaria ritrovata proprio in una frazione di quella località: un San Francesco oggi alla Galleria Sabauda di Torino. Interessanti novità sono emerse nel corso delle ricerche effettuate per la mostra, che ci aiutano a leggere meglio l’impatto innovativo di Lonhy in rapporto alla corte ducale, ma anche rispetto al territorio: per esempio oggi sappiamo di una sua attività destinata a Chieri, al tempo città ancor più importante di Torino, le cui principali famiglie avevano svolto attività finanziarie in tutta Europa ed erano bene informate sulle migliori novità dell’Ars nova internazionale. La ricostruzione del catalogo “piemontese” di Lonhy, con tavole dipinte e codici miniati, è ora estremamente approfondita e la mostra – che si avvale di prestigiosi prestiti nazionali e internazionali, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private – è in grado di proporla integralmente, comprese alcune opere mai esposte al pubblico.
Un collezionismo appassionato
Il fascino dei dipinti raccolti in questa occasione aveva conquistato già in passato alcuni collezionisti privati, le cui storie sono sempre affascinanti, pur rimanendo nel “dietro le quinte” della ricerca. Emblematico il caso del senatore Leone Fontana, che nell’Ottocento aveva acquistato la già citata Trinità, inserendola nella sua ricchissima raccolta di opere piemontesi, donata in seguito al museo di Torino; oppure quello di Bob Jones Jr., che a metà del Novecento scelse la Presentazione di Gesù al Tempio per ampliare la pinacoteca dell’università privata fondata dal padre a Greenville (South Carolina). La mostra costituisce, inoltre, l’occasione per riunire gli elementi di un polittico venduto nel 1885, che aveva al centro la Adorazione del Bambino, appartenuta in seguito al collezionista olandese Fritz Mayer van den Bergh e oggi custodita nel museo che porta il suo nome ad Anversa. Si tratta di un progetto nato nell’ambito del Réseau européen des musées d’art médiéval, una rete di musei europei fondata nel 2011 da Élisabeth Taburet-Delahaye, già direttrice del Musée de Cluny – musée national du Moyen Âge di Parigi, per promuovere iniziative espositive comuni, ricerche condivise, convegni e conferenze sul proprio patrimonio artistico.
Il catalogo, a cura di Simone Baiocco e Vittorio Natale, è edito da Sagep Editori. La pubblicazione è sostenuta da Associazione Amici Fondazione Torino Musei, in memoria del professor Giovanni Romano, che ha dedicato molti dei suoi studi alla figura di Antoine.
Per info
Il Rinascimento Europeo di Antoine de Lonhy
Palazzo Madama – Sala Senato
Piazza Castello_Torino