Inaugurata l’8 dicembre presso la Sala Pacem in Terris del Museo Diocesano di Pinerolo, “Pensare l’Emozione” di Adriano “Tito” Paltrinieri continua per tutte le domeniche di dicembre grazie al contributo organizzativo di Patrizio Righero e della redazione di Vita Diocesana Pinerolese. In esposizione, oltre a scatti di Adriano “Tito” Paltrinieri dai viaggi in Oman, Yemen, Pakistan, Libia, Ethiopia, India, Nepal e Iraq, alcuni omaggi artistici di Riccardo Cecchetti e Jean-Paul Charles. Proponiamo qui una lettura critica delle fotografie in mostra
Come si può raccontare un’esperienza? Che cosa se ne può dire? Se si insiste sugli spigoli delle parole, senza divieti, si diventa prolissi, ma, pur ospitando i punti di vista, si consumano gli angoli. Meglio ancora, invece, essere lievi e trattare la maglia come una superficie, sulla quale passare affettuosamente la mano: allora, si è allegri, con tutta la tristezza rimasta nel ricordo di tanti anni fa.
Così funzionano anche le immagini. Quando cogliamo energie, simmetrie, coincidenze, possiamo scegliere di lavorare istintivamente ed espressivamente sulle nostre emozioni, cercando di condividerle e di renderle universali, oppure di operare come un specchio, certi di catturare in noi la scintilla che vibrerà anche nell’altro. Il risultato può essere, in entrambi i casi, efficace e, allo stesso tempo, affascinante. La modalità privilegiata, tuttavia, informerà la nostra creazione: nel primo caso, lo spessore della nostra sensibilità emergerà come un colore, riconoscibile sostanza. Altrimenti, la leggerezza, per cui avremo optato, genererà una sorta di narrazione, indirizzando l’occhio dello spettatore verso l’identificazione, prima stupita e poi sapiente, delle strutture.
Adriano “Tito” Paltrinieri ha scelto la seconda strada: il suo “obiettivo “ ha prodotto, spontaneamente appassionatamente liberamente, proprio in quanto “macchina” fotografica. Il racconto è, invece, dato in dono all’osservatore, che, oltre a recuperare una testimonianza, si trova immerso nel flusso di un viaggio, obbligato a partire con tutto il fardello di esperienza personale. La produzione di immaginario è caricata dalle potenze di due forze vettoriali: la costruzione dell’autore, che gioca sulle linee del paesaggio, su situazioni singolari, su figure e volti caratteristici, e l’intervento del fruitore, che inevitabilmente compone un percorso interiore.
Adriano “Tito” Paltrinieri si è imbattuto in un banco di cernie, pescando nei fondali tra le barriere coralline del Mar Rosso: gli occhi di quei grandi pesci luccicavano in modo perturbante, quasi irreale. Un mattino, incamminandosi dopo una notte passata a dormire sulla sommità di un vulcano, si è immobilizzato in piedi, senza fiatare, al passaggio di un leone al suo fianco. Una notte dell’estate del 1953, nello Yemen, ha scalato la Montagna Verde, che era molto più alta e impervia di quanto sembrasse dalla vallata sottostante. Questi aneddoti sono soltanto una piccola parte di tutte le avventure che Adriano non ha immortalato, ma covano sotto alle luci e alle ombre dei suoi scatti, così come in noi, curiosi lettori di immagini esotiche, sognano tutte le possibili storie e le più impensabili trame.