Ha inaugurato lo scorso 22 aprile a Palermo a Palazzo Reale la mostra .ЯƎ, ideata dalla Fondazione Federico II e visibile sino al 31 ottobre 2022.
A partire dall’insolita e “parlante” grafia del titolo, la mostra, ospitata nella Sala Duca di Montalto, invita a ri-pensare la realtà “reale”, in un mondo dove immagini reali e virtuali giungono senza filtro e distinzione, per proporre una rinascita collettiva attraverso l’Arte. A tal fine la Fondazione Federico II ha individuato sedici artisti, sedici personalità note della scena dell’arte contemporanea internazionale, già interpreti sensibili delle contraddizioni della nostra epoca: Alberto Burri, Saint Clair Cemin, Tony Cragg, Zhang Hong Mei, Anselm Kiefer, Jeff Koons, Sol LeWitt, Emil Lukas, Mimmo Paladino, Claudio Parmiggiani, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Tania Pistone, Andres Serrano, Ai Wewei e Gilberto Zorio.
Ventotto le opere in mostra, opere che abbracciano l’idea di un Nuovo Umanesimo, rivalutando la centralità della materia e del “fare” come esigenza vitale per rielaborare e riorganizzare le proprie azioni, soprattutto dopo eventi stravolgenti e annichilenti che hanno stravolto le nostre vite, come la pandemia, la regressione democratica e la guerra.
“Misurarsi con uno squilibrio improvviso generato da una crisi pandemica e dalle guerre – dice Patrizia Monterosso, Direttore Generale della Fondazione Federico II – ha risvegliato coscienze, come sottolineato da sociologi e analisti, e ha rivelato le profonde carenze della nostra maniera di pensare e di concepire noi stessi nel mondo, nel rapporto con gli altri, con la natura. In arte ciò si è tradotto nella capacità di ritrattare i temi della spiritualità, della socialità, dei diritti umani, della democrazia, della natura contro le vecchie e nuove barbarie semplificatrici. Espressioni e linguaggi dell’arte contemporanea che hanno saputo opporre resistenza all’approccio dei fondamentalismi evitando le scorciatoie che non consentono la lettura dei cambiamenti, della ricchezza delle differenze – contro una lettura monotono che ammette un singolo linguaggio, una singola voce, una singola storia”.
Nell’intento della Fondazione, […].ЯƎ esprime l’urgenza di uscire dalla coazione a ripetere per riaccendere la comprensione e la riscrittura della realtà, che non può prescindere dalla necessità di “rinascita” (REbirth), “ricostruzione” (REconstruction), “riavviamento” (REboot), come recupero di un’esistenza non omologata; […] l’overdose di immagini del mondo contemporaneo e del mondo virtuale fa sì che il vero assente sia il reale corpo del mondo, che la nostra coscienza (per semplificare) opacizza fino a renderlo assente. Il rischio contro cui opporre RƎSISTENZA, è una civiltà della semplificazione in cui l’arte finisce per essere concepita come rappresentazione effimera della realtà.
“La domanda che la Fondazione si è posta nel periodo acuto della pandemia di chiusure e di riaperture singhiozzanti, – sottolinea Gianfranco Miccichè, Presidente della Fondazione Federico II – è come ripensare al nostro progetto di mostra. Un evento culturale-allestitivo che ponesse il dito sulla piaga di una grande domanda cosa resterà della storia recente? Ci troviamo davanti ad un bivio: procedere come se nulla fosse accaduto o, scelta che abbiamo preso, provare ad impegnarci per una proposta culturale con l’obiettivo di una Umanità rigenerata”.
Le scelte operate sono fortemente simboliche: le opere Hortus conclusus e Testimone di Mimmo Paladino evocano miti e rappresentazioni simboliche ancora saldamente alla base della nostra cultura umanista: come si legge in catalogo “[…] la figura del Testimone è presente nella poetica di Paladino già dalla metà degli anni Ottanta, quando viene indagata secondo numerose varianti e materiali diversi, dalla pietra di Vicenza al bronzo e al tufo, ed esposta in più occasioni, come la Biennale di Venezia del 1988. Questo kouros d’epoca contemporanea, in cui trova accoglienza anche la lezione di Arturo Martini, è un’opera sincronica e dai riferimenti molteplici, che vanno dal genius loci alla sfera onirica e, dunque, incarna con coerenza la prassi del nomadismo e dell’attraversamento.
L’Arte come ponte tra Uomo e Natura per una nuova armonia è alla base della ricerca di Giuseppe Penone, ben esplicata nella sua Trentatrè Erbe.
Anche le grandi tematiche del sentimento religioso sono motivo di riflessione con l’opera The Black Supper di Andres Serrano: una serie di cinque scatti fotografici di un modellino in gesso dipinto di nero e immerso dentro l’acqua, ad evocare il Cenacolo di Leonardo Da Vinci. I personaggi divengono parte di un polittico di gas e bolle, dove spicca la figura di Cristo al centro. Serrano si occupa di una tra le scene più famose della cristianità, trasformandola, con canoni personali e unici, in un complesso racconto che sovverte realtà consolidate e che riconduce a un messaggio particolarmente intenso e introspettivo, un modo per ricordare al mondo gli orrori che Cristo ha attraversato, svincolando la sua immagine da quella notoriamente stereotipata.
I lavori di Michelangelo Pistoletto selezionati per la mostra, come si legge nella scheda in catalogo, creano una triangolazione di opere rappresentative dell’intero percorso di questo autore poliedrico ma sempre coerente che ha attraversato oltre cinquant’anni di storia dell’arte internazionale […]: Venere degli stracci (1968), Sfera di giornali (1966-2022) e Autoritratto con quaderno Terzo Paradiso (2017) sono opere differenti ma intimamente connesse tra loro poiché sono accomunate dal medesimo sguardo sulla dialettica tra ciò che è statico e ciò che invece è dinamico. Sfera di giornali è un work in progress che pone in continuità le sperimentazioni degli anni Sessanta con quelle d’oggi attraverso una forma elementare dinamica, composta da fogli di giornali e arricchita in questa occasione dalla presenza di un QR code che svela la complessità e la profondità della storia di quest’opera/azione. Si tratta infatti di un’opera in divenire memore di un’utopia volta a fondere arti visive, happening e spazio urbano, e in cui convergono con efficacia le riflessioni di Pistoletto sulla relazionalità tra l’artista e il fruitore.
Se Sfera di giornali, ancor più nella sua veste inedita per la mostra palermitana, abbatte i confini tra azione e contemplazione, Venere degli stracci mette in crisi l’aura sacrale dell’arte rileggendo il classico attraverso il quotidiano. Icona dell’Arte Povera e non solo, Venere degli stracci accoglie i materiali innovativi, la radice laboratoriale e le logiche di gruppo che caratterizzano il movimento catalizzatosi intorno a Germano Celant e si fa interprete della critica al sistema consumistico di mercificazione dell’opera d’arte. […]. Autoritratto con quaderno Terzo Paradiso (2017) si inserisce in un filone di ricerca particolarmente felice Pistoletto in quanto accoglie la sperimentazione concettuale condotta intorno ai Quadri specchianti, opere che si sviluppano a partire dalla presenza di specchi grazie ai quali l’artista rende possibile l’interazione opera/fruitore.
L’opera Rongorongo di Tania Pistone, catanese di nascita ma da anni cittadina del mondo, dichiara uno spiccato interesse per la materia, resa protagonista in sottolineate stratificazioni ed elaborazioni formali come la pittura e lo smalto su fondo oro, e parallelamente quello per la scrittura, che nella ripetizione del segno passa da significato a significante, sino ad assumere l’aspetto di un grafismo, quasi un pittogramma, dalla valenza estetica e simbolica. Nei lavori di Tania la scrittura è elemento nodale della composizione: frasi scelte da fonti letterarie e filosofiche care all’artista sono presentate in modo tale da diventare, pur nell’equilibrio e dell’armonia del segno, progressivamente illeggibili, sino a scomporsi e ricomporsi nell’Idea stessa della scrittura, nella sua componente più strutturale: un “alfabeto possibile” dalle potenziali, infinite combinazioni, meta-scrittura che acquista valore estetico grazie ai codici dell’arte. La pittura, espressa in un lavoro minuzioso e paziente, restituisce l’immagine di una “fatica del fare” che richiede concentrazione e tecnica; non ultima, l’ossessiva ripetizione si fa qui metodo esecutivo e coinvolgimento emotivo nella riscoperta del sé più profondo.
In questa rassegna dedicata ai pionieri di linguaggi sperimentali in epoca contemporanea e alla lettura della loro estetica in chiave di rinascita merita un posto speciale Grande Bianco Cretto di Alberto Burri, opera del 1974 ricca di rimandi trasversali. […] L’equilibrio tra la forma e la spazialità che caratterizza Grande Bianco Cretto è frutto della capacità dell’artista di orientare in modo preciso l’imprevedibilità dei processi materici verso la creazione di un campo di forze in cui caos e cosmo, artificio e natura, dialogano. Nell’ambito di un più ampio studio sulla ricerca di Burri e l’arte del Rinascimento, condotto in occasione della mostra Rivisitazione, Burri incontra Pietro della Francesca tenutasi tra il 2014 e il 2015 a Sansepolcro, inoltre, la struttura armoniosa del Grande Bianco Cretto e, in particolare, la sua morfologia specifica, data dalla scelta della forma semicircolare, hanno indotto la critica a scorgere delle importanti affinità con il Polittico della Misericordia di Piero della Francesca (1446-1462). I Cretti, dunque, per le loro simbologie in chiave ecologica legate alla vitalità della natura ma anche alle crepe e alle fratture della terra, dovute alla siccità o a eventi catastrofici come il sisma, e in virtù della loro implicita riflessione sul degrado della materia, costituiscono un segmento particolarmente importante nell’immaginario poetico di Burri, che sempre oscilla tra distruzione e creazione.
La mostra è ideata e organizzata da Fondazione Federico II e Ars, in collaborazione con la Fondazione Burri, la Collection Lambert en Avignon, Galleria Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, la Fondazione Pistoletto e collezioni private.
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