Un viaggio virtuale della mostra
A flight in reverse mirrors
(The Discovery of Others)
Biennale ARTE di Venezia 2024
Il Padiglione Nazionale della Repubblica Unita della Tanzania è approdato per la prima volta alla Biennale di Venezia con la mostra dal titolo: “A Flight in Reverse Mirrors. (The Discovery of Others)”, che chiude con due mesi di anticipo rispetto alla sessantesima Esposizione Internazionale d’Arte di Adriano Pedrosa. Questo breve viaggio virtuale della mostra vuole dare un’occasione in più di visibilità a questi artisti e di scoperta al pubblico che non ha potuto visitare il Padiglione.
Curata da Enrico Bittoto, esperto di arte moderna, avanguardie storiche e sociologo, la mostra ha offerto ad uno sguardo internazionale le opere di 3 artisti africani. Haji Chilonga, talento precoce alimentato da una tradizione famigliare nelle arti della ceramica e dei metalli, per la Biennale ha utilizzato la tradizionale tecnica ad olio per affrontare tematiche sociali e politiche. Lutengano Mwakisopile, artista autodidatta e affermato a livello locale ed internazionale, con i materiali più diversi rappresenta i suoi pensieri, i ricordi, le esperienze, le speranze e le aspirazioni. A Venezia, invece, si è affidato alla tecnica della xilografia per raccontare gli eroi del suo popolo. Happy Robert, pittrice di donne africane e animali allo stato brado, ci ha restituito qui delle “polaroid” su tela dell’emancipazione sociale e culturale in Tanzania.
“La mostra ha permesso di conoscere la “vera” arte africana autentica, non mediata dagli stereotipi occidentali, libera da logiche di mercato. Artisti genuini, sono gli emarginati dell’arte, gli stranieri, i poveri, i diversi. Incarnano, con un’aderenza totale e voluta, il tema della Biennale Arte 2024 di Adriano Pedrosa, che si rispecchia anche nel messaggio che la mostra ha voluto trasmettere: la scoperta dell’altro.
Il mio progetto per il Padiglione si è posto l’obiettivo di esplorare la complessa interazione tra l’uomo e la natura, focalizzandosi sull’evoluzione del concetto di “Altro” incarnato nell’archetipo del trickster, una figura mitologica che agisce come mediatore tra il divino e l’umano. Nel corso della storia, la percezione degli “altri” ha spesso generato pregiudizi e diffidenza, alimentati dall’ignoranza. Il progetto espositivo ha voluto evidenziare l’importanza di superare tali preconcetti per facilitare un dialogo costruttivo.” Enrico Bittoto, curatore della mostra.
I tre artisti contemporanei della Tanzania hanno dialogato con l’italiana Naby. La prospettiva si capovolge e, nello spazio del padiglione che per sei mesi ha rappresentato il territorio africano, è lei la vera straniera, l’altro diverso e sconosciuto.
La musica che ha fatto vibrare l’atmosfera del Padiglione è interpretata dal duo di artiste The Zawose Queens e rielaborata da Peter Gabriel con il contributo di Katie May, Oli Barton-Wood e Tom Excell. “Kuseka Full Stretch” è il titolo di questa colonna sonora originale che combina suoni tradizionali africani ed europei. Ha un andamento circolare che si ripete all’infinito e accompagna il viaggio dei visitatori nelle stanze della mostra per conoscere la cultura e l’arte della Tanzania, la ciclicità della vita, il complesso rapporto tra uomo e natura, ma soprattutto il concetto di “altro”.
La sede che ha ospitato la mostra è La fabbrica del vedere a Cannaregio sestiere di Venezia. Lontana dalle sedi ufficiali e dall’immaginario collettivo degli storici palazzi veneziani delle grandi mostre, la sede, come gli artisti che ha ospitato, rappresenta perfettamente il tema della Biennale ARTE 2024.
IL PADIGLIONE DELLA REPUBBLICA UNITA DELLA TANZANIA E I SUOI ARTISTI
Lo spazio era piccolissimo, eppure, in esso si è dipanata una narrazione infinita. Passato, presente e futuro della Tanzania sono stati raccontati nelle quattro stanze immaginarie in cui la mostra è stata concepita. La storia narrata parte dalla fine dell’800 per arrivare al primo ventennio del XXI° secolo e proiettarsi, poi, in un ipotetico futuro decontestualizzato. Cambiamenti culturali, credenze religiose, esperienze personali e avvenimenti collettivi si incrociano con il vissuto del visitatore, che è contemporaneamente spettatore e protagonista del viaggio. Pitture, xilografie ed installazioni site-specific affrontano i temi del viaggio, della migrazione in sensi opposti (colonizzazione Vs emigrazione economica), del nomadismo umano ed animale guidato dai sentimenti o dai bisogni, delle trasformazioni che i cambiamenti ambientali impongono all’individuo, e ancora dell’incontro, della ri-definizione del Sé, della mediazione-comprensiva.
LA PRIMA SALA
Entrando nella prima sala si è subito attratti dai pezzi originali di arredamento coloniale e dalle figure autoritarie e composte delle xilografie di Lutengano Mwakisopile (Lute).
“Riportare la xilografia alla Biennale, nonostante sia una forma d’arte molto antica, può essere una grande innovazione.” Enrico Bittoto, curatore della mostra.
Siamo nel periodo del colonialismo, le battaglie che si combattono sono territoriali tra tribù locali o di liberazione dallo straniero occidentale e ricco che sfrutta le risorse africane.
I personaggi ritratti sono i capi e gli eroi delle popolazioni del Tanganica prima che, insieme all’arcipelago di Zanzibar, si costituisse come stato della Tanzania. Tutti combatterono contro il dominio coloniale tedesco: Mkwawa era il capo tribù del popolo Hehe (morto nel 1898); Bokero, medium spirituale tanzaniano (morto nel 1905), fu leader della ribellione Maji Maji 1905-1907; Meli (morto nel 1900) fu re del Changa in Moshi; Abushiri fu a capo delle popolazioni costiere del Tanganica. Una di queste battaglie è rappresentata nella xilografia che chiude la serie.
“Bokero è il personaggio che mi ha guidato nella seconda parte del Padiglione, perché ha una storia particolare. Scomparso dal suo villaggio per dieci giorni, torna dopo aver incontrato uno spirito, Ongo, che si è presentato a lui sotto forma di serpente dorato e gli ha detto di combattere contro gli usurpatori in nome degli antenati. Facendo delle ricerche è risultato che Ongo è un nome tipico giapponese e vuol dire anche antenato. Ongo era emissario di una dea androgina Mavu , metà uomo e metà donna, ovvero colei che presiedeva alla giustizia all’interno di quella società. Consigliò al capo della tribù di cospargersi di acqua santa, anche se parliamo di una religione animista, perché questo li avrebbe protetti dal piombo dei tedeschi. Di fatto, morirono 7000 uomini contro 3 perdite dei tedeschi, i quali decapitarono tutti i capi di queste tribù. I crani furono spediti in Europa per motivi di studio, soprattutto al museo di Berlino, e sono stati resi alla Tanzania da pochi anni.
Uno dei filmati in mostra riguarda le scuse del Presidente della Germania per gli abusi compiuti in epoca coloniale e, in una scena, lui rende ai rappresentanti della Tanzania i manufatti trafugati e i teschi portati via.” Enrico Bittoto, curatore della mostra.
Tutt’altra atmosfera, più familiare e intima, è quella delle opere di Happy Robert sulla parete di fronte, la seconda stanza virtuale della prima sala. Qui è rappresentata la vita delle persone comuni, le tradizioni che la modernità spazza via come il nonno che racconta storie ai bambini o la madre che allatta il bambino all’interno del villaggio. Il titolo dato a questa serie di lavori dice molto “Stories about past life”, ma non tutto. Ci sono anche gli africani che iniziano a studiare, che vogliono raggiungere l’occidente ricco nella speranza di trovare una qualità di vita migliore o che restano in Africa, ma iniziano a vestire all’occidentale, cercando anche di imitarne lo stile di vita.
Chiude la sala un video trasmesso da un televisore d’epoca che racconta la storia del Paese dal Tanganica degli anni ’20 alla Tanzania dei giorni nostri con il giuramento di Mamasamia, attuale presidente della Tanzania e prima donna con un ruolo così importante in uno stato africano. (chiedere link video)
LUTENGANO MWAKISOPILE (LUTE)
“Sono un autodidatta e sono cresciuto in una famiglia di artisti. Nel mio percorso, oltre alla partecipazione a residenze artistiche in Africa e all’estero, ho ricevuto dei riconoscimenti, ad esempio, agli Oscars of African Creativity 2019 e alla manifestazione painting in Africa organizzata dal Ministero della cultura e dello sport del Cairo, in Egitto. In questo momento lavoro su commissione ma, soprattutto, mi sto impegnano per realizzare il mio progetto di aprire uno studio d’Arte e una galleria, anche piccola, e per prepararmi alla prossima edizione della Biennale Arte 2026 sperando di essere selezionato.” Lutengano Mwakisopile (LUTE)
L’artista esprime le sue idee con ogni materiale (oggetti riciclati, matite, carboncino, colori e pennelli) e supporto (tela, carta, legno) a sua disposizione. La sua creatività nasce da pensieri, ricordi, esperienze, speranze e aspirazioni attraverso il colore, la forma e gli oggetti. Crea un dialogo tra la sua arte ed il pubblico attraverso opere figurative, in cui crea caricature della società o comunica il suo pensiero politico, traendo ispirazione dalla vita quotidiana e dagli eventi.
Lutengano Mwakisopile è nato nel 1976 a Dar es Salaam, in Tanzania, dove oggi ha sede il suo studio. Ha esposto a livello locale e internazionale, ricevuto diversi riconoscimenti, ma soprattutto, per la sua esperienza, ha ricoperto importanti ruoli in istituzioni artistiche come il Nyumbaya Sanaa Arts & Crafts Centre, il Nafasi Art Space for Contemporary Art di Dar es Salaam, la Fine Artist Association of Tanzania e 14+ Artist.
HAPPY ROBERT
“La partecipazione alla Biennale Arte di Venezia è stata per me una grande opportunità. Mi ha aiutata a crescere come artista, a farmi conoscere e a trovare nuovi mercanti d’arte. Ho ricevuto, infatti, diversi inviti per esporre sia nel mio paese che all’estero.
Devo ringraziare mio nonno che mi ha spinto a sviluppare questo talento, ho passato molto tempo a dipingere con lui. Non ho frequentato un’accademia, infatti, ma ho avuto la fortuna di imparare da grandi artisti.” Happy Robert
La maggior parte delle sue opere d’arte sono dipinti a colori acrilici su tela semi-astratti, che si concentrano sulla rappresentazione delle donne africane e dei loro sentimenti, emozioni, bellezza, nonché dipinti di animali allo stato brado.
Happy Robert, classe 1989, è un’artista nata nella parte meridionale della Tanzania. Attualmente vive e lavora a Dar es Salaam, in Tanzania. Inizia la sua carriera artistica nel 2014. Le sue opere sono state esposte a Dar es Salaam, Zanzibar, Arusha, Nairobi, Europa, America, Uganda, Ruanda e in mostre collettive e personali.
LA SECONDA SALA
Nella seconda sala un totem posto a protezione del Padiglione accoglieva il visitatore. Rappresentava Kigango una figura umana stilizzata, intagliata nel legno a grandezza naturale, considerata sacra e simbolo di protezione della famiglia o del villaggio, attraverso lo spirito degli anziani defunti.
Breve è il passo, ma grande il salto temporale che è stato fatto. Siamo arrivati alla Tanzania contemporanea di Haji Chilonga. La terza stanza virtuale era dedicata a questo artista maturo, che in patria è ritenuto un maestro e che sta già facendo scuola in Tanzania con artisti che si ispirano a lui, come la stessa Happy Robert.
Le figure di uomini e di donne rappresentate sono ancora alla ricerca di quella emancipazione sociale e culturale che era iniziata il secolo precedente.
L’opera “From the dark to the light” vuole rappresentare le battaglie che l’uomo è costretto a combattere tra luce e ombre, successi e insuccessi, della vita per tendere ad un futuro migliore. In “Unite” le persone, immaginate come steli che si ergono sopra “il mare della vita” (qui l’artista non allude necessariamente ai viaggi della speranza che conosciamo noi europei), affrontano insieme qulle difficoltà che sembrano insormontabili, perché da soli sarebbe stato impossibile. I “Refugees” che trascinano le valige sono gli abitanti dei paesi confinanti con la Tanzania, che arrivano alla ricerca di una vita migliore. Il lavoro manuale dove prevale la fatica , rappresentato qui dal mercato del pesce, è ancora la principale forma di sussistenza per queste popolazioni.
Lo straniero in mezzo agli stranieri è l’artista italiana Naby e ha il compito, affidatole dal curatore, di creare quella creatura che dà un senso a tutto il percorso del Padiglione e a cui è legato il titolo “A flight in reverse mirrors (The Discovery of Others)”.
L’uomo contemporaneo, il visitatore, tende al proprio futuro, ma si ritrova a girare in tondo in un loop che lo riporta sempre al presente; è la *“gabbia che condiziona la società contemporanea” in cui le aspettative sono sempre frustrate. La visione dell’artista italiana si trasfigura, attraverso i suoi collage, in un essere ibrido. Una falena antropomorfa si alza in volo per andare a visitare i lavori dei tre artisti africani e le tre epoche che rappresentano. Le case sono delle stazioni di posta, a simboleggiare le tappe della nostra vita. Sono però senza porte né finestre. Non consentono riposo, quindi, perché non ci si può mai fermare. La vita continua e così il volo simbolico di questa figura, che si trasforma lungo il percorso prima in un aereo (non uno qualunque, è uno stealth americano, invisibile ai radar) e poi in una maschera. Mutazioni che richiamano entrambe il desiderio dell’artista stessa di non essere riconoscibile, presente anche in altre opere fuori dalla Biennale. Nella teca vicino all’uscita del Padiglione si arriva alla metamorfosi finale, alla morte e alla rinascita nella forma originaria, che la riporterà all’inizio del suo percorso in un ciclo senza fine.
L’essere ibrido creato da Naby richiama la figura archetipica del trickster, un essere mitologico che agisce come mediatore tra il divino e l’umano. Così ce lo spiega il curatore *Enrico Bittoto nel catalogo della mostra, facendo riferimento a Lewis Hyde (Trickster Makes This World: Mischief, Myth and Art, Farrar, Straus & Giroux Inc, 1997):
“[…] nata per spiegare i fenomeni naturali, […] assume nei vari periodi storici dapprima toni sovrannaturali per poi incarnarsi in esseri “di mezzo” ibridi tra uomo e Dio sino ad umanizzarsi completamente andando a costituire le “caste” sacerdotali[…]
Oggi, il compito di spiegare la realtà e di farsi mediatore tra istanze “cangianti” (comunitarie, di genere, culturali, etc.) può tornare agli Artisti, ai primigeni Creativi, coloro i quali, attraverso la realizzazione di opere, le più comprensibili e genuine, debbono nuovamente avere la responsabilità di spiegare all’altro il proprio passato, di condividerne il presente e, perché no, di predire un comune futuro, […]”
E ancora, parlando della figura del trickster, in occasione della visita fatta insieme al Padiglione, ha aggiunto “In Tanzania lo ritroviamo nelle figure della religione animista Deamabo e Ongo. É una sorta di deus ex machina che non sempre ha dei fini riconoscibili. Da questa figura nasce il senso profondo del padiglione che si allaccia al tema di Pedrosa: lo straniero. ̔Straniero è colui in cui non ci riconosciamo e ciò che non riusciamo a gestire come la natura o il divino, di conseguenza l’uomo ha creato delle figure di mediazione che sono appunto i trickster̕.”
HAJI CHILONGA
“Faccio arte ormai da più di trent’anni e in buona parte mi sono formato all’estero sia partecipando a residenze artistiche che frequentando l’Accademia internazionale di Belle Arti di Salisburgo. Ora sto lavorando nel mio paese e sono stato invitato a partecipare ad una residenza artistica presso il Ngorongoro Safari Lodge della Gibb’s farm di Karatu in Tanzania.”
Haji Chilonga è nato nel 1969 a Masasi nel sud-est della Tanzania. Discende da una famiglia di fabbri da parte paterna e di vasai da parte materna. Il suo percorso artistico inizia quando ancora frequentava le scuole primarie. I suoi primi soggetti sono nature morte e opere astratte su tela.
Ha esposto nel suo Paese e in Tanzania, Kenya, Uganda, Ruanda, Sudafrica, Zambia, Svizzera, Germania, Svezia, Regno Unito, Austria, Stati Uniti e Canada.
NABY
L’incontro tra popoli e culture, l’integrazione, le dinamiche tra gli esseri umani e tra uomo e natura in generale, ispirano il suo lavoro. Si serve di diversi media (carta, pittura e vari materiali compositivi) spaziando dalla grande installazione ad opere più intime e performance, attratta dall’arte del camuffamento e dalla maschera pirandelliana. L’artista è sempre in cerca di una forma di espressione, che le consenta di raggiungere il pubblico nel modo più immediato possibile. In questo momento è la storia d’amore tra Modigliani e la poetessa russa Anna Achmatova ad alimentare la sua ispirazione, a cosa porterà?
L’artista bolognese Naby (1968) ha esposto a Lucca, Pisa, Venezia, Rovigo, Bologna, Pistoia.
LA MUSICA
“Kuseka – Full Stretch” è il titolo del vibrante loop sonoro, che nasce da un’idea di Peter Gabriel per il Padiglione della Tanzania. Il musicista, compositore, produttore e interprete britannico ha deciso di reinterpretare la musica tradizionale africana delle The Zawose Queens, un duo musicale composto da Pendo e Leah Zawose, discendenti di un famoso polistrumentista degli anni ’80-’90 Hukwe Zawose, che già collaborava con Peter Gabriel e la Real World Records.
La traccia originale “Kuseka” su cui lavora Peter Gabriel è tratta dall’album “Maisha” (The Zawose Queens, Real World Records) uscito lo scorso Giugno.
“Fusione di armonie affini, tra Africa ed Europa, concepite come un’unica suite ambientale, la texture acustica creata da Peter Gabriel ha fatto da sfondo sonoro al volo a specchi invertiti descritto attraverso le opere dei quattro autori del Padiglione Nazionale della Repubblica Unita di Tanzania.
Le note si susseguono lentamente in un’unica lunghissima scala di toni. Variano da un inizio più basso, la titubanza del momento della nascita, della scoperta di una propria identità e le prime sfide della vita, per proseguire con un intermezzo quasi libero dal fruscio di fondo che pervade l’intero loop, presagendo l’ipotetica speranza di una “età di mezzo” che pensa con gioia al proprio futuro. I suoni sfociano poi in note più alte ad indicare lo stupore del volo e dell’osservazione delle vite degli uomini, dei loro incontri e quindi dei cambiamenti e delle risultanze a cui potenzialmente potrebbero portare. Mutano ancora sino ad arrivare all’ambìto ma deludente traguardo, al pensiero maturo, alla meta della conoscenza ed al limite ad essa intrinseco, il quale rivela null’altro che un nuovo inizio, dove il tono si fa quindi nuovamente più basso, il fruscio diviene improvvisamente più invadente: il volo sta cessando, il viaggio sta finendo, vi è l’atterraggio e dunque una nuova partenza, quasi senza tregua. Questa “risata allungata”, è la metafora di un immenso ed a volte amaro “sorriso alla vita”, dove l’esperienza e le sue conseguenze possono e devono venire affrontate con l’espressione swahili “hakuna matata” anche se il loro esito non è esattamente quello che ci si aspetta. “Kuseka – Full Stretch” diviene così la nemesi musicale del tema del Padiglione con il suo inizio, la sua tesi di fondo, ed una sintesi finale “aperta”. Un pellegrinaggio sonoro che accompagna il visitatore favorendo, tramite la sua atmosfera, una identificazione totale tra l’opera ed il suo osservatore che potrà sorriderne con gioia od amarezza a seconda della propria esperienza di vita rielaborata in questo intimo e suggestivo cammino.” Enrico Bittoto, curatore della mostra.
L’IMPEGNO SOCIALE
Il progetto del Padiglione della Repubblica Unita della Tanzania è stato realizzato grazie all’impegno dell’Ambasciata della Tanzania in Italia, in particolare dell’Ambasciatore Mahmoud T. Kombo, che ha accolto la proposta del Collettivo Italiano “Ultimi Futuristi” in collaborazione con CEFA Ets, ONG con base a Bologna che da 50 anni aiuta le comunità più povere del mondo a raggiungere l’autosufficienza alimentare e il rispetto dei diritti fondamentali. Grazie al supporto di aziende ed enti, parte del ricavato verrà destinato ad un progetto di cooperazione che CEFA promuove per migliorare il reddito e l’apporto nutritivo di oltre 22.000 piccoli coltivatori di tè nel sud della Tanzania.