One Torino, Shit and Die, a cura di Maurizio Cattelan, Myriam Ben Salah, Marta Papini
In Shit and Die, Torino è immortalata da Maurizio Cattelan in una sorta di decadenza morale e di traviamento socio-culturale e mette a nudo tutte le proprie stratificazioni, a partire dal contrasto pubblico-privato della vita del Conte di Cavour
Al di là dell’inevitabile clima di provocazione necessariamente originato dalla presenza-assenza del personaggio Maurizio Cattelan, la mostra Shit and Die offre certamente spunti significativi e propone opere di sicuro valore estetico e sociale.
L’intento curatoriale è destabilizzante e di stampo assolutamente artistico, più che critico o teorico. Si potrebbe parlare di un’azione installativa che mira a coinvolgere i cinque sensi dello spettatore in un’immersione totale. La materia organica in cui galleggiano opere di artisti passati e contemporanei giustifica ogni estraniante accostamento a pretestuali esposizioni di feticci, suppellettili e oggetti d’uso comune. La mostra si articola in sette sezioni, ognuna delle quali ha come punto di partenza un oggetto specifico, un luogo o un non luogo, una suggestione incontrata negli anfratti della città: gli oggetti che costellano le stanze di Palazzo Cavour sono presi in prestito da collezioni poco convenzionali ma anche dalle istituzioni affermate sul territorio. Per tenere insieme questo sguardo centralizzante è inevitabile il riferimento al tema centrale della mostra: la città di Torino. Immortalata – è proprio il caso di dirlo – in una sorta di decadenza morale e di traviamento socio-culturale, la città mette a nudo tutte le proprie stratificazioni, a partire dal contrasto pubblico-privato della vita del Conte Camillo Benso di Cavour e dell’affascinante ed enigmatica figura della Contessa di Castiglione. Le polaroid erotiche di Carlo Mollino, le opere di e su Carol Rama, i tappeti e i torroni di Aldo Mondino sono i residui del Novecento, che dialogano e si scontrano con più di altri cinquanta artisti. Da segnalare, le iconiche trasposizioni di Stelios Faitakis, i 39 metronomi di Martin Creed, l’installazione biologica e generatrice di Davide Balula, gli ambienti di Pascale Marthine Tayou.