Sarà possibile visitare sino al 4 agosto alla Fondazione Luigi Rovati Vulci. Produrre per gli uomini. Produrre per gli dèi; la mostra inaugura il ciclo che la Fondazione intende dedicare alle metropoli etrusche.
Le metropoli segnano il passaggio dalle tradizionali forme d’insediamento in piccoli villaggi allo sviluppo delle città, caratterizzate non solo da una forte concentrazione di abitanti, ma anche da una maggiore complessità economica e sociale.
Situata nel territorio delle attuali circoscrizioni amministrative di Montalto di Castro e Canino, in provincia di Viterbo, Vulci è una tra le più dinamiche città dell’Etruria, sede di importanti attività manifatturiere e snodo strategico nelle rotte commerciali che collegano il mondo tirrenico al Mediterraneo. La sua vicenda si sviluppa attraverso i secoli, dalla nascita dei primi sistemi insediativi di carattere protourbano sul finire del X secolo a.C., fino alla definitiva annessione a Roma nel 90 a.C., quando l’emanazione della Lex Iulia de Civitate estende la cittadinanza romana a diversi popoli della penisola italica.
Tra i reperti più spettacolari in mostra, la coppia di mani in lega d’argento, oro e rame, e il collarino in osso, appartenente a uno Sphyrelaton, o statua polimaterica, rinvenuto nel 2013 nella necropoli dell’Osteria; gli ossuari in terracotta inediti della collezione della Fondazione Rovati; per la prima volta esposti insieme un nucleo di ceramiche attribuite al Pittore delle Rondini; tra i bronzi inediti un candelabro e due colini della Fondazione Rovati, la spada con fodero e l’imponente urna biconica ed elmo-coperchio in bronzo proveniente dagli scavi Mengarelli della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale; la Maschera-visiera in bronzo, un unicum per l’Etruria, probabilmente di uso cerimoniale, proveniente dai Musei Vaticani; imponente l’inedito Pilastro figurato in nenfro della Collezione Castiglione Bocci di Ischia di Castro; parimenti straordinaria la ricostruzione dell’edicola di Ponte Rotto dedicata alla coppia Dionisio ed Arianna, dal 1889 parte delle raccolte del Museo Archeologico Nazionale di Firenze e mai più esposta in Italia dal 1966.
Due le opere di Giuseppe Penone della collezione della Fondazione Rovati e inedite per pubblico italiano: Cocci, del 1982 e Colonna di menti, del 1981.
Giovanna Forlanelli, Presidente della Fondazione Luigi Rovati: «Questa mostra è l’esito dell’attività di studio e ricerca, anche grazie alla collaborazione d’indirizzo del Comitato Scientifico, che la Fondazione ha condotto sin da prima dell’apertura del Museo d’arte sostenendo e finanziando Università e Centri di ricerca italiane e internazionali.»
Commenta Giuseppe Sassatelli, Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi ed Italici: «Vulci inaugura il ciclo di mostre Metropoli etrusche dedicato ad alcune delle principali città etrusche intese non solo come realtà urbanistiche, ma anche come luogo della complessità storica, secondo l’efficace definizione del greco Tucidide, per il quale “gli uomini sono la città, non le mura o le navi vuote di uomini”. Gli Etruschi sono il “popolo delle città”, quelli che le inventarono superando l’antico modo di abitare per villaggi tipico della preistoria e sono quelli che l’applicarono in tutte le loro terre, dal Po nella pianura padana, al Sele in Campania, passando ovviamente per l’Etruria Tirrenica di Tarquinia, Vulci e Chiusi. La mostra illustra temi particolarmente significativi della città come le produzioni artistiche e le relazioni commerciali, le manifestazioni religiose e il rituale funerario, specchio della società e delle sue trasformazioni storiche, anche alla luce di nuove e più recenti scoperte. Non trascurando nuove modalità di valorizzazione della città e dell’area archeologica in una preziosa collaborazione tra istituzioni pubbliche ed enti privati. La mostra è stata concepita e realizzata non solo per gli addetti ai lavori, ma anche e soprattutto per un pubblico colto e interessato, sia nella scelta dei temi da illustrare che nella comunicazione, ancora una volta in linea con i princìpi fondanti della Fondazione Luigi Rovati.»
Il dialogo con il contemporaneo: Giuseppe Penone
Nella continuità della visione della Fondazione che vede l’arte come continuum storico fra antico e contemporaneo, i preziosi reperti di Vulci sono posti a confronto con alcune sculture di Giuseppe Penone. Penone (Garessio, Cuneo 1947) è fra i protagonisti dell’Arte Povera, movimento di avanguardia così denominato dallo storico dell’arte Germano Celant alla fine degli anni sessanta. Nella sua poetica «qualsiasi gesto che muta fisicamente un contesto si può considerare scultura. Un respiro si può considerare scultura perché modifica l’aria che lo circonda». Per questo Penone esplora forme e materiali differenti e inusuali su cui rende visibile l’intervento naturale degli elementi – la respirazione, la crescita e l’invecchiamento – sperimentando con diversi medium: scultura, lavori su carta, fotografia e azioni. Le prime opere di Penone sono una serie di interventi all’aperto nei boschi attorno a Garessio, dove ha interagito con alberi, acqua e pietre. Nel 1969 crea il primo dei suoi Alberi, scavando una trave lungo gli anelli di crescita per far emergere la forma di un giovane albero al centro del blocco di legno. Essere fiume (1981) segna una svolta importante nella pratica dell’artista. Estraendo blocchi di pietra dalla montagna alla sorgente di un fiume, Penone li scolpisce in modo da farli assomigliare alle pietre più piccole e levigate che si trovano sul letto del fiume stesso, imitando gli effetti erosivi dell’acqua. In seguito, concentrando la sua indagine sulla figura, l’artista ha avviato il ciclo dei Gesti vegetali (1982-), sculture antropomorfe cave le cui forme evocano singoli gesti o movimenti.
Le opere di Penone dialogano con i reperti antichi in maniera diversificata, attraverso le loro forme e la loro materia. È un percorso evocativo in cui le opere contemporanee incontrano le produzioni artigianali in ceramica della città di Vulci, dalla prima fase della storia della città – corrispondente all’epoca villanoviana (IX-VIII secolo a.C.) e alla creazione di vasi in ceramica prodotti esclusivamente a mano – alle fasi successive in cui vengono realizzati in fornaci, come in epoca orientalizzante (fine VIII-inizi VI secolo a.C.). In quest’ultimo periodo, l’attività manifatturiera è portata avanti anche da artigiani greci che, affiancando quelli locali, rivoluzionano il settore introducendo innovazioni tecniche come l’uso del tornio e la depurazione dell’argilla. Questo intero percorso è rispecchiato dalle opere di Penone che riflettono sulla forma del vaso. In particolare, in riferimento a Cocci (1982) e Il vuoto del vaso (2005) l’artista ha scritto: «C’è un momento senza il quale tutti questi passaggi non sarebbero esistiti: è l’invenzione del vaso. Un vaso di pietra, di legno e, con il fuoco, di creta. Un pugno di terra, la cui forma sostituisce le mani congiunte per bere, permette di spostare l’acqua nello spazio, di bere nel tempo. Non è solo un’invenzione tecnica, è l’invenzione del capitale che ancora governa e accompagna la nostra evoluzione. Vaso capitale». (Giuseppe Penone, Scritti, a c. di Francesco Stocchi, Electa, Milano 2022, p. 263, n. 217).
Il Padiglione
Nel Padiglione d’arte nel giardino è presentato il progetto Vulci 3000. Ricostruire oggi una metropoli etrusca. Sostenuto dalla Fondazione Luigi Rovati, il progetto, nato nel 2014 per iniziativa della Duke University di Durham (NC, USA) sotto la direzione del professore Maurizio Forte, ha l’obiettivo di indagare le fasi urbane della città etrusca e romana di Vulci attraverso nuovi scavi archeologici, lo studio diacronico del paesaggio e indagini non invasive. Un modello in stampa 3D (in prestito dal Museo delle Antichità etrusche e italiche, Polo Museale Sapienza, Sapienza Università di Roma) riproduce l’area dell’antica città etrusca e romana di Vulci, dal vasto pianoro vulcanico all’area di insediamento urbano vero e proprio, fino alle vaste necropoli utilizzate dall’età del Ferro all’età romana imperiale. Alcune proiezioni consentono di apprezzare il progredire nel tempo delle ricerche nell’area: dalla cartografia ottocentesca alle fotografie aeree degli anni Settanta del Novecento fino ai nostri giorni. Inoltre, è presentata una selezione dei materiali video prodotti negli anni con diverse tecnologie dal team di “Vulci 3000” per raccontare i risultati di queste ricerche, che consegnano così una ricostruzione generale dell’impianto di Vulci e una panoramica delle possibilità delle nuove tecnologie per gli scavi contemporanei. L’ingresso al Padiglione d’arte è libero.
Accompagna la mostra il catalogo Vulci. Produrre per gli uomini. Produrre per gli dèi edito da Fondazione Luigi Rovati con testi di Mario Abis, Simona Carosi, Carlo Casi, Alessandro Conti, Sara De Angelis, Maurizio Forte, Christian Mazet, Laura M. Michetti, Giuseppe Penone, Chiara Pizzirani, Carlo Regoli, Maurizio Sannibale, Giuseppe Sassatelli, Giuliano Sergio.
PER INFO
Fondazione Luigi Rovati
Vulci. Produrre per gli uomini. Produrre per gli dèi
Dal 20 marzo al 4 agosto 2024