In memoria del grande artista torinese, spentosi domenica 5 marzo a Torino, riproponiamo l’intervista del 2020 in occasione di una sua grande personale alla galleria Michel Rein di Parigi. La sua opera e il suo pensiero rimaranno per sempre nel PAV, il Parco d’Arte Vivente a Torino, da lui fortemente voluto.
[…] Piero, l’Arte cosa può fare? A volte sembra che parta con le armi spuntate, magari con exploit di grande effetto ma apparentemente presa poco sul serio…
L’Arte, a differenza del mero dato scientifico, va a toccare i sentimenti interiori, è in grado a operare un profondo cambiamento delle coscienze; alla critica e alla protesta bisogna unire una costruzione dell’alternativa e in questo l’Arte può dare un grande contributo: gran parte degli artisti ecologici aprono orti urbani, organizzano pulizie sistematiche del loro territorio, intervengono attivamente per costruire una nuova auspicata società del Futuro: una pars construens necessaria, che conferisce valore a tutta l’espressione artistica.
L’esposizione, a cura di Valérie Da Costa, presenta un’ampia selezione della produzione dell’artista e un corpus di disegni ed opere politiche. Come riporta il testo curatoriale: «Ciottoli di un letto torrenziale, pesche cadute dopo un temporale in un frutteto, gabbiani in volo sul mare, vegetazione bruciata di foreste incendiate, un sottobosco innevato, un campo di angurie, di mais o zucche, questi sono alcuni dei temi dei tappeti-natura di Piero Gilardi. Dalla metà degli anni ‘60 ad oggi, Piero Gilardi ha reso i tappeti-natura (a metà strada tra pittura e scultura) un segno di riconoscimento del suo lavoro, un oggetto di riflessione per parlare di una natura intima e familiare che risuona in ognuno di noi collettivamente e personalmente. Ben prima di certi problemi ecologici, che sono oggi al centro del nostro mondo attuale, Piero Gilardi si preoccupava di rappresentare la natura non sotto forma di paesaggi, ma piuttosto sotto forma di frammenti, non attraverso una visione panoramica, ma adottando uno sguardo orizzontale più vicino alle cose per mostrarci una natura (a volte addomesticata, a volte non) catturata nei suoi minimi dettagli e per attirare la nostra attenzione su ciò che non guarderemmo altrimenti”.
“Protagonista delle prime mostre di Arte Povera alla fine degli anni ‘60, Piero Gilardi ha privilegiato parlare della natura non utilizzando materiali elementari (acqua, terra, fuoco …), ma utilizzando un materiale industriale e contemporaneo, il poliuretano espanso, che taglia, sistema, incolla e dipinge per rivelare una natura spinta oltre la realtà con i suoi colori brillanti, vibranti e gioiosi. Da Piero Gilardi la natura si vive. Ci sediamo su dei tronchi d’albero (Aigues Tortes, 2007) per ascoltare i loro rumori, la indossiamo come un indumento da trasformare (Vestito-Natura Anguria; Vestito-Natura Sassi; Vestito-Natura Betulla, 1967; OGM free, 2014). Il suo Igloo (1964), mostrato per la prima volta a Parigi, è un pezzo storico che deve essere letto nel desiderio di tornare a una forma primitiva di vita lontano dalle sfide della società dei consumi dell’epoca, problematica che condivide soprattutto con l’amico Pino Pascali (1935-1968). Questa coscienza politica, che è al centro del lavoro di Piero Gilardi, si esprime non solo nei suoi disegni, nei manifesti e maschere con l’immagine dei politici prodotti ogni anno per la parata del Primo Maggio a Torino, ma anche in questa profonda riflessione di consapevolezza della natura che ha occupato l’artista per oltre cinquant’anni.»
In occasione della retrospettiva abbiamo raggiunto al telefono Gilardi per una sua testimonianza sulle oltre cinque decadi di lavoro appassionato, che lo ha portato a fondare e dirigere il PAV, Parco d’arte Vivente, inaugurato nel 2009 a Torino, ma a cui ha iniziato a lavorare dal 2003.
Piero, come riassumere la tua esperienza? Come è iniziata?
Il binomio Natura-Cultura è stato al centro della mia ricerca a partire dagli anni ‘60. In quel periodo dominava l’industrialismo e i primi virgulti dell’arte ecologica nascevano allora, con uno spirito direi quasi pionieristico, in diverse parti del mondo. Per me è stato l’asset di tutto il mio percorso, anche se ho fatto delle escursioni nell’arte collettiva, nell’arteterapia, nello studio e applicazione delle nuove tecnologie…
Cosa ti ha portato sin da giovanissimo ad essere così sensibile nei confronti della Natura?
Ho passato la mia primissima infanzia nella campagna del Saluzzo, in una casetta immersa nella natura: certamente è stato un elemento importante del mio inconscio che ha in parte determinato il mio carattere e che ha influito sul mio successivo percorso di studente all’Accademia: ricordo inoltre che sono nato in una famiglia sensibile all’Arte, sia mio padre che mia madre erano artisti, fatto che ha influenzato i miei interessi; fondamentale poi è stato lavorare, sin da giovanissimo, fianco a fianco con un gruppo di amici artisti: Michelangelo Pistoletto, Giovanni Anselmo, Gilberto Zorio, Mario Merz: ci vedevamo di continuo, parlavamo, ci scambiavamo idee…Nel 1967 ho creato il Deposito d’Arte Presente proprio come spazio di incontro e confronto tra noi artisti dell’Arte Povera.
Sin dall’inizio hai dunque fatto della Natura il soggetto privilegiato dei tuoi lavori, una tua cifra distintiva…
Nella tradizione estetica la Natura viene sempre rappresentata nella realtà bidimensionale, mentre la mia usciva dalla cornice del quadro per entrare nel vissuto, nella dimensione – casa, in diretta relazione con il corpo. I Tappeti sono tali perché sono nati per sdraiarcisi sopra, per immergersi, e questo ha determinato di conseguenza anche la scelta del materiale, la gommapiuma, di cui sono fatti anche i materassi e i sofà…L’esigenza del mercato ha fatto poi sì che oggi le mie opere siano sotto vetro per proteggerle e conservarle nel tempo, ma ricordo che negli anni ‘60 giovani collezionisti hanno acquistato alcune mie opere da Sperone e le hanno usate personalmente, le hanno fatte usare ai bambini nella consapevolezza che potevano deteriorarsi ma che andavano vissute, rendendole protagoniste di una fruizione esperienziale. Bansky molti anni dopo ha distrutto una sua opera durante un’asta non appena l’ha venduta: idee che circolano dall’inizio del Novecento, quando il rapporto Arte-Vita ha cominciato a inserirsi prepotentemente tra le istanze culturali nelle Avanguardie storiche: l’Arte esce dal recinto privilegiato della pura rappresentazione estetica per entrare nella Vita attraverso le relazioni. Oggi siamo entrati in una nuova dimensione: l’essenza ontologica dell’Arte è un atto relazionale, è da intendersi in relazione con gli altri e con la Natura: stiamo riconoscendo che la Natura ha una sua sovranità, non è un territorio di rapina e di sfruttamento, ma ha una sua identità che va rispettata, è un soggetto al pari del soggetto umano nel nostro contesto di vita.
Tu sei anche scrittore, teorico, vanti una ricca bibliografia: un’attività che hai sempre condotto in parallelo e in qualche modo ha integrato la tua ricerca artistica.
Lo sviluppo teorico per me è fondamentale ed è legato al fatto che sono stato coprotagonista insieme ad altri artisti di ben tre grandi cambiamenti nella Storia dell’Arte: ho partecipato alla creazione del movimento dell’Arte Povera, dell’ Art Science Technologie e ho partecipato alla nascita dell’Arte Ecologica; per tutti, oltre che artista, ho operato anche come organizzatore di mostre e iniziative per divulgarne i concetti.
Questo ultimo movimento ti ha visto anche addirittura promotore e fondatore di un Museo…
Si, il PAV, il Parco d’Arte Vivente, aperto a Torino nel 2009: oggi il PAV è cardine della mia attività creativa e teorica. In questi 11 anni abbiamo esplorato molte delle problematiche delle Arti ecologiche, la cui definizione più corretta dal punto di vista filologico è “BioArte” perché riguarda tutto ciò che è vivente. Abbiamo inoltre cercato di cogliere in parallelo all’analisi storica (ricordo a questo proposito la mostra dedicata a Joseph Beuys, che è stato un precursore delle arte ecologiche odierne) anche tutte le innovazioni in tale ambito, scoprendo artisti ecologisti, ad esempio, nell’Est Europa. Ora ci stiamo concentrando su artisti dell’Asia: in Cina, in Indonesia, in India ci sono artisti ecologisti molto attivi, oltre che nell’America Latina. In questo momento al PAV è in corso una mostra su un’artista indonesiana, Arahmaiani, che unisce alla problematica ecologica quella di genere. In questi anni ci siamo avvalsi della collaborazione di diversi curatori, negli ultimi tempi abbiamo avuto come curatore Marco Scotini, ma molti sono gli studiosi che hanno lavorato con noi. Editiamo anche una rivista teorica mensile, PAVzine, che raccoglie i nostri contributi in ambito teorico.
Per l’anno prossimo abbiamo in programma una mostra che cercherà di affrontare una nuova tematica: la necessità di integrare tra loro tutte le forme esistenti di sostenibilità che oggi appaiono frammentate, dalla bioagricoltura alle energie alternative, dalla rigenerazione urbana al ciclo dei rifiuti, creando tra loro un ecosistema: oggi appaiono iniziative valide ma non coordinate; il titolo della mostra sarà Sustainable Assembly!
Tornando alla mostra a Parigi, curata da Valérie da Costa, si tratta di una rassegna che copre tutta la tua produzione, dal 1964 ad oggi…Cosa vorresti lasciare in eredità in termini estetici e concettuali ad un giovane artista che scoprisse oggi il tuo lavoro?
Nella mia mostra ci sono molte espressioni del mio impegno politico militante; ciò che vorrei dire ai giovani artisti di oggi è di sviluppare un impegno etico senza fermarsi alla superficie estetica, ma di approfondire le tematiche esistenziali. Noi viviamo in un periodo estremamente complesso sia per la crisi sociale ed economica che non affronta con i dovuti mezzi la crisi ecologica, ormai giunta a livelli di vera emergenza.
Piero Gilardi (Torino 1942-2023). A partire dal 1965 realizza i suoi primi tappeti naturali di poliuretano espanso che espone alla galleria Sperone (Torino) nel 1966, poi nel 1967 alla galleria Sonnabend (Parigi) e alla galleria Fischbach (New York). Nel 1968, interruppe la sua produzione di opere intraprendendo il percorso della critica d’arte e diventando corrispondente della rivista Flash Art. Girando in Europa e negli Stati Uniti, fece conoscere in Italia le opere di Richard Long, Eva Hesse, Jan Dibbets, Bruce Nauman e collaborò alla realizzazione di due mostre internazionali: When Attitudes Becomes Form (Berna, 1969) e Op Losse Schroeven (Amsterdam, 1969) che mostravano le questioni artistiche del momento (Arte Povera, Land Art, Antiform Art). Nel 1969 iniziò una lunga esperienza attivista e transculturale che mirava all’analisi teorica e alla congiunzione « Arte Vita » (Art Vie). Come attivista politico e mentore della cultura giovane, conduce diverse esperienze di creatività collettiva nelle periferie urbane e «globali» in Nicaragua e nelle riserve indiane degli Stati Uniti, nonché in Africa. Riprende la sua attività artistica durante gli anni ‘80 realizzando installazioni interattive che parlavano del nostro rapporto con la natura e il mondo, offrendo al visitatore la possibilità di far parte dell’opera. Queste proposte mirano nello specifico a sensibilizzare sulle questioni ecologiche attraverso la comprensione del contributo della tecnologia e della scienza nel mondo dell’arte; con Piotr Kowalski e Claude Faure, è stato co-fondatore dell’associazione Ars Tecnica a Parigi nel 1988. Nel 2012, il suo lavoro è stato esposto in una grande mostra itinerante (Castello di Rivoli, Torino; Van Abbe Museum, Eindhoven; Nottingham Contemporary Art, Nottingham). Nel 2017, il MAXXI di Roma gli dedica una retrospettiva Piero Gilardi. Nature Forever che mostra i diversi aspetti del suo lavoro. A partire dal 2003 promuove il progetto del Parco Arte Vivente della Città di Torino, dove si possono riassumere tutte le sue esperienze relative alla dialettica Natura-Cultura. Valérie Da Costa è storica dell’arte, critica d’arte e curatrice. Professoressa di storia dell’arte contemporanea all’Università di Strasburgo, la sua ricerca si concentra in particolare sulla scultura e sull’arte italiana della seconda metà del 20 ° secolo. È l’autrice di numerosi testi e libri tra cui: Écrits de Lucio Fontana (Les presses du réel, Dijon, 2013), Pino Pascali : retour à la Méditerranée (Les presses du réel, 2015), Fabio Mauri : le passé en actes / The Past in Acts (Les presses du réel, 2018). Recentemente, è stata curatrice della mostra Germaine Richier, la magicienne (Musée Picasso, Antibes, 2019) e della mostra collettiva Non si può essere incolti al punto di Valérie Da Costa, febbraio 2020 amare solo cose di alta qualità (galleria Martina Simeti, Milano, 2020).