Gian Carlo Montebello, scomparso pochi giorni fa a Milano dove era nato nel 1941 e dove ha sempre vissuto, lavorato e insegnato, è stato davvero un Maestro di quelli che si spera di incontrare nella vita, come si evince dai tanti messaggi di cordoglio sui social in queste ore, e un esempio fulgido del design italiano noto in tutto il mondo.
Montebello è stato un innovatore, protagonista di una stagione per molti versi irripetibile, ha rivoluzionato l’idea del gioiello d’artista da pezzo unico a multiplo d’autore, conferendo centralità al progetto in relazione con il corpo, collaborando con i più grandi artisti del suo tempo: nel 1967, in una Milano percorsa da grandi fermenti culturali e politici, fonda con la moglie Teresa Pomodoro, sorella di Gio e Arnaldo, la GEM Montebello. Tra il 1967 e il 1978 collaborano con oltre 50 artisti editando circa 200 gioielli in multipli in edizione limitata: l’idea era di realizzare gioielli di artisti dal prezzo accessibile, raggiungendo il grande pubblico in una visione culturale democratica, avvalendosi nella produzione di un laboratorio con orafi e smaltatatori e parallelamente di processi semi-industriali. Molti i nomi nazionali e internazionali, a partire dai cognati Arnaldo e Gio’ Pomodoro, César, Sonia Delaunay, Piero Dorazio, Lucio Fontana, Hans Richter, Joe Tilson, Lowell Nesbitt, Niki de Saint Phalle, Jesús Soto, Alex Katz, Pietro Consagra, Fausta Sqautriti, Claude Lalanne, Man Ray, con cui Montebello intesse una lunga amicizia.
La GEM inaugurava una visione del gioiello che proponeva nuovi fattori come il ruolo del design (che non rispondeva alle regole del gioiello ma volutamente ne ribaltava le consuetudini, sia in termini di unicità che di portabilità) e della committenza, riuscendo ad acquisire una fama internazionale, tanto che riuscì ad esporre opere della sua produzione in luoghi prestigiosi come il Museum of Arts di Boston, il Philadelphia Museum of Art di Philadelphia, il Museo Zonnehof di Amersfor, in Olanda e molti altri.
L’altro elemento importante fu quello di comprendere l’importanza della catalogazione e della comunicazione con la realizzazione di un catalogo a schede di grande originalità, corredato con le straordinarie foto di Ugo Mulas che, già famoso, si prestò all’operazione a titolo di amicizia. Come racconta lo stesso Gian Carlo a Luisa Somaini nel volume Gioielli d’Artista in Italia 1945-1995: “[…] L’idea iniziale, verso l’estate del 1967, insieme a Teresa Pomodoro, con la quale mi ero da poco sposato, era di produrre gioielli disegnati da artisti. … Era il momento dell’industrial design, della geometria ritrovata, del costruttivismo e del funzionalismo recuperati dalle strutture portanti del costume di quel periodo. In accordo con i tempi, nutrivamo buone speranze di impostare una produzione di alta qualità destinata alla divulgazione, pensavamo di poter allargare il ristretto circuito degli estimatori dell’arte contemporanea, raggiungendo quelle persone che, pur non disponendo di molti mezzi economici, desideravano accedervi. Il progetto prese corpo, si iniziò la sperimentazione delle idee e della sua fattibilità; stabilimmo, con i primi artisti invitati Amalia Del Ponte, Rodolfo Aricò, Gastone Novelli, Arnaldo e Gio’ Pomodoro, Fausta Squatriti e il giovane artista indio – brasiliano Edival Ramosa, che i materiali da impiegare non dovevano esser giusto quelli confermati come “preziosi”, ma i più svariati, atti a restituire al meglio il lavoro di ciascuno di loro e al contenimento del prezzo. E così fu. Agli artisti piacquero sia l’idea sia le modalità del progetto. Teresa e io eravamo contenti: l’avventura era iniziata. Investimmo le nostre energie umane e anche i nostri piccoli risparmi; eravamo giovani, poco più che venticinquenni. L’entusiasmo non mancava; incoraggiati anche dagli amici e dalla stessa società che ruotava intorno all’arte […] Diventammo editori di gioielli d’artista quali Lucio Fontana, Jesús Rafael Soto, Pol Bury, Cruz Diez, Piero Dorazio, Pietro Consagra, Lucio Del Pezzo, Man Ray, César, Arman, Niki de Saint-Phalle, Matta, Sonya Delenauy, Meret Oppenheim e naturalmente i fratelli Pomodoro e parecchi altri. Un vero fervore, tant’è che dal 1967 al 1978 realizzammo gioielli di circa sessanta artisti della scena internazionale di allora, organizzando mostre in Italia, in Europa e nelle Americhe in gallerie private e musei “.
Tra i suoi lavori più apprezzati e a cui era più affezionato, anche a causa della sua complessità, vi è Lily di Lowell Nesbitt del 1972, realizzato in edizione di 5, ognuno in colori diversi, con pistilli mobili: un’opera d’arte in equilibrio tra il gigantismo pittorico di Nesbitt e l’iperrealismo: ogni fiore è eseguito con la tecnica del bassorilievo, dorato e smaltato, quindi collocato in una scatola-contenitore dipinta in cui si evidenziano l’aspetto pittorico e scultoreo. Esempio mirabile di gioiello realizzato con una divisione di competenze simile ad un laboratorio medioevale, che Montebello gestiva, come egli stesso amava definirsi, come un direttore d’orchesta.
Montebello dichiarò sempre una grande stima per Man Ray, con cui realizzò diversi gioielli tra cui la spilla The Oculist e la celebre maschera Optic Topic, originariamente nata come occhiali da vista disegnate per la moglie Juliette con il nome di Sel et Poivre, perché le lenti erano fatte interamente in oro perforato. Dopo alcune traversie di carattere tecnico (gli occhiali erano troppo pesanti per reggere le cerniere) l’opera assunse, grazie alla geniale intuizione di Montebello che aggiunse l’invito per il naso e sostituì le stanghette con dei lacci in cuoio, la forma di una maschera veneziana indossabile, collocata in una scatola di legno come in una teca, vero oggetto surrealista, così come il nuovo titolo anagrammato, Optic Topic.
La GEM concluse la sua attività nel 1978, anche a causa della rapina a mano armata dell’intera collezione, che era esposta in mostra a Udine. Montebello decise di continuare a realizzare e progettare gioielli esclusivamente con la sua firma, gioielli che ebbero grande successo come la collana superleggera, così chiamata in omaggio a Gio Ponti.
ll suo studio-laboratorio, in via Lamarmora 15 a Milano, oggi in via Niccolini 27, divenne quindi un luogo di grande attrazione per studenti, collezionisti, intellettuali anche grazie alla sua estrema disponibilità, eleganza di modi, generosità nel trasferire le proprie competenze e nel rievocare le grandi collaborazioni. Il primo ornamento da lui concepito (progettato e realizzato) fu il Punto Colore, che ha come caratteristica principale la “mobilità”, prefigurando una delle inclinazioni più autentiche di tutta la “produzione” a venire.
Partecipa nel frattempo alla costituzione del Dipartimento di Oreficeria all’Istituto Europeo del Design di Milano, dove insegna per due anni (1984-1986) Disegno e Tecnica delle Costruzioni. È invitato a numerose mostre in tutto il mondo con il lavoro della GEM MONTEBELLO (oggetto di accanito collezionismo nelle più importanti fiere internazionali), tra queste The Italian Metamorphosis, curata da Germano Celant per il Guggenheim Museum di New York (1993-1994) e a New Times, New Thinking: Jewellery in Europe and America, curata da Rulph Turner, tenutasi alla Craft Council Gallery di Londra (1995-1996), e, più recentemente, a Medusa, Bijoux et Tabous presso il Musée d’Art moderne de la Ville de Paris (Parigi, 2017), Bijoux d’artistes de Calder à Koons. La collection idéale de Diane Venet, al Musée des Arts Décoratifs du Louvre (Parigi, 2018) Scultura Aurea. Gioielli d’artista per un Nuovo Rinascimento presso La Galleria Nazionale delle Marche (Urbino, 2019).
L’augurio è che sia organizzata presto una mostra personale che ne celebri la decennale ricerca, unica nel suo genere, magari nella sua amata Milano.
B. O Body Ornaments Gian Carlo Montebello