Programmata dal 1° febbraio al 30 aprile la mostra “Van Eyck. An optical revolution”, allestita al Museo di Belle Arti di Gent e inaugurata dal Re del Belgio, si è presentata da subito come uno degli appuntamenti più attesi nel panorama internazionale.
Al momento sospesa per l’emergenza sanitaria (con un sito che dava il tutto esaurito per i biglietti on line per il mese di marzo e molte date di aprile) la mostra (chi scrive è riuscita a visitarla in tempi ancora non sospetti) è un evento irripetibile per molte ragioni, a partire dai fondamentali restauri, alcuni ancora in corso: il ricco catalogo che la accompagna e ne documenta i risultati si appresta a diventare un punto fermo per l’avanzamento degli studi su Jan Van Eyck. Il pittore, straordinario virtuoso e come tale apprezzatissimo al suo tempo, rivoluzionò il concetto di pittura nel Nord Europa nel XV secolo e non solo, tanto che la sua fama è giunta intatta sino a noi e la sua fortuna critica non ha mai subito flessioni. L’esposizione intende raccontare la sua straordinaria figura e la portata del suo operato collocandolo nel contesto socio-culturale del XV secolo, proponendo al contempo nuove prospettive di indagine sia sulla sua tecnica, scientificamente analizzata, sia sull’influenza esercitata su artisti contemporanei e successivi.
Di Jan Van Eyck esistono al mondo solo 22 opere sopravvissute, la maggior parte delle quali in collezioni europee: in mostra se ne contano circa la metà, un numero di per sé straordinario, con prestiti eccezionali, alcuni provenienti dagli Stati Uniti (la splendida Annunciazione della National Gallery of Art di Washington nella quale si segnala la straordinaria invenzione dela risposta della Vergina ecce ancilla domini , scritta al contrario perché diretta a Dio) e altrettante assenze che si fanno sentire (il cosiddetto autoritratto “Uomo dal turbante rosso” e “I coniugi Arnolfini” della National Gallery di Londra, ad esempio) ma è pur vero che il pittore è conosciuto universalmente per il suo capolavoro, la complessa pala d’altare a più scomparti ’“Adorazione dell’agnello mistico”, anche noto come il Polittico di Gent; quest’ultimo è la vera attrazione della mostra, ancorché scisso nei suoi pannelli e suddiviso per sale, mentre una parte è nel suo luogo di provenienza.
Composto di 24 pannelli di legno di quercia (12 interni più 12 esterni, visibili quando è chiuso), il polittico sviluppa il tema della Redenzione attraverso i suoi simboli, dall’Annunciazione al sacrificio dell’Agnello di Dio, immagine di Cristo, adorato da una folla articolata (Pellegrini, Eremiti, Giudici giusti, Cavalieri di Cristo) in un lussureggiante giardino paradisiaco. Sull’esterno l’Annunciazione, Adamo ed Eva, i donatori e i santi Giovanni Evangelista e San Giovanni Battista, volutamente dipinti in colori tenui o a monocromo per sottolineare e preparare la sorpresa del rutilante interno, ricco di colori sgargianti (ma si notino le straordinarie ali dell’Angelo Annunciante sui pannelli esterni che citano chiaramente le cromie di una fetta di anguria e anticipano di fatto le cromie delle figure celesti!)
Oggi le pale interne del polittico sono visibili nel luogo preciso per cui esso fu realizzato su ordine del ricco patrizio Joos Vijd e di sua moglie, la Cattedrale di San Bavone; nel 2012 è iniziata una complessa operazione di restauro dell’intera opera, allestita nelle sale del Museo delle Belle Arti per permettere anche al pubblico di assistere all’avanzamento dei lavori: gli straordinari risultati del restauro (durante il quale sono stati rimossi vecchi strati di pittura e parti coperte riportando la superficie al suo splendore originario) consentono di vedere l’opera di Van Eyck in “modo nuovo”. Man mano che il lavoro procede i vari pannelli vengono restituiti alla Cattedrale, dove rientreranno tutti definitivamente alla fine del 2020, luogo dal quale difficilmente usciranno di nuovo. La mostra si sviluppa idealmente per temi confronti e analisi proprio attorno agli 8 pannelli esterni restaurati (mancano ancora i due pannelli di Adamo ed Eva, lasciati al momento allo stato originale); proprio su di essi troviamo la prima testimonianza storica e autografa: secondo quanto scritto sulla cornice il patrizio Joos Vijd diede l’incarico di eseguire l’opera a Hubert van Eyck, fratello maggiore di Jan. Dopo la morte di Hubert, avvenuta nel 1426, Jan e i suoi assistenti si incaricano di portare a termine il lavoro. Il 6 maggio 1432 il polittico viene inaugurato all’interno della cappella della coppia Vijd-Borluut, dove veniva aperto durante i giorni festivi o in particolari ricorrenze, una vera e propria macchina d’altare che offriva, come accennato, una visione doppia, in grisaille sull’esterno e colori soffusi (tranne la veste rossa del ricco donatore) ed esplosiva per densità di personaggi, cromie e soluzioni luministiche all’interno.
Distinguere le parti rispettive dei due fratelli non è semplice, ma in genere si assegna a Hubert il progetto complessivo e i pannelli interni (salvo Adamo ed Eva), in particolare quelli centrali del registro superiore, meno modellati. Ma anche qui la mano di Jan deve essere intervenuta, come suggerisce l’esame ai raggi X che ha scoperto frequenti correzioni, per esempio nei pannelli dei Pellegrini e degli Eremiti, dove alla vegetazione mediterranea visibile in superficie soggiace uno strato inferiore popolato di alberi tipici delle regioni nordiche (il pittore era andato in pellegrinaggio in Terrasanta per conto di Filippo il Buono, passando per l’Italia e aveva ampliato anche le sue conoscenze botaniche).
Il polittico ebbe una vita piuttosto travagliata; dopo avere rischiato in un paio di occasioni di finire bruciato a causa dell’iconoclastia i pannelli centrali furono prelevati da Napoleone a fine del ‘700, quelli laterali acquistati nel 1816 dal re di Prussia Federico Guglielmo III; fu segregato in sacrestia (i pannelli laterali con le immagini di Adamo ed Eva nudi erano ritenuti indecenti, ne furono realizzate persino due copie “rivestite”), nascosto in Francia allo scoppio della Seconda guerra mondiale ma consegnato a Hitler dalla repubblica di Vichy, nascosto dai tedeschi in una miniera di sale con altre 7000 opere trafugate e recuperato dai Monuments Men statunitensi, come viene raccontato dall’omonimo film. Il pannello dei Giudici Giusti invece è un falso poiché l’originale venne rubato nel 1934 e il presunto ladro morì d’infarto poco prima di rivelarne il nascondiglio.
La mostra, che occupa 13 sale del museo, si apre con uno spaccato sulla lussuosa ed itinerante corte borgognona dei Paesi Bassi. Nelle sale introduttive, Van Eyck si presenta come ciambellano e pittore di corte del duca di Borgogna Filippo il Buono (1396-1467) e come personaggio importante della vita cittadina. L’interazione tra la corte e fiorenti città come Gand e Bruge ha creato il clima ideale in cui si è potuta realizzare la rivoluzione di Van Eyck.
Il pittore nasce intorno al 1390, probabilmente nella città di Maaseik, nell’allora principato di Liegi; ha un fratello maggiore, Hubert anch’egli pittore, un fratello e una sorella minori, Lambert e Margareta. Dopo un breve soggiorno a Lille nel 1432 Jan di stabilisce a Bruge e sposa Margareta, di cui realizzerà il ritratto (1439) oggi conservato al Groeningemuseum di Bruges.
Van Eyck trascorre tutta la vita con il prestigioso ruolo di pittore di corte del conte Giovanni di Baviera-Straubing (1374-1425) e successivamente del duca di Borgogna Filippo il Buono; apprezzato da nobili e ricchi mercanti riceve numerose committenze, tra opere a soggetto sacro e ritratti. Per il duca di Borgogna Van Eyck compie diversi viaggi diplomatici, spesso in destinazioni a scopo politico che devono rimanere segrete. Alcuni dettagli architettonici inseriti in alcuni sfondi paesaggistici fanno pensare che il pittore abbia visitato Gerusalemme. Tra le notizie sicure sappiamo che alla fine del 1428 Van Eyck si reca in Portogallo per realizzare due ritratti di Isabella di Portogallo, promessa sposa di Filippo il Buono. Nel corso di quella missione, Van Eyck percorre probabilmente il cammino che porta a Santiago de Compostela, incontra il re Manuel II di Castiglia e Mohammed, re di Granada. Il 9 luglio 1441 Jan Van Eyck muore. L’artista in diverse occasioni firma le sue opere, fatto piuttosto insolito per quegli anni ma che conferma l’alta considerazione di cui godeva: su una parete presente nel Ritratto dei coniugi Arnolfini (1434, National Gallery, Londra), scrive “Johannes de Eyck fuit hic” (Jan van Eyck è stato qui), ma straordinario è il personale motto che inserisce in alcune sue opere “Als ich can”, cioè “meglio che posso”, raffinata consapevolezza delle proprie capacità.
La figura dell’artista emerge grazie a un eccezionale percorso di circa 140 opere tra pannelli dipinti, miniature, disegni e sculture. I pannelli esterni dell’Agnello Mistico guidano il visitatore per tutta la mostra e sono i punti cardine per illustrare temi e sezioni diverse, come il peccato originale e la redenzione, lo spazio, la Madonna con Bambino, i dipinti di Santi in un paesaggio, il ritratto divino, la parola di Dio, architettura, l’immagine dipinta e l’individuo, e infine i famosi ritratti che Van Eyck fece di alcuni suoi contemporanei, incluso il citato ritratto della moglie. Emerge con chiarezza come Jan van Eyck fosse considerato dai suoi contemporanei molto di più di un “pittore”: era infatti un intellettuale colto, nonché un fine consigliere e uomo di corte. Aveva certamente studiato lettere e possedeva anche conoscenze scientifiche che gli permisero di portare avanti la sua rivoluzione ottica, analizzata da tre punti di vista: la tecnica della pittura a olio, l’osservazione del mondo e la rappresentazione degli effetti luminosi. Prima di Van Eyck, la pittura a olio era un metodo poco pratico da utilizzare; solo più tardi si riuscì ad aggiungere delle sostanze essiccanti che riducevano il tempo di asciugatura e rendevano più malleabile le vernici a olio: l’operazione ottenne un clamore tale che Giorgio Vasari nel 1550 definì Van Eyck l’inventore della pittura a olio, anche se in realtà fu colui che ne portò l’utilizzo alla massima resa. Il secondo aspetto della rivoluzione ottica di Van Eyck è la lenticolare osservazione del mondo. La maestria che il pittore dimostra nel riprodurre minuziosamente i più piccoli dettagli e renderli quasi tangibili non era mai stata vista prima e rimane ancora oggi sorprendente (si pensi alla microscopica figura che si specchia – forse il pittore stesso – nello scudo di San Giorgio nel polittico della Madonna del canonico Van Der Paele, conservata al Groeningemuseum di Bruges).
In quell’osservazione era fondamentale l’interesse profondamente radicato nel dipingere la luce: a questo proposito si ipotizza che il pittore non si basasse solo sull’osservazione diretta e la riproduzione del mondo, ma che avesse anche a disposizione conoscenze specifiche sul funzionamento della luce, il terzo aspetto della sua rivoluzione ottica. Al fine di inserire la rivoluzione ottica di Van Eyck in una prospettiva più ampia, all’interno della mostra i suoi lavori sono stati sistemati in dialogo con opere di alcuni suoi contemporanei italiani ( Beato Angelico, Paolo Uccello, Pisanello, Masaccio e Benozzo Gozzoli) che sono state date in prestito al museo. Al contrario di Van Eyck, che dipingeva a olio, gli artisti italiani lavoravano con la tempera all’uovo; mentre Van Eyck portava avanti le sue innovazioni, i pittori italiani sperimentavano con lo spazio e introducevano la prospettiva matematica.
Altri musei hanno colto l’occasione per eseguire lavori di restauro e/o di conservazione sui capolavori che hanno messo a disposizione della mostra: il “Ritratto di uomo” (Léal Souvenir o Timoteo, forse un musico o un poeta di corte), proveniente dalla National Gallery di Londra, il Ritratto di Baudouin de Lannoy, proveniente dalla Gemäldegalerie di Berlino e il “Libro d’ore Torino-Milano”, proveniente dal Museo Civico d’Arte Antica di Torino, che contiene le uniche due miniature ancora esistenti realizzate da Van Eyck; Torino è presente anche grazie al dipinto raffigurante Le Stigmate di san Francesco datato 1432 e proveniente dalla Galleria Sabauda, messo a confronto con uno pressoché identico ma di più piccole dimensioni conservato al Philadelphia Museum of Art, il che dimostra come il pittore dovesse utilizzare il medesimo disegno preparatorio darealizzare anche su scale diverse.
Tra le altre sorprese rivelate dal restauro una in particolare ha destato scalpore, gli occhi «umanoidi» dell’Agnello Mistico, riemersi dallo strato di pittura sovrapposta a metà del ’500, che hanno acceso ampi dibattiti, ma che gli studiosi confermano essere in linea con l’usanza medioevale secondo la quale era frequente prestare tratti antropomorfi agli animali soprattutto quando rappresentavano esseri divini (come la Colomba dell’Annunciazione sui pannelli esterni).
La mostra non si esaurisce con la sua conclusione al museo: si inserisce nel programma di promozione dei Maestri fiamminghi di Toerisme Vlaanderen ed è sostenuta dalla Fabbrica della Cattedrale di San Bavone, l’Amministrazione della comunità fiamminga, l’Istituto statale per la tutela del patrimonio artistico, l’Università di Gand, l’Istituto Henri Pirenne, il Centro fiammingo di ricerca per l’arte nei Paesi Bassi borgognoni. L’esposizione è il punto di partenza del festival cittadino “OMG! Van Eyck was here”, con il quale la città di Gand celebra il suo maestro più importante per tutto il 2020.
Per info
Van Eyck. An optical revolution
Museo di Belle Arti-Gand