Sino al 10 maggio 2020 da CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia sarà possibile ammirare Memoria e Passione. Da Capa a Ghirri Capolavori dalla Collezione Bertero, una raccolta unica in Italia per originalità dell’impostazione e qualità delle fotografie costruita negli anni da Guido Bertero.
Tra le oltre duemila immagini che compongono la collezione i curatori ne hanno scelte più di trecento, realizzate da circa cinquanta autori provenienti da tutto il mondo: tra i tanti, spiccano i nomi di Bruno Barbey, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Robert Capa, Lisetta Carmi, Henri Cartier-Bresson, Mario Cattaneo, Carla Cerati, Mario Cresci, Mario De Biasi, Mario Dondero, Alfred Eisenstaedt, Franco Fontana, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Jan Groover, Mimmo Jodice, William Klein, Herbert List, Duane Michals, Ugo Mulas, Ruth Orkin, Federico Patellani, Ferdinando Scianna, Franco Vimercati e Michele Zaza.
Curata da Walter Guadagnini, direttore di CAMERA, con la collaborazione di Barbara Bergaglio e Monica Poggi e in stretta collaborazione con lo stesso Bertero, la mostra racconta il nostro passato e le radici del nostro presente, oltre all’evoluzione della fotografia italiana e internazionale dagli anni Trenta fino alla fine del secolo: la Storia diventa lo sfondo su cui si sviluppano innumerevoli storie, che ci parlano di un Paese e di tanti paesi. I protagonisti sono contadini, preti, famiglie, nobildonne, militari, bambini e soprattutto i fotografi che, con gli accenti e le lingue più disparate, hanno impresso su pellicola il ricordo di queste vicende. I maestri della fotografia italiana e mondiale hanno realizzato un racconto che nasce nell’Italia appena liberata dal fascismo, dove, nonostante le macerie e la povertà, si avverte intensamente la voglia di scendere in strada, di ballare e di utilizzare gli angoli remoti della natura per fare l’amore invece che per nascondersi dal nemico.
Fra le numerose opere in mostra ci sono alcuni degli scatti più riconoscibili di questo periodo, capolavori che hanno fatto la storia della fotografia internazionale come «La strada per Palermo», realizzata da Robert Capa nel 1943, «American girl in Italy, Firenze» di Ruth Orkin del 1951, e il reportage dedicato all’Italia da Henri Cartier-Bresson nel 1952. Tante sono le opere che hanno segnato in maniera decisiva l’evoluzione della fotografia italiana, autentiche pietre miliari ormai conosciute in tutto il mondo come «Gli italiani si voltano» (1954) di Mario De Biasi, dove un gruppo di uomini ammira la bellezza di Moira Orfei che passeggia per le strade di Milano; i due amanti appartati fra le dune di un lido veneziano, scovati da Gianni Berengo Gardin nel 1958; «Palermo, via S. Agostino» (1960) di Enzo Sellerio, che ritrae una coppia di bambini trasportare due sedie sopra la testa; gli iconici seminaristi che giocano nella neve, ritratti da Mario Giacomelli nel 1961; la serie «Mondo Cocktail», realizzata da Carla Cerati all’inizio degli anni Settanta durante le inaugurazioni di gallerie d’arte e negozi della Milano bene.
Nonostante il nucleo più numeroso della collezione sia costituito da fotografi del periodo neorealista, la scelta di Bertero è stata di ampie vedute. La raccolta, infatti, comprende racconti di decenni successivi che hanno contribuito alla nascita di un nuovo modo di intendere l’immagine, distaccandosi progressivamente da una vocazione documentaria per diventare via via sempre più concettuali. In mostra quindi anche le celebri «Verifiche» (1969-72) di Ugo Mulas, attraverso cui il fotografo ha indagato e scardinato alcuni dogmi del linguaggio fotografico; il fondamentale viaggio che Luigi Ghirri compie nel 1973 attraverso gli stati, i deserti, gli oceani e le galassie sfogliando le pagine di un atlante; i «Ritratti di fabbriche» (1978-80) di Gabriele Basilico, dove le mutazioni del panorama industriale milanese diventano pretesto per cui capire la complessità della nostra epoca; la cultura millenaria mediterranea riletta, a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, attraverso la forza espressiva delle immagini di Mimmo Jodice, solo per citare alcune ricerche particolarmente iconiche di questa preziosa collezione.
Questa mostra, tuttavia, è anche – e soprattutto – la storia di un collezionista, Guido Bertero, che, a partire dalla fine degli anni Novanta ad oggi, ha raccolto circa duemila stampe. Una collezione nata quasi per caso a Torino, città nella quale Bertero vive da sempre, nel 1998 durante una visita ad Artissima, dove l’allora collezionista di arte antica e contemporanea si imbatte in due fotografie dell’artista americana Jan Groover, che decide di acquistare per le figlie. Nel giro di qualche mese le occasioni di contatto con questo linguaggio si moltiplicano, ma è da una proposta di partecipazione ad un’edizione di “PHotoEspaña” per una mostra dedicata al Neorealismo italiano, che si concretizza l’idea di costruire una vera e propria collezione, assemblata con l’aiuto di Enrica Viganò. Un periodo di continui viaggi lungo tutta la penisola per conoscere e acquistare le opere di decine di fotografi che da lì a poco verranno incluse nella grande mostra “NeoRealismo. The New Image in Italy, 1932-1960” esposta a Cagliari, poi in Spagna, a Duesseldorf, Rotterdam, Lubiana e Winterthur. Un’esperienza ricordata con entusiasmo nonostante le numerose difficoltà, dovute soprattutto alla volontà e alla lungimiranza di reperire stampe vintage in un periodo in cui ancora la consapevolezza sul valore artistico dell’immagine fotografica era debole. Grazie anche a questa determinazione la collezione è oggi un punto di riferimento imprescindibile per lo studio della fotografia italiana del dopoguerra, tanto che dallo scorso anno, a seguito di un’importante donazione al Metropolitan Museum of Art di New York, a cui ha contribuito anche Bertero, una selezione del suo patrimonio sta attraversando gli Stati Uniti in una mostra itinerante sul Neorealismo, sempre in collaborazione con ADMIRA, che ha già coinvolto New York, San Francisco e Reno ( e un divertito Bertero si chiede quale possa essere la reazione degli abitanti di Reno di fronte al Neorealismo italiano!)
Il percorso di mostra è organizzato secondo grandi capitoli: nella prima sala campeggia una grande opera di Michelangelo Pistoletto, emblematica di alcune delle passioni di Guido Bertero, ta le quali quella per la musica classica: ne è testimonianza il ritratto di Claudio Abbado, il direttore d’orchestra per il quale Bertero ha sempre manifestato una grande ammirazione, tanto artistica quanto umana. Il passaggio dall’arte contemporanea alla fotografia avviene attraverso le opere di Jan Groover qui esposte, prime fotografie acquisite in assoluto, come regalo per le figlie in una delle prime edizioni della fiera d’arte “Artissima”. Allo stesso modo, le opere di Duane Michals – scelte tra i capolavori della produzione del maestro americano – segnano l’avvio di una collaborazione pluriennale ed estremamente proficua con Enrica Viganò, che ha indirizzato Bertero verso la costruzione del nucleo neorealista della sua collezione. Mentre i due scatti di Robert Capa illuminano il desiderio del collezionista di approfondire la conoscenza del linguaggio fotografico nei suoi diversi aspetti, le due opere di Luigi Ghirri – uno degli autori meglio rappresentati nell’intera raccolta, sia per numero che per qualità delle opere – rappresentano altri due momenti cruciali del pensiero e dell’azione di Bertero: la grande polaroid cita esplicitamente la Gran Madre di Torino, rimandando, per via di suggestione concettuale, al luogo da dove tutto è partito e dove ancora oggi il protagonista vive, mentre il celebre scatto dell’Alpe di Siusi è l’ultima entrata in ordine di tempo nella collezione, la momentanea, degna conclusione di un viaggio verso i vertici della fotografia italiana del XX secolo.
Nella sala successiva si racconta la grande stagione della fotografia documentaria. La Rural Resettlement Administration (1935) è l’agenzia federale voluta dal presidente americano Roosvelt per documentare – con la leggendaria campagna fotografica Farm Security Administration (1937) – lo stato dell’agricoltura dopo la Grande Depressione (1929). Un’estetica dirompente emerge da soggetti marginali ripresi da Ben Shahn, Liborio Justo e Joseph Kaplan. Il quotidiano e il paesaggio diventano argomenti centrali nella ricerca di Dorothea Lange per raccontare le condizioni di indigenza e arretratezza. Allo stesso tempo, Arthur Rothstein e Russel Lee dimostrano la capacità della fotografia di comprendere e descrivere i fenomeni sociali su larga scala. L’attenzione per la società si sposta dalla campagna alle città con il lavoro dei membri della Photo League. Altre immagini mostrano l’Italia di quegli anni con uno sguardo che ha contribuito a creare l’idea del Belpaese nell’immaginario collettivo mondiale: lo sguardo dei fotografi stranieri è rivolto alla tradizione, alla religiosità, alle usanze e a tutto ciò che è vernacolare, perché in questi caratteri viene identificata l’italianità. Così le immagini di Sanders, di Strand, di Freed possono essere lette come ritratto degli italiani di allora e di sempre.
Non è dunque un caso che il nucleo principale della collezione sia formato da immagini appartenenti al linguaggio del Neorealismo e ne costituisca una delle raccolte più importanti sia per le dimensioni, sia per la qualità e l’importanza storica delle fotografie e degli autori presenti. Tra di essi svettano coloro che hanno fatto la storia del reportage e hanno realizzato alcuni tra gli scatti più iconici della fotografia italiana, non solo per i contenuti ma anche per la ricerca formale che in questi anni comincia ad assumere un carattere ben definito. Da Federico Patellani, di cui si propongono alcuni notissimi scatti dai servizi sulle miniere di Carbonia e di Nuova Cassino, a Piero Donzelli, Fulvio Roiter, Enzo Sellerio, Nino Migliori, Gianni Berengo Gardin, Uliano Lucas, Pepi Merisio, Ferdinando Scianna, Franco Pinna, protagonisti assoluti della fotografia del dopoguerra. Un ruolo a parte tiene Tazio Secchiaroli, presente con i notissimi scatti al Rugantino e sul set di “8 ½”, film epocale di Federico Fellini. Sul finire degli anni Quaranta, però, il clima è maturo anche per una diversa riflessione sui fondamenti del linguaggio fotografico, che si esplicita attraverso l’attività associativa di gruppi storici come “La Bussola” (1947), “La Gondola” (1948), il “Misa” (1954) dai quali emergeranno autori di caratura internazionale come Paolo Monti e Mario Giacomelli, destinati ad aprire un nuovo capitolo della fotografia italiana. Questi raggruppamenti propongono un’estetica più sperimentale, attraverso la quale la ricerca si discosta dalla traccia neorealista, seguendo il motto “In fotografia il soggetto non ha alcuna importanza”. Da qui prendono origine le opere di Giuseppe Cavalli, Ferruccio Ferroni e del giovane Piergiorgio Branzi, qui rappresentati da alcune tra le loro fotografie più note.
Nell’ultima sezione si evidenzia non solo la varietà delle acquisizioni fatte nel tempo da Bertero, ma anche la volontà del collezionista di allargare il proprio interesse oltre i confini dell’estetica neorealista e indagare le ricerche più attuali. Il rapporto tra etnografia sociale e spazio fisico è il filo conduttore che riunisce coerentemente le due anime della Collezione, oltre ad essere tema cruciale per quegli autori che – a cavallo degli anni Settanta e Ottanta – sviluppano un modo inedito di indagare il territorio, dando vita a una sorta di “scuola italiana” di paesaggio. L’osservazione condotta da Luigi Ghirri – sovente declinata nell’accezione familiare della provincia italiana – esalta uno sguardo inedito su luoghi e oggetti comuni come in Campagna Parmense (1985) o in Autostrada Bologna-Ancona – km 6,5 (1986).
Questa sezione completa il racconto della ricognizione compiuta da Bertero nell’ambito delle ricerche più contemporanee, presentando opere di grandi autori stranieri che, oltre a mettere in risalto la sensibilità del collezionista, inseriscono la raccolta stessa in un contesto internazionale: le ricerche di Michele Zaza, Mario Cresci, Franco Vimercati e Nicola De Maria raccontano uno slittamento nella pratica fotografica, non più basata solo sull’idea di esperienza e documentazione del reale, ma come momento nel quale registrare la trasformazione in atto nella percezione di quella stessa esperienza, in un processo di riflessione ed elaborazione linguistica sui fondamenti del linguaggio. Benché appartengano a due momenti storici diversi, è possibile in questa circostanza accomunare l’opera di Nino Migliori e quella di Franco Fontana, lasciando trasparire la passione del collezionista per le composizioni di carattere astratto, capaci di violare ogni norma tecnica convenzionale della fotografia. Un percorso radicato nelle prime esperienze della fotografia astratta degli anni Quaranta con New York (1950) di Aaron Siskind. Sebbene di esordi documentaristici, Siskind viene collegato all’espressionismo astratto per via della sua attenzione formale per trame e pattern di dettagli che richiamano i dipinti gestuali di Willem De Kooning e Franz Kline. Un forte legame tra livello documentario e concettuale è presente in Red series (1968) di Boris Mikhailov. L’esplorazione delle comunità statunitensi ai margini compiuta da Nan Goldin crea un cortocircuito tra armonia dell’immagine e aspetti trasgressivi della vita nelle città. Fortemente poetici, sono lavori capaci di raccontare le trasformazioni che hanno attraversato non solo gli Stati Uniti, ma l’intero mondo occidentale alla fine del secolo scorso. Chiude il percorso la serie del giapponese Masao Yamamoto, Untitled (1990-2008), che traduce nelle immagini il sublime racchiuso negli elementi della vita quotidiana, innescando una nuova, sorprendente e poetica intimità visiva con lo spettatore.
Il percorso espositivo si conclude nel corridoio principale con una selezione di fotografi torinesi, inseriti in collezione quali irrinunciabili presenze nella raccolta di una persona fortemente legata alla sua città. D’altra parte, la capitale sabauda ha giocato un ruolo importante nella storia della fotografia italiana: nel 1899 vi nasce la Società fotografica Subalpina e nel 1904 vi si pubblica il Corriere Fotografico, con i relativi annuari Luci e Ombre, a firma di Carlo Baravalle, Achille Bologna e Stefano Bricarelli. Questa rivista costituisce per la città il centro di una pratica fotografica tesa ad un linguaggio alto, dapprima attraverso una produzione di stampo pittorialista e successivamente con una maggiore apertura alla scena internazionale, fonte di confronto e ispirazione. Contemplando le immagini di questa sezione della mostra, è facile rintracciare nelle fotografie di Mario Gabinio gli echi del pittorialismo, accompagnati dalla compostezza formale che è cifra stilistica dell’autore; l’impostazione razionalista del lavoro di Italo Bertoglio; la ricerca estetica di Stefano Bricarelli. Col procedere verso gli anni Quaranta e poi Cinquanta, la fotografia italiana apre i propri orizzonti e rivolge l’attenzione verso le esperienze americane, abbandonando definitivamente il pittorialismo per una ricerca modernista, riscontrabile nelle tendenze formali delle immagini di Augusto Cantamessa, in quelle astratte di Riccardo Moncalvo, nell’analisi di forma e luce delle fotografie di Stefano Robino. Chiudono Pino Dell’Aquila e Paolo Mussat Sartor che, in termini formali e concettuali, impiegano il mezzo fotografico in ottica contemporanea, a riprova della vitalità della fotografia torinese.
La mostra è accompagnata da un volume pubblicato da Umberto Allemandi editore introdotto da Walter Guadagnini. Oltre la riproduzione di più di 250 immagini, all’interno del volume sarà possibile ripercorrere queste vicende attraverso il dialogo fra collezionista e curatore.
Per info
Memoria e Passione. Da Capa a Ghirri Capolavori dalla Collezione Bertero
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia