Alla Palazzina di Caccia di Stupinigi 100 opere della Maier, bambinaia con il tarlo della fotografia di strada diventata famosa dopo la morte.
Forse non tutti sanno che Vivian Maier – cui, ancora fino al 12 gennaio 2020, è dedicata la mostra “In Her Own Hands” – ha fotografato compulsivamente per tutta la vita tenendo sempre i suoi scatti per sé, non perché la sua passione per la fotografia fosse un segreto, ma per una sorta di pudore misto a inconsapevolezza del proprio talento. Una vicenda umana e artistica che ricorda quella di Emily Dickinson, che cucì insieme e nascose centinaia di poesie, ritrovate solo dopo la sua morte.
Alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, da alcuni giorni, si possono ammirare oltre 100 fotografie della Maier, selezionate dalla curatrice Anne Morin, che raccontano la quotidianità americana vista dagli occhi di un’acuta e sempre discreta osservatrice del reale, che in cinque decadi realizzò oltre 100mila scatti, soprattutto per le strade di Chicago e New York.
Chi l’ha conosciuta, ha descritto la Maier come una donna eccentrica, colta, estremamente riservata, che spesso indossava un cappello a tesa larga e scarpe da uomo e che aveva sempre al collo una macchina fotografica.
La sua opera viene riscoperta a partire dal 2007, quando il figlio di un rigattiere americano, John Maloof, compra all’asta per 380 dollari un box pieno di oggetti pignorati “a una donna che aveva smesso di pagare l‘affitto”. In mezzo a tante cianfrusaglie, Maloof rintraccia centinaia di negativi e rullini da sviluppare.
L’entusiasmo degli utenti di Flickr, cui sottopone le prime immagini dopo averle fatte stampare, lo spinge a continuare il suo lavoro di ricerca e a ricostruire la vita della Maier attraverso le testimonianze di chi l’aveva conosciuta.
Di lì a poco, Vivian, completamente all’oscuro del ritrovamento dei rullini e del successo che stavano riscuotendo le sue opere, morirà per le conseguenze di una caduta nella downtown Chicago.
La mostra di Nichelino (TO), organizzata dall’associazione culturale Dreams, con il coordinamento di Next Exhibition e con il patrocinio della Città di Torino, vuole raccontare lo sguardo sottile e il punto di vista acuto della Maier nel ritrarre tutto ciò che la sorprende: strada, persone, oggetti.
L’esposizione è divisa in cinque aree: Città, Dettagli, Ritratti, Frames, Self-portrait/Colori. Attraverso negativi, filmati, registrazioni audio, “In Her Own Hands” offre uno spaccato affascinante della vita americana della seconda metà del ventesimo secolo.
“Città” raccoglie gli scorci urbani immortalati dalla Maier, dai cantieri in costruzione alle insegne dei ristoranti, passando per le vie dei negozi.
Della sezione “Dettagli” fanno parte scatti celebri come quello che raffigura le mani di due amanti intrecciate dietro la schiena.
Una donna di colore seduta alla fermata del tram, un eccentrico anziano con in testa una bombetta, due ragazzine che si scambiano uno sguardo complice… la sezione “Ritratti” permette di notare una peculiarità del modo di lavorare dell’artista: quando ad attirare la sua attenzione erano persone meno abbienti, il suo sguardo si faceva più riguardoso. Al contrario, quando si soffermava su un membro dell’altà società, era solita mettere in atto azioni di disturbo in modo da raffigurarlo con un’espressione infastidita.
Osservandone i ritratti, più che in altre fotografie, si percepisce il grande bagaglio culturale della Maier, derivante dai tanti viaggi che intraprese alla ricerca dell’esotico.
“Frames” è l’area della mostra dedicata ai filmati super 8 ritrovati da Maloof nei bauli impolverati della donna. Grazie a questi film è possibile seguire il movimento del suo occhio, ancora una volta discreto: la macchina non si muove, resta fissa su un soggetto che, invece, si sposta, narrando così la sua storia.
Vivian Maier può essere considerata una precorritrice dell’era dei selfie. Spesso si posizionava davanti alle vetrine dei negozi o davanti a uno specchio per immortalarsi, con lo sguardo rivolto altrove. L’abitudine di realizzare questi autoritratti era probabilmente il suo modo per affermare la propria identità. Se il mondo non si accorgeva di lei, la fotografia ci metteva una pezza: era la prova tangibile della sua presenza fisica in un luogo e in un momento precisi. La sezione “Self-portrait/Colori” di “In Her Own Hands” comprende, oltre a due postazioni per cimentarsi in un selfie “alla Maier”, 22 fotografie a colori.
La Maier si avvicinò al colore all’inizio degli anni Settanta con il supporto di una Leica, decisamente più leggera rispetto alla Rolleiflex che aveva usato fino ad allora. Esplorò questo nuovo linguaggio in modo giocoso e casuale, sottolineando, ad esempio, contrasti e discrepanze cromatiche presenti nei cartelloni pubblicitari.
Infine, l’area didattica curata dalla Scuola di fotografia di Torino & VISUAL completa il percorso espositivo, dando ai visitatori la possibilità di approfondire temi relativi al mondo della fotografia, della composizione dell’immagine e della componente artistica dell’atto fotografico.
Nel corso della sua attività, la Maier usò diversi apparecchi, mostrando di possedere sapienza tecnica e duttilità. La Scuola di fotografia curerà anche un’esposizione nell’esposizione: saranno presentati alcuni dei modelli di fotocamera utilizzati da Vivian Maier, dalla Rolley 3.5F biottica, che comprò nel 1952, alla sua prima macchina fotografica, una modesta Kodak Brownie.
Per informazioni sui corsi: www.centrovisual.it/corsi-workshop-mostra-maier
CENNI BIOGRAFICI
Vivian Maier nacque il 1° febbraio del 1926 a New York da Charles Maier, americano figlio di emigranti austriaci, e Maria Jaussaud, francese che a New York aveva raggiunto i familiari già emigrati.
Dopo la separazione dei genitori, Vivian visse per un po’ nel Bronx da un’amica francese della madre, Jeanne Bertrand, fotografa di professione che trasmise alle sue ospiti la passione per la fotografia.
Con Jeanne e sua madre trascorse parte della sua infanzia in Francia, per fare rientro a New York nel 1938.
Tornerà a Champsaur all’età di 24 anni per mettere all’asta una proprietà di famiglia. Lo testimonano diverse fotografie della regione scattate con due apparecchi a tracolla.
Ripartita per New York, comprò, con il ricavato della vendita della casa, una Rolleiflex professionale e intraprese diversi viaggi nel Nord America.
Gli anni successivi furono dedicati ai bambini, non suoi, perché non ne avrà mai, ma delle diverse famiglie per cui farà da governante. Secondo la signora Gensburg, che la assunse per prendersi cura dei suoi tre figli, “Vivian non aveva una predilezione per il mestiere di bambinaia ma, non sapendo che altro fare, lo esercitò per quarant’anni”.
Presso i Gensburg, dove restò per ben 17 anni, Vivian disponeva di un bagno privato in cui aveva attrezzato una camera oscura per sviluppare i suoi negativi.
All’età di 33 anni, partì per un viaggio di sei mesi intorno al mondo. I Gensburg la sostituirono temporaneamente e lei ne approfittò per visitare Filippine, Thailandia, India, Yemen, Egitto e Italia. Per concludere, soggiornò un’ultima volta a Champsaur. Naturalmente scattò fotografie di tutte le tappe.
Pur essendo molto legata alla famiglia Gensburg, che vegliò su di lei negli ultimi anni di ristrettezze economiche e patimenti fisici, non disse mai loro dove era stata durante quei mesi.
“IN HER OWN HANDS”, DOVE E QUANDO
12 ottobre 2019 – 12 gennaio 2020
Palazzina di Caccia di Stupinigi
Piazza Principe Amedeo 7, Nichelino (TO)
Dal martedì al venerdì dalle 10.00 alle 17.00; sabato e domenica dalle 10.00 alle 18.00.
Per ulteriori informazioni è possibile contattare la biglietteria al numero 011/19214730, visitare il sito Internet www.mostramaier.it o la pagina Facebook Vivian Maier Torino.