La meccanica del cuore è al suo debutto nazionale al Teatro Piccolo Orologio nei primi due week-end di Marzo. La trasposizione del romanzo breve in un’opera teatrale è riuscita grazie al Teatro d’Attore dell’Associazione Centro Teatrale MaMiMò e il Teatro d’Ombre di Teatro Gioco Vita. Lo spettacolo sarà portato anche al Festival Giallo Mare di Castel Fiorentino il 20 Marzo e al Festival Segni d’Infanzia ad Ottobre.
La visione dei due registi Marco Maccieri e Angela Ruozzi, che hanno saputo rivisitare il “fare teatro” per mettere in scena la meraviglia; le illusioni del Teatro d’Ombre di Fabrizio Montecchi; la freschezza del cast nato da un laboratorio artistico creativo; e soprattutto l’immaginazione di Mathias Malzieu, che ha saputo inventare questa favola per tutti adulti e bambini: ingranaggi di una grande fucina creativa che lavorando insieme a tutto vapore è riuscita a creare la magia.
“Nella notte più fredda del mondo… È il 1874… il piccolo Jack nasce con il cuore completamente ghiacciato. La bizzarra levatrice Madeleine, dai più considerata una strega, salverà il neonato applicando al suo cuore difettoso un orologio a cucù.”
Una favola sull’amore, la ricerca d’identità, il rapporto con i genitori che inizia con tre regole molto ferree:
“Uno, non toccare le lancette.
Due, domina la rabbia.
Tre, non innamorarti, mai e poi mai.
Altrimenti, nell’orologio del tuo cuore, la grande lancetta
delle ore ti trafiggerà per sempre la pelle,
le tue ossa si frantumeranno,
e la meccanica del cuore andrà di nuovo in pezzi”
Marco Maccieri, attore, regista, insegnante e direttore artistico di MaMiMò, e Fabrizio Montecchi, regista e scenografo di Teatro Gioco Vita, raccontano in un’intervista La meccanica del cuore, che speriamo di vedere la prossima stagione in un Teatro milanese.
Marco Maccieri, per la regia e l’adattamento teatrale del romanzo
Leggendo La meccanica del cuore ho iniziato ad entrare nel mondo incantato che disegna Malzieu. Ci sono romanzi fantastici che spostano la trama in un mondo gotico, un pò dark, e creano una dimensione altra in cui si può parlare di tenerezza e di temi di cui è difficile parlare nella vita, cinica e legata all’utile, di tutti i giorni.
La trama non rimane un semplice racconto, è una metafora in cui possiamo riconoscerci. Tutti siamo stati bambini e abbiamo vissuto delle sofferenze, almeno una volta nella vita ci siamo detti io sono quello sbagliato o ci siamo interrogati sulla nostra identità.
Il mondo di Malzieu è perfetto per fare delle riflessioni profonde ed esistenziali. Il protagonista deve seguire tre regole che sembrano relegarlo in un mondo senza pathos, senza passione. Tutta la storia gioca sulla dialettica tra il non potere e il desiderare. Se tutto fosse concesso non ci sarebbe la tensione del desiderio, che porta a vivere nuove esperienze.
Sono temi molto contemporanei e diretti ad un pubblico adulto, soprattutto la ricerca dell’identità: chi siamo (o chi vogliamo essere), chi ci dicono che noi siamo, chi la società vuole che noi siamo. Queste tre identità sono sempre in una lotta pazzesca tra loro e noi facciamo molta fatica a vedere quale sia quella giusta.
Tutto questo è raccolto in una storia deliziosa, molto delicata e poetica, in cui i personaggi parlano attraverso la poesia. Mi ha veramente incantato e da una lettura fatta in un viaggio in treno è nato questo spettacolo.
Per prima cosa mi sono occupato della traduzione e del riadattamento della storia, rimasta fedele al romanzo, in chiave teatrale. Nella trasposizione di un romanzo esistono alcuni problemi strutturali. Il Teatro richiede una sintesi enorme: unità di tempo, unità di spazio, unità di luogo.
Abbiamo fatto piccoli cambiamenti, per primo il tempo. Non cominciamo dall’inizio del libro ma da metà. Il protagonista è già un giovane adulto, che affronta l’amore per la prima volta. E’ una prima volta simbolica, perché tutti noi quando ci troviamo di nuovo in quella situazione è come se l’affrontassimo per la prima volta. Ho dato poi unità di luogo. Tutto succede nel grande circo Extraordinarium, ovvero l’ambientazione della seconda parte del libro.
L’idea per la realizzazione è nata pensando a Teatro Gioco Vita, Fabrizio Montecchi e Nicoletta Garioni, con cui volevamo collaborare da anni. Li stimiamo moltissimo per la loro capacità di far apparire dei mondi. L’ambientazione stessa, dentro un circo con tante tende, ci ha consentito di evocare tutte le situazioni, altre rispetto all’agire degli attori, attraverso le ombre. E così la prima parte del libro è raccontata durante l’azione attraverso le ombre, in continuo dialogo con gli attori. Ma non è uno spettacolo di ombre, è comunque uno spettacolo d’attore. Siamo riusciti credo a trovare quell’equilibrio e quella leggerezza necessari a raccontare una fiaba tanto pazzesca quanto, da un certo punto di vista, realistica.
Teatro d’Attore e Teatro d’Ombre
Io ed Angela all’inizio eravamo un po’ timorosi, non conoscendo il Teatro d’Ombre abbiamo deciso di impararne subito le leggi molto complesse. Con Fabrizio, invece, abbiamo capito quasi subito che stavamo giocando un gioco nuovo. Abbiamo creato un luogo poetico e artistico in cui poter “tradire” i meccanismi del Teatro d’Ombre. Distruggiamo l’illusione creata facendo rimanere in scena l’attore. Mostriamo i trucchi e il rapporto che l’attore ha con la proiezione, se gli piace o se non gli piace ad esempio, e anche questa dialettica che si crea è molto bella. C’è sempre un mezzo sorriso di chi guarda, perché è complice di quello che sta accadendo.
Se fosse uno spettacolo solo di ombre questo non sarebbe possibile, nel Teatro d’Ombre tradizionale l’illusione è tutto, è la magia. Al cinema noi ci proiettiamo là sullo schermo a Teatro, invece, ci proiettiamo nel qui ed ora, davanti a noi accadono delle cose.
Uno dei personaggi della storia è George Méliès l’inventore del cinema. Mentre viviamo sul palco la storia d’amore di Jack, tutte le invenzioni che hanno portato all’invenzione del cinema scorrono davanti a noi. Il racconto si colloca in quel momento storico in cui l’evoluzione del Teatro crea le suggestioni che dal Teatro d’Ombre, realizzato con le sagome prima e le lastre poi, arrivano al caleidoscopio e all’immagine in movimento. Il punto di arrivo è celeberrimo film di George Méliès Il viaggio nella luna, presente anche nel romanzo. Una delle scene, infatti, avviene proprio mentre Méliès sta proiettando il suo film. Il romanzo lascia molto spazio all’immaginazione, c’è solo uno spunto, i suoi esperimenti con le sagome in movimento, su cui noi abbiamo dovuto creare una drammaturgia. Agire una storia sul palco significa creare scene precise.
Quali altre contaminazioni avete portato nello spettacolo oltre a cinema e Teatro d’Ombre?
Siamo partiti dal mondo del gotico per finire, e non poteva che essere così, nello Steampunk. Ovvero quella corrente culturale di fine Ottocento, tra il fantastico e il fantascientifico, che immaginava lo sviluppo delle tecnologie partendo dalle conoscenze che aveva: un mondo futuro di macchine a vapore e ingranaggi. Ci siamo quindi dovuti calare per forza nell’immaginario di fine Ottocento per trovare i nostri riferimenti, in un mondo per cui è verosimile mettere al posto del cuore un orologio a cucù, il mondo descritto da Jack London e tutti gli scrittori a cavallo tra Ottocento e Novecento. Non è mai facile. Noi tutti, quando cerchiamo di entrare in un’altra cultura o epoca, tendiamo a portarci dietro i nostri cliché.
La scelta del cast
Il Centro Teatrale MaMiMò sta cercando da anni di capire come ricostruire su nuove basi il meccanismo di produzione teatrale. Volevamo uscire dal sistema del pret a porter che esiste nello spettacolo come nella moda e dei meccanismi imposti con i tagli alla cultura, in cui tutto deve essere pronto e distribuibile subito. Il rischio di questo modo di lavorare più commerciale è di essere costretti a preparare gli spettacoli in poche settimane e mettere in scena i titoli che vendono di più. Noi abbiamo deciso di scegliere le nostre produzioni non sulla carta ma attraverso dei laboratori artistici.
Nell’estate 2018 tutti insieme, 21 artisti di cui 18 attori e 3 registi, abbiamo provato a lavorare su dei materiali. La meccanica del cuore rispondeva agli stimoli che si erano creati e ha dimostrato di poter dare delle suggestioni. Il progetto è piaciuto subito a tutti e insieme a Teatro Gioco Vita abbiamo deciso di produrlo. Gli attori che hanno partecipato al laboratorio avevano le esperienze più diverse, dai neo diplomati ai “veterani” diplomati 15 anni fa, e arrivavano da tutta Italia. Volevamo mettere insieme diverse generazioni di attori, anche questo purtroppo si sta perdendo e invece è una grande ricchezza. E’ tra i 18 attori presenti che abbiamo scelto i tre personaggi principali: Fabio Banfo di Vercelli interpreta Méliès, Paolo Grossi di Bolzano veste i panni di Jack, Cecilia di Donato di Reggio Emilia è Madeleine.
Fabrizio Montecchi, maestro del Teatro d’Ombre, per le scenografie
Il lavoro di Teatro Gioco Vita è iniziato 40 anni fa dalla tradizione. Nel tempo si è caratterizzato per una progressiva distruzione dello spazio convenzionale del Teatro d’Ombre. Si sono aperte diverse combinazioni e possibilità, a seconda delle situazioni. Lavoriamo davanti o dietro lo schermo, con attori o con danzatori, sempre combinando o facendo nostre le ragioni della drammaturgia. Ogni volta mettiamo al servizio di un preciso progetto tutto il repertorio di tecniche sviluppato nel tempo, scegliendo quelle che sono più pertinenti al testo che vogliamo rappresentare. Nel caso di La meccanica del cuore la proposta è arrivata da Marco ed Angela. Hanno intuito che, attraverso questo strumento, avrebbero potuto rendere un testo che doveva trovare un medium diverso dall’attore per essere rappresentati sulla scena. Ci son diversi piani narrativi e così abbiamo individuato diverse tecniche di Teatro d’Ombre per assecondare le ragioni della drammaturgia e della regia.
Degli spettacoli di Teatro Gioco Vita seguo anche la regia, caratterizzata da una tecnica, un linguaggio ed anche una poetica ben precisi. Lo scambio che nasce invece mettendosi a disposizione di altre poetiche e di altre regie, è molto interessante. Io sono nato nel Teatro d’Ombre e dunque penso per ombre. Marco e Angela invece arrivano dal Teatro d’Attore e ci hanno permesso di esplorare aspetti del nostro lavoro che altrimenti noi non avremmo colto, perché siamo presi dalla nostra stessa visione poetica, che ci porta a fare le cose in un certo modo.
Non tutti amano fare questo, perché sanno di dare qualcosa di loro ad altri che potrebbero usarlo in maniera non opportuna. Io invece trovo che sia un momento importante per fare esperienza, esplorare e fare ricerca attraverso gli occhi di qualcun altro, e dunque siamo sempre aperti alle collaborazioni. Vedo Marco e Angela sempre più consapevoli delle possibilità di questo linguaggio. Sono stati in grado di combinarlo e modellarlo in modo da valorizzarlo per tutto il portato immaginifico e poetico che normalmente ha. Questo è molto bello.
Il rapporto con il Teatro e l’insegnamento
Nei primi anni tanti spettacoli hanno segnato la mia formazione, ma il primo ad avermi folgorato è stato Il Gorilla quadrumàno del 1974 di Giuliano Scabia, che aveva un approccio molto popolare al teatro, ma in senso alto, di ricerca teatrale e antropologica. Questa scoperta mi ha permesso di avvicinarmi anche al teatro dei mattatori dell’epoca, come Strehler, e alle produzioni internazionali che vedevo al Teatro di Reggio Emilia. Ma il Teatro d’Ombre è il linguaggio che mi appartiene totalmente. Lo faccio ormai da quarant’anni. Adesso farei fatica ad immaginarmi a fare un tipo diverso di teatro. Se ho qualcosa di interessante da dire sul mondo lo faccio attraverso le ombre, ma quando ho iniziato a 17 anni non avevo la stessa consapevolezza. Venivo dalla scuola d’arte e vidi nel Teatro d’Ombre la possibilità di fondere una dimensione visiva con il Teatro che amavo, e dunque ho iniziato, per gioco come si fa a quell’età. Poi questa cosa ha preso uno spazio sempre maggiore, il campo di esplorazione piuttosto che restringersi si allargava a dismisura. Mi offriva possibilità straordinarie di sperimentazioni e di scoperta, e così ad un certo punto mi sono accorto che questo è quello che avrei fatto nella mia vita. Oggi riesco a declinarlo in tanti modi diversi e posso tornare su testi conosciuti o fare nuove drammaturgie, offrendo sempre allo spettatore quello sguardo altro rispetto al Teatro di prosa o di figura.
L’insegnamento è diventato ormai una parte importantissima del mio percorso professionale, man mano che invecchio prende sempre più spazio perché c’è la voglia di trasmettere quel sapere conquistato in tutti questi anni, affinché rimanga alle generazioni future. La formazione in questo riesce più dello spettacolo.
LA MECCANICA DEL CUORE
venerdì 1 e 8, sabato 2 e 9 marzo ore 21.00
domenica 3 e 10 marzo ore 17.00
Teatro Piccolo Orologio – Reggio Emilia
dal romanzo omonimo di Mathias Malzieu ©Editions Flammarion
adattamento Marco Maccieri
regia Marco Maccieri e Angela Ruozzi
scene, sagome e ombre Nicoletta Garioni e Fabrizio Montecchi
con Fabio Banfo, Cecilia Di Donato, Paolo Grossi
costumi Nuvia Valestri
produzione MaMiMò / Teatro Gioco Vita
Associazione Centro Teatrale MaMiMò
www.mamimo.it
Teatro Gioco Vita
www.teatrogiocovita.it