Anticonvenzionale è un termine adeguato e tuttavia insufficiente a restituire pienamente la parabola umana e professionale di Ezio Gribaudo, classe 1929, esponente di punta dell’arte e dell’editoria torinese.
Chi lo conosce sa che il suo ruolo decennale nel panorama culturale è stato del tutto particolare per capacità di dedicarsi a diverse attività e discipline (tutte con successo), per la visione internazionale ed un certo modus operandi severo, che poco indulge al compromesso.
Artista tutt’ora attivissimo e pluripremiato (tra i vari riconoscimenti ricordiamo su tutti il premio della Biennale del 1966 per la grafica), Ezio è collezionista, editore, organizzatore di mostre, protagonista del rinnovamento artistico del II dopoguerra grazie a libri e cataloghi realizzati con e per i più grandi artisti internazionali del tempo, che con lui hanno intessuto collaborazioni e stretto solide amicizie, da De Chirico a Fontana a Burri, a Manzoni, Dalì, Moore, Mirò per citarne solo alcuno.
In occasione del suo 90° compleanno, la figlia Paola, che ha seguito il padre nella non facile vocazione all’editoria d’arte di qualità con risultati brillanti (più di 1000 libri editati per case editrici nazionali e internazionali), ha organizzato una festa in occasione della mostra al Museo del Risorgimento di Torino: in Sala Codici sono esposti, fino a fine gennaio, tre dipinti monumentali che l’artista torinese realizzò nel 1964 proprio per il Museo in occasione del Centenario dell’Unità d’Italia: Sollevazione del popolo a Milano, Gli impiccati di Belfiore e Pier Fortunato Calvi. L’inaugurazione, il 10 gennaio, giorno del suo genetliaco, è stata l’occasione per un abbraccio ideale che tutta la città gli ha rivolto.
Nel mese di gennaio Ezio parteciperà inoltre ad una conferenza all’Accademia Albertina di Torino sulla mostra spettacolo di Jean Dubuffet, Coucou Bazar, tenutasi alla Palazzina delle Belle Arti di Torino nel 1978. Un evento straordinario che proprio Gribaudo portò a Torino chiedendo, e ottenendo, la sponsorizzazione della FIAT direttamente a Giovanni Agnelli, anticipando i coinvolgimenti dei privati per la realizzazione di grandi mostre. Lo spettacolo era già stato rappresentato nel 1973 al Guggenheim di New York e al Grand Palais di Parigi e fu un’occasione straordinaria per Torino: la mostra ebbe uno strepitoso successo.
Per questa intervista si è pensato ad un approccio che, ricalcando almeno in parte il celebre questionario di Proust, restituisse una dimensione privata, più intima e confidenziale del Gribaudo pubblico.
Il tratto principale del mio carattere
Domanda difficile…certo la costanza, la tenacia. Per riuscire nella vita non basta, ci vuole una certa dose di fortuna che bisogna saper manovrare. In vecchiaia mi sono accorto che sono diventato severissimo nei giudizi, soprattutto con me stesso.
La qualità che desidero in un uomo.
L’onestà intellettuale, diverse persone mi hanno deluso.
La qualità che preferisco in una donna.
Beh, subito si è attratti dalla bellezza fisica, ma, passata l’attrazione, rimane altro…l’amore! Questa parola abusatissima, ma che si traduce in costanza, sapere sopportarsi anche nei difetti, aiutarsi sempre.
Tra le donne della mia vita un ricordo per …
Mia madre Teresita, è stata una donna meravigliosa: proveniva da una famiglia di grandi lavoratori, i miei nonni erano emigrati in Argentina, poveri ma onesti. Donna severa, mi ha insegnato molto, ad essere generoso nella lode, cauto nella critica.
Quel che apprezzo di più nei miei amici.
La schiettezza
Il mio principale difetto
Una sorta di gelosia nei confronti delle persone a cui sono legato. La mia occupazione preferita Disegnare…e i cruciverba. Purtroppo la mia maculopatia ha ridotto anche questo piacere, così come quello della lettura. Sono sempre in attività, anche di notte, appena posso mi metto a disegnare, una necessità che avverto sin da quando ero bambino. |
Il mio sogno di felicità
La felicità non esiste, è un concetto astratto…a volte ci illudiamo solo di essere felici, al limite possiamo raggiungere un po’ di serenità.
Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia
Nel mio caso, lo è stata proprio la maculopatia, la mia visione si è molto attutita negli ultimi anni e questo per me è un grande dolore.
Quel che vorrei essere.
Mi sarebbe piaciuto essere un direttore d’orchestra… forse un po’ lo sono stato, almeno nel ruolo di editore.
Il paese dove vorrei vivere.
Ho avuto la fortuna di girare il mondo, di visitare tutti i continenti, ma Torino è una città ideale per tornare, così diversa e silenziosa (oggi anche troppo gogoliana, per i miei gusti) perfetta per riflettere. Torino ha avuto una storia diversa dal resto d’Italia, la sua posizione ha influenzato molto il suo destino, pensiamo a questa sorta di grande muraglia di montagne, che ci circondano e in parte ci isolano, causa di infinite querelle ai giorni nostri per costruire o meno dei passaggi verso la Francia. La posizione ha influito sul nostro carattere, sulle nostre architetture, che sono prettamente militari: le nostri valle sono piene di forti, baluardi, tutte improntate alla “difesa”, non certo all’apertura…
Il colore che preferisco.
Il bianco ha sempre sollecitato la mia immaginazione perché il semplice rilievo sulla superficie bianca segna un’ombra che da sola è già disegno. De Chirico in una sua lettera ricorda come io amassi il bianco e lui il nero, da che deduco che io sono un leucofilo e lui un melanofilo. I flani li ho inventati recuperando materiali di scarto dell’editoria. Le matrici, impronte tipografiche su carta buvard prive di inchiostro e impresse a secco, mi hanno ispirato le mie serie più famose, i flani appunto, e i logogrifi: con questi ultimi ho vinto il Premio Internazionale per la Grafica alla XXXIII Biennale di Venezia nel 1966. La parola logogrifo l’ho inventata componendola dal greco, ed è è diventata un marchio che mi ha contraddistinto nel tempo… per tutti ero diventato “quello dei logogrifi”!
Il fiore che amo.
La mimosa, ricordo un verso di Ungaretti che amo molto: […] “con minuto fiorire, gialla irrompe la mimosa”. La palma, anche se non è un fiore, ritorna in molti miei dipinti, Provai un’emozione enorme quando arrivai di notte a Cuba e vidi tutte queste palme alte, eleganti: ne apprezzo la forma, le geometrie che si stagliano verso il cielo.
L’animale che preferisco.
Amo i Dinosauri, ne ho fatto un soggetto di molte mie opere. Quando andai al Museo di Storia Naturale di New York, bellissimo, fui molto impressionato dagli scheletri dei dinosauri, pensai subito di riprodurli, reinventarli, rivestirli con abiti fantasiosi…
I miei autori preferiti in prosa.
Ce ne sono tanti…il testo che mi ha più affascinato, per molti motivi ma soprattutto per la sua incredibile attualità, è “Il Principe di Macchiavelli”…e poi “I Mandarini” di Simone de Beauvuoir.
I miei poeti preferiti.
Montale e Ungaretti, tra l’altro ho avuto la fortuna di conoscere entrambi.
I miei compositori preferiti.
Tra i contemporanei Paolo Conte, Adriano Celentano, tra i classici Vivaldi, amo molto la musica lirica.
I miei pittori preferiti.
Picasso e De Chirico, non potrei citare l’uno senza citare l’altro. Picasso ha cambiato il modo di concepire la pittura. Con mia figlia abbiamo realizzato un intero libro su un unico quadro di Picasso, Le noces de Pierret; la sua opera è davvero universale. Di De Chirico mi piace la sua pittura vicina alla cultura di Böcklin, una pittura celebrale, colta.
Quel che detesto più di tutto.
L’ipocrisia delle persone insincere, pavide.
Il dono di natura che vorrei avere.
Più salute per la mia vista…vorrei ritornare ai miei occhi primitivi..E anche più diplomazia (ride n.d.r.).
Stato attuale del mio animo.
Mi sento come uno zombie, svuotato e allo stesso tempo ancora ricco di forza: ho avuto un’esistenza lunga e fortunata, salute, creatività, ho incontrato quasi tutte le maggiori personalità dell’arte e della cultura del XX secolo. Negli ultimi trent’anni ho avuto mia figlia al mio fianco nel mio lavoro, e questo è stato un altro aspetto estremamente positivo. Oggi vivo di ricordi, ma mi sorprendo ancora per la bellezza della Natura, che mi dà conforto. Novant’anni sono tanti, ma forse sono ancora pochi per imparare, e per molte altre cose.
Un motto.
Non è vero che lavorare stanca. Lavorare stanca i fannulloni.
Suggerimento ad un giovane artista, oggi.
Uh per carità… Di non essere troppo presuntuosi.
La lezione che ho imparato.
Non mi aspettavo questa lotta senza esclusione di colpi, questa ipocrisia di fondo che mette gli uomini gli uni contro gli altri senza tregua: bisogna imparare a difendersi, e sin da subito. Non ultimo, e forse proprio per questo, ho imparato l’importanza degli affetti familiari, su cui poter fare affidamento. Ho sempre cercato di tenere unita la famiglia, e credo, in questo, di aver fatto un buon lavoro.