La poetica di Luciano Gaglio è l’arte della relazione tra le parti, mosse dall’ontologia del dualismo di causa ed effetto, interruttore e via di fuga. I concetti espressi si annodano, si aggrovigliano e si dispiegano su fili di acciaio e memoria.
Luciano Gaglio nasce nel 1968 a Palermo, città dalla personalità irrisolta, specchio del suo io. Qui si diploma nella scuola di Scultura all’Accademia di Belle Arti. La sua carriera artistica inizia nel 1993, quando realizza la scultura (capostipite), emblema del concettualismo radicato in tutte le sue opere future: è un uomo sofferente, straziato dall’impossibilità di evadere dalla materia che lo immobilizza; ogni vena del suo collo è protesa verso la via di fuga, in un ancoraggio fatale. E’ qui che nasce il seme dell’opposizione, dell’eterno scontro tra tensione e sfogo,principio e via di fuga, condizione necessaria dell’esistenza.
Successivamente Luciano scarnifica la figura umana, scava nei diversi livelli d’essere per estrarne scheletri filiformi: è la figura della donna, madre generatrice, stele. Luciano li definisce “disegni su aria”. Figure senza testa, queste sculture sono la negazione, l’impossibilità comunicativa con la figura della madre. Un giudizio a posteriori?
Siamo nel 1994 quando lo scultore (conclude) il climax d’astrazione e produce una serie di figure complesse che definisce “strutture n°..”. L’ossessione per l’ossidazione, processo in cui l’artista prova un fascino romantico decadente, si concretizza nei rapporti armonici celati tra la banalità delle griglie di frigoriferi e radiatori di camion. Queste opere contengono elementi “gettati fuori dall’uso”, che hanno perso la funzionalità primitiva per lasciarsi soffocare dolcemente dal processo di ossidazione del metallo che li compone, come una vespa che affoga nel miele. Luciano osserva questa metamorfosi dal punto di vista entropico: catrami, bruciature, ferite cauterizzate, portano il segno di un tentativo d’essere. I fili portanti la figura dello scheletro femminile (sono dunque scesi ancora più nel profondo.)
Successivamente Luciano Gaglio interiorizza la rappresentazione mentale di verticale e orizzontale legata all’immagine delle griglie, e trascende la forma dell’oggetto in sé per simulare ossessivamente il disegno della stessa. La bidimensionalità, l’essenzialità implicita evidenzia le trasparenze di un non essere materico, carico di intellettivo. L’effetto è vibrante, compulsivo, è un costante agire e negare l’azione. L’inganno del vuoto è concettuale, non formale, racconta un’esistenza muta.
Da questa forme geometriche silenti, queste strutture numerate (contenenti) una tensione romantico nello sforzo al mutamento, Luciano aggiunge il concetto di relazione. Da “strutture” a “strutture di relazioni”. Elementi apparentemente sconnessi vengono messi in relazione da una simbologia sottesa. Luciano accumula immagini, alle quali trova un significato a posteriori, nella relazione con altri elementi. Qui fiorisce quello che nelle opere precedenti era allo stato embrionale: l’analisi della struttura mentale umana, i diversi livelli dell’essere che compongono il nostro ego. Il sé Junghiano irrompe a volte in modo violento nella dimensione onirica: nelle sue composizioni, Luciano lascia libera espressione a questa condizione dell’essere.
Elementi insistenti, a volte imprescindibili, l’interruttore e la via di fuga, il principio e lo sfogo della tensione. Ma è ancora, incessantemente, la struttura di metallo, che, (fallace?), cuce le relazioni in modo razionale.
Un esempio: “struttura di relazioni n°58”. La fotografia di un interruttore. Il dattiloscritto di un copione di Fellini. Il suddetto recita: “Un Dio utile, e perciò ambiguo: maschio e femmina; patrono della morte”. Il rifiuto del deus ex machina, l’affermazione di volontà e la consapevolezza delle conseguenze, del circuito chiuso e mai concluso del processo di causa ed effetto, la consapevolezza.
Un altro esempio: “struttura di relazioni n°54”. Un sottobicchiere recante la scritta “Jet Lag”. La destabilizzazione psico-fisica indotta da un viaggio mnemonico introspettivo nega il ritorno stabile al flusso reale delle cose. Una fotografia in bianco e nero del nonno, con il padre. “e adesso sono io ad avere due figli” sussurra Luciano. È un gioco di specchi, è la riproposizione di immagini che torna distorcono una fase mai costante.
Troppo spesso, irrisolta.