La mostra “Space Shifters” alla Hayward Gallery, visitabile fino al 6 gennaio 2019, propone le opere di 20 artisti che alterano o disarticolano il senso di spazio di chi guarda
C’è tempo fino al 6 gennaio per visitare “Space Shifters” la grande mostra alla Hayward Gallery di Londra che presenta opere d’arte che coprono cinquant’anni circa, create da 20 artisti di fama internazionale, che alterano o disarticolano il senso dello spazio del visitatore.
Le opere esposte focalizzano l’attenzione dello spettatore sull’atto percettivo mentre modificano l’esperienza che ciascuno ha dell’architettura della galleria. Spesso realizzate con materiali riflettenti o traslucidi come il vetro e la resina, mirano a provocare risposte sia psicologiche che fisiche. E danno vita anche una storia alternativa del minimalismo: non intenso in senso geometrico, austero e seriale quanto piuttosto seducente, elegante e giocoso.
“Space Shifters” propone una serie di sculture storiche e contemporanee insieme a installazioni immersive e adattate al luogo e a opere create appositamente per la mostra. Gli artisti coinvolti sono: Leonor Antunes, Larry Bell, Fred Eversley, Felix Gonzalez-Torres, Jeppe Hein, Roni Horn, Robert Irwin, Ann Veronica Janssens, Anish Kapoor, Yayoi Kusama, Alicja Kwade, John McCracken, Josiah McElheny, Helen Pashgian, Charlotte Posenenske, Fred Sandback, Monika Sosnowska, Daniel Steegmann Mangrané, De Wain Valentine and Richard Wilson.
“La mostra riunisce un importante gruppo di artisti internazionali che esplorano la percezione che abbiamo degli oggetti, degli spazi che ci circondano e gli uni degli altri – spiega Cliff Lauson, curatore senior alla Hayward Gallery. – Insieme queste sculture e installazioni formano una serie di esperienze ottiche interconnesse che attraversano la galleria, impressionanti dal punto di vista tecnico ed estetico ma anche giocose e piacevoli da sperimentare”.
In “Space Shifters” gli artisti affrontano il duplice concetto di riflesso e riflessione: la capacità fisica di un oggetto di riflettersi su una superficie o riflettere altri oggetti e l’atto contemplativo umano.
L’esempio più eclatante in questo senso è sicuramente “360° Illusion V” di Jeppe Hein (2018), un’enorme scultura a specchio rotante che incombe sulla prima galleria, appena i visitatori entrano alla mostra. L’opera riflette l’edificio circostante così come i gruppi di persone che passano, attraverso inversioni simultanee. Dal lato opposto rispetto a questa si trova “Non-Object (Door)” di Anish Kapoor (2008), che deforma e distorce lo spazio intorno all’osservatore.
Mentre ci si sposta tra le gallerie ci si imbatte anche in “Interactions of the Abstract Body” di Josiah McElheny (2012), una serie di sculture stazionarie che vengono attivate da ballerini professionisti che indossano costumi in legno specchiato e interagiscono con i visitatori e le opere d’arte in una performance continua.
Mentre i visitatori salgono la rampa di cemento che porta alla seconda galleria sono chiamati a interagire con un’opera di nuova commissione che prescinde dall’architettura brutalista unica della Hayward Gallery. Daniel Steegmann Mangrané è stato ispirato dalla forma delle scale e ha creato, appositamente per la mostra, delle tende che rievocano la loro forma curvilinea. Il titolo dell’opera – impronunciabile – intende suggerire la relazione a tre tra l’opera d’arte, lo spazio in cui è allestita e la mostra che la contiene.
“WeltenLinie” di Alicja Kwade (2017) viene esposta per la prima volta dalla sua première all’ultima Biennale di Venezia. Questa installazione giocosamente disorientate incoraggia i visitatori a camminare attraverso la sua struttura di cornici, scoprendo oggetti che sembrano cambiare aspetto: una roccia grigiastra si trasforma in metallo arrugginito, un tronco d’albero diventa argento luccicante.
Alcuni dei lavori di realizzazione più antica presenti nella mostra sono spesso associati al movimento Light and Space, che si originò nell’area di Los Angeles a metà degli anni ‘60. In quel periodo, alcuni degli artisti americani inclusi nella mostra facevano esperimenti con materiali anticonvenzionali e processi di fabbricazione innovativi.
Una delle poche donne associate al movimento, Helen Pashgian, contribuisce con un’interessante installazione, alla première nel Regno Unito: una serie di grandi colonne in acrilico che attraverso varie trasparenze e giochi di luce offrono un’ampia gamma di effetto ottici in continuo movimento.
Utilizzando un procedimento di fusione unico, Fred Eversley crea seducenti lenti colorate attraverso le quali il pubblico può guardare al mondo come se fosse un posto totalmente nuovo. Larry Bell è invece rappresentato nella mostra dalla sua prima installazione su larga scala, “Standing Walls” (1969/2016), dove i visitatori possono entrare per provare riflessi ed effetti ottici mentre vedono loro stessi nella scultura.
Nella stanza accanto si trova “Narcissus Garden” di Yayoi Kusama (1966–2018) in una versione rinnovata, una distesa di centinaia di spere in acciaio riflettente che i visitatori possono ammirare dall’alto mentre salgono le scale verso i piani superiori della galleria. E per la tromba delle scale si trova anche il curioso corrimano in acciaio rosso e PVC di Monika Sosnowska che si intreccia e segue quello della Hayward prima di avvitarsi e avvolgersi intorno a una delle pareti delle gallerie superiori.
Molte delle opere in mostra in “Space Shifters” permettono al pubblico di guardare dentro e attraverso il materiale di sculture percepite come solide. Lo scultore DeWain Valentine è stato un pioniere nell’uso della resina per creare grandi installazioni traslucide, come ad esempio “Gray Column” (1975–76), esposta per la prima volta nel Regno Unito. L’opera di Robert Irwin dal titolo “Untitled (Acrylic Column)” (1969–2011) è invece una colonna monumentale e maestosa che raggiunge i 4,5 metri di altezza eppure che risulta quasi impercettibile, se non fosse per la sua proprietà riflettente.
Gli artisti contemporanei Ann Veronica Janssens e Roni Horn dimostrano invece quanto possono essere diversi gli effetti di percezione utilizzando il vetro per esplorare il mondo dei colori. Il “Magic Mirrors” della Janssens è dinamico, iridescente; la losanga di vetro fuso di Horn “Untitled (Everything was sleeping as if the universe were a mistake)” (2012–13) sembra contenere invece un’inquietante profondità e liquidità. Altro pezzo creato appositamente per la mostra è quello di Leonor Antunes, che sembra cadere giù con gentilezza dal soffitto della Hayward Gallery.
Chiamando in causa l’ambiente esterno, “Sky Mirror, Blue” di Anish Kapoor (2016) sembra spostare in modo drammatico una parte di cielo e del tetto dell’edificio in una delle corti della Hayward. Occupando per intero una galleria del piano superiore, Richard Wilson ricrea la sua monumentale installazione “20:50” (1987). Migliaia di litri di olio riciclato circondano lo spettatore che procede attraverso una passerella. La superficie dell’opera riflette le luci che entrano dal tetto e il cielo al di là di questo.
“Space Shifters è la conclusione perfetta per i festeggiamenti del 50esimo anniversario della Gallery – ha spiegato il direttore Ralph Rugoff. – Abbracciando le ultime cinque decadi, che poi è anche il periodo di vita della nostra galleria, molte delle installazioni e delle opere proposte rispondono direttamente alle gallerie volumetriche della Hayward Gallery, evidenziandone aspetti ed elementi in un modo che non avrei mai immaginato”.
Tra performance dal vivo, installazioni e opere d’arte d’avanguardia, “Space Shifters” è un percorso espositivo unico nel suo genere che permette di sperimentare forme di spazialità distorte e alterate, sempre in profonda interazione con la struttura della Hayward Gallery stessa.
“Space Shifters”
26 settembre 2018 – 6 gennaio 2019
Lunedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica 11.00 – 19.00
Giovedì 11.00 – 21.00
Martedì chiuso
Hayward Gallery
Southbank Centre, Belvedere Road, Londra SE1 8XX